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Psicologia ed epidemiologia dell’AIDS
Dalla sua comparsa, ben 75 milioni di persone sono state infettate dal virus dell’HIV e circa 32 milioni sono morte, mentre quasi 38 milioni convivono con la malattia. La parte di mondo più colpita da questa epidemia è il Continente Nero, con quasi un adulto su 25 affetto da HIV. Ma negli ultimi due decenni, grazie ai progressi in campo medico e scientifico, si è visto che l’obiettivo di porre fine all’epidemia di AIDS è raggiungibile, seppur ambizioso.
Come superare le principali sfide per porre fine all’epidemia di AIDS? Ad oggi l’HIV rimane una delle principali cause di morte in tutto il mondo. Soprattutto la diagnosi dovrebbe essere tempestiva, per poter offrire un percorso di cura il più rapido possibile. Non solo diagnosi precoce però: anche proteggere chi ha l’HIV impedisce l’ulteriore trasmissione dell’infezione e può contribuire a ridurre al minimo il numero di persone affette.
Le persone che convivono con l’HIV sono ancora tante. Troppe. E spesso sono vittime di discriminazione. Ad oggi, la maggior parte della ricerca sull´HIV avviene grazie a finanziamenti nazionali, sia ad opera di donatori pubblici che privati, ma ancora di più può e deve esser fatto. Per questo motivo, la strategia globale per la prevenzione dell’HIV, in linea con l’approccio “Fast-Track” promosso dall’UNAIDS, stabilisce obiettivi sempre più ambiziosi per il 2030. Il traguardo è ridurre le infezioni annuali da HIV di 200.000 entro il 2030; ridurre le morti di 400.000 nel 2030.
Non bisogna dimenticare che l’HIV non è solo un problema di salute, poiché la diffusione di una malattia infettiva è fortemente correlata con fattori socioeconomici, ambientali ed ecologici, come la crescita della popolazione, i cambiamenti ambientali e politici.
L’incidenza (ossia i nuovi casi) di HIV è in calo del 16% rispetto agli anni ´90, così come calano (del 33% rispetto al 2004) le morti correlate al virus, ma questo non significa che possiamo concederci il lusso di abbassare la guardia.
In Italia vengono diagnosticati ogni anno circa 4 mila casi di contagio da HIV. Dagli anni ’80 sono stati registrati 58.400 casi di AIDS, e ben 35.300 decessi dovuti alla malattia. Dal 1995 ad oggi, il numero di casi registrati di AIDS è passato da 5.600 a 1.200. Il declino dell’incidenza dell’AIDS è direttamente attribuibile all’efficacia della terapia farmacologica antiretrovirale combinata, che ha portato ad un aumento del numero di persone che riescono a convivere con la diagnosi. L’efficacia della terapia farmacologica significa che i 23.000 italiani infetti da HIV hanno maggiori possibilità di non ammalarsi di AIDS.
Se soprattutto negli anni ‘90 la trasmissione dell’HIV in Italia era correlata principalmente all’uso di sostanze (nel 1997, circa il 60% dei casi registrati di persone con infezione da HIV era correlato alla droga, il 20% veniva trasmesso attraverso il contatto eterosessuale e il 15% attraverso il contatto omo o bisessuale), nel 2007 il numero di trasmissioni correlate alla droga è diminuito a circa il 28%, mentre la trasmissione per via sessuale è balzata al 44%.
Sembra un paradosso, ma grazie ai trattamenti antiretrovirali e ad altri farmaci molte persone non percepiscono più l’AIDS come una condanna a morte immediata: in virtù di ciò, il tasso di infezione da HIV sta di nuovo aumentando.
Considerato che un vaccino per l’HIV non è ancora stato trovato, è chiaro come tutte le professioni sanitarie debbano offrire il loro contributo alla prevenzione e gestione dell’HIV. Anche gli psicologi hanno un ruolo importante in questa battaglia: possono, per esempio, progettare strategie di prevenzione, identificando quali persone siano maggiormente propense a impegnarsi in comportamenti ad alto rischio (sesso non protetto e/o uso di droghe). Ma possono anche progettare interventi di sostegno sia per chi ha contratto il virus sia per i familiari delle persone contagiate, aiutare a ridurre lo stigma associato all’avere contratto il virus, soprattutto in gruppi spesso più a rischio di essere emarginati, come omosessuali e persone che usano sostanze stupefacenti. Possono offrire programmi di trattamento e prevenzione basati sull’evidenza. La competenza degli psicologi è inoltre fondamentale per affrontare un’altra sfida alla prevenzione dell’AIDS: il consumo illegale di sostanze. Sappiamo infatti da molto tempo che l’abuso e l’uso di sostanze contribuisce notevolmente alla diffusione dell’epidemia. E non mi riferisco solo alla trasmissione dell’HIV via siringhe infette, ma anche a droghe eccitanti, come le metanfetamine (sempre più spesso usate in combinazione con il Viagra), che portano le persone ad essere più propense ad impegnarsi in attività che trasmettono l’HIV, prime fra tutte il sesso non sicuro con sconosciuti.
Concludo con alcune considerazioni: la prevenzione dell’AIDS andrebbe estesa anche a fasce di popolazione, come quella anziana, che non sono tradizionalmente considerate ad alto rischio di infezione. La psicoeducazione in questo campo è importante per ridurre lo stigma associato alla malattia, per informare le persone sane su come non contrarre il virus e per promuovere stili di vita salutari.