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Malattie croniche intestinali, conviverci è possibile
Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) sono principalmente due: la malattia di Crohn e la colite ulcerosa.
Conviverci non è semplice, ma è possibile.
La malattia di Crohn è un’infiammazione cronica che può colpire teoricamente tutto il canale alimentare, dalla bocca all’ano, ma che si localizza prevalentemente nell’ultima parte dell’intestino tenue, chiamato ileo (ileite), e/o nel colon destro/cieco (ileocolite), oppure solo nel colon in una sua qualsiasi parte (colite).
È frequente nei Paesi Occidentali ed è rara, se non assente, nei Paesi in via di sviluppo. In Italia, si stima che siano tra 160 e 200mila le persone colpite da MICI, prevalentemente di età giovanile (20-30 anni), più’ raramente della terza età (60-70 anni).
La malattia di Crohn è definita ‘malattia cronica’ perché presenta un decorso caratterizzato da periodi di benessere (remissione) alternati ad altri in cui i sintomi sono presenti (riacutizzazioni), senza uno stato di guarigione totale.
I sintomi più comuni, anche se variabili da caso a caso, sono dolori addominali (talvolta, se acutissimi, possono simulare un attacco d’appendicite) associati a diarrea e, talora, a febbre. Il dolore si localizza nella sede dell’ombelico o nella parte destra dell’addome e spesso si presenta dopo i pasti.
Ad oggi le cause sono ignote. Non è una malattia contagiosa e non è ereditaria. Esiste, tuttavia, una predisposizione familiare nello sviluppo di questa malattia e un aumentato rischio per la progenie di averla a sua volta. Tale rischio è difficile da quantificare perché gli studi in questo ambito sono pochi.
Modificare il proprio stile di vita e seguire un’adeguata alimentazione, sono azioni importanti che possono aiutare a controllare i sintomi e allungare gli intervalli di tempo tra le riacutizzazioni. Non ci sono prove scientifiche dirette sul fatto che quello che si mangia provochi una malattia infiammatoria intestinale. Alcuni cibi e bevande, durante la riacutizzazione della malattia, possono aggravare i sintomi. Può essere utile redigere un diario alimentare per tenere traccia di quello che si sta mangiando e di come ci si sente. Se si scopre che alcuni alimenti stanno causando sintomi particolari, si può provare a eliminarli.
La diagnosi precoce è fondamentale. Non c’è un esame diagnostico specifico, ma una visione interna dell’intestino è possibile con la risonanza magnetica e la TAC. La colonscopia con esame istologico rivela ulcere e fistole del Crohn, il grado e il tipo di aggressione nel tessuto intestinale.
Ad oggi, non è ancora stata scoperta una terapia in grado di dare una guarigione definitiva. La terapia medica che viene seguita è, a seconda dei casi, di tipo chirurgico e/o di tipo farmacologico, attraverso la somministrazione di mesalazina, immunosoppressori, farmaci biologici e cortisonici.
L’attesa di vita è la stessa della popolazione generale, ma si raccomanda di non abbandonare le cure.
In che modo è possibile informare, aiutare, sostenere e assistere e le persone colpite da MICI? Da oltre vent’anni è presente sul territorio l’Associazione Nazionale A.M.I.C.I. Onlus, costituita da persone affette da colite ulcerosa o malattia di Crohn e dai loro familiari. Da poco è nata anche la Fondazione A.M.I.C.I., allo scopo di promuovere la ricerca. Abbiamo intervistato il Presidente della Fondazione A.M.I.C.I, il dott. Gianfranco Antoni.
Da cosa nasce l’idea di dar vita ad un’associazione nazionale costituita da persone colpite da MICI?
“La comunità dei malati di MICI si è radunata intorno a questo simpatico acronimo, AMICI, fin dai primi anni ’90. È stato lo scambio di esperienze e una valutazione comune sulla necessità di fare un salto di qualità che ha spinto tutti ad unirsi per dare vita, più di cinque anni fa, ad un’unica associazione nazionale. Maggiore rappresentatività, migliore coordinamento, più alta qualità di proposte e di impegno sono le ragioni di fondo di questa scelta, che si è rivelata vincente ai fini del sostegno più efficace ai malati di MICI”.
Quanto è importante per i pazienti e per i loro familiari avere un punto di riferimento importante come l’Associazione?
“All’esordio, la condizione psicologica del cittadino a cui viene diagnosticata una malattia cronica intestinale è naturalmente difficile. Poche le informazioni e la conoscenza sulla patologia, spesso scarno il contributo medico al di là della diagnosi clinica, rara la possibilità per un malato di avere un confronto nel quartiere, tra i vicini, in famiglia o nell’ambiente di lavoro. Le nostre patologie hanno, infatti, una prevalenza assai limitata, che oscilla tra 160 e 200mila pazienti, su una popolazione di riferimento di 58 milioni di abitanti.
Ecco perché è importante la presa in carico da parte di altri malati attraverso l’Associazione. Vari sono i modi: un opuscolo in ambulatorio, la ricerca su internet, il passaparola. Abbiamo frequenti manifestazioni di riconoscimento da parte di soci, che ci attestano come avere, all’esordio, un punto di riferimento amico e solidale, sia la migliore risposta per affrontare al meglio la propria convivenza con la cronicità”.
Quali sono le principali attività che svolge L’Associazione e la neo-nata Fondazione? Quali sono i progetti per il futuro?
“AMICI si rivolge ai cittadini con MICI e all’insieme dei decisori in Sanità, politici, sanitari e amministrativi, con due importanti strumenti: l’Associazione, rivolta soprattutto ai pazienti e alla loro tutela, e la Fondazione, varata da pochi mesi, che ha lo scopo di incentivare e promuovere la ricerca in Italia su queste malattie. Pensiamo che questo doppio agire ci consentirà non solo di ottenere risultati in ambito sociale e socio-assistenziale, come stiamo già facendo, ma anche sul fronte della migliore terapia possibile e, in prospettiva, della sconfitta dell’aspetto cronico della malattia, obiettivo ad oggi utopico, ma al quale non dobbiamo mai rinunciare”.
Vivere con questo tipo di patologie non è semplice, ma possibile. Lei convive con la malattia di Crohn, può raccontare la sua esperienza?
“La cosa più importante che ho imparato, ma non subito, è conoscere la malattia senza subirla, perché modificherebbe in modo drammatico la qualità di vita, e senza sottovalutarla, perché in qualsiasi momento essa prevarrebbe sul quotidiano, facendomi ripiombare nella gestione dell’emergenza o, addirittura, dell’urgenza chirurgica. È proprio su questo difficile rapporto che è il tema della convivenza con la cronicità, che si inserisce e dà un aiuto insperato la comunità dei malati riunita intorno ad AMICI”.
Una MICI è molto invalidante sotto tanti punti di vista e l’aspetto psicologico non è da sottovalutare. Qual è il modo giusto per conviverci?
“Ognuno ha il suo modo, ma il più efficace penso sia quello di accettarla, conoscerla e, non sembri paradossale, rispettarla. Ciò significa accettare i limiti del proprio corpo e del proprio agire quotidiano in relazione alla fatica e allo stress. L’accettazione, poi, da parte dei familiari e la solidità di una dimensione affettiva, complice e partecipe, aiuta senz’altro a convivere e a superare i tanti momenti difficili che la malattia impone.
Va anche detto che il ritardo alla diagnosi è, spesso, significativo, e questo incide non solo sul percorso terapeutico più utile, ma anche sullo stato psicologico complessivo. Negli ultimi anni le cose sono migliorate, ma solo vent’anni fa l’errore di diagnosi e, conseguentemente di terapia, era frequente. Questo è accaduto a me e a tanti altri malati affetti da tale patologia. La diagnosi precoce è quindi una necessità sulla quale l’attività di AMICI si concentra, con iniziative di approfondimento e di conoscenza dei sintomi di malattia al suo esordio. Altrettanto importante è poi l’aderenza, cioè il rispetto delle modalità della prescrizione medica. Il ‘fai da te’ non è mai consigliabile e tanto meno lo è in presenza di una malattia cronica il cui monitoraggio e controllo clinico sono alla base di un’efficace remissione. Fatta la diagnosi corretta, possibilmente precoce, individuato il percorso terapeutico più appropriato, è necessario porre in essere tutti quegli accorgimenti di vita necessari affinché la convivenza con la propria patologia sia la più serena ed equilibrata possibile. Questo è uno sforzo che non può che essere fatto dal paziente, nella ricerca di un rapporto positivo con se stesso, la patologia e le persone che stanno intorno a lui. Ciò richiede tempo e il supporto di un’Associazione di malati affetti dalle stesse patologie può essere di grande aiuto, per comprendere i tanti strumenti assistenziali disponibili, a volte non conosciuti, e scambiare esperienze utili a meglio comprendere il proprio stato di salute. Infine, il suggerimento che la mia esperienza personale si sente di proporre è quello di non cercare in viaggi della speranza, in centri lontani dalla propria residenza o all’estero, la risposta benefica e risolutiva. Occorre, al contrario, costruire un rapporto stabile con il proprio gastroenterologo di fiducia sul territorio, stabilizzare comportamenti, organizzazione e stili di vita, affinché il percorso terapeutico sia supportato da un’aderenza e una volontà del paziente di portare in remissione la malattia”.
Le malattie Infiammatorie Croniche Intestinali si combattono anche grazie alla ricerca che sta andando avanti per trovare presto una cura definitiva.
Lo dimostra il risultato di uno studio europeo, effettuato in 49 strutture ospedaliere tra il Canada, l’Europa, gli Stati Uniti e Israele e che ha coinvolto 212 malati di Crohn (pubblicato su The Lancet ), di cui è primo autore Silvio Danese, responsabile del Centro per le malattie infiammatorie croniche intestinali dell’Ospedale Humanitas di Milano e docente di Humanitas University. Lo studio ha dimostrato che dopo 24 settimane l’iniezione di staminali ha portato nel 50% dei pazienti alla completa cicatrizzazione delle fistole causate dall’infiammazione del tessuto di rivestimento della parete dell’intestino. Si tratta di una delle principali conseguenze della malattia, di formazioni che nel 70-80% dei casi non rispondono ai tradizionali trattamenti farmacologici e chirurgici.
“Abbiamo dimostrato che, nonostante vi sia un buon grado di risposta clinica in alcuni pazienti, i rischi della procedura con cellule staminali emopoietiche possono sovrastare i possibili benefici. Più promettente sembra l’uso delle cellule mesenchimali da tessuto adiposo perché, oltre alla loro capacità di generare nuove linee di cellule di grasso, osso e cartilagine, rilasciano intorno a sé sostanze che sembrano capaci di modulare l’attività del sistema immunitario e quindi dell’infiammazione”, così ha spiegato le recenti novità il professor Danese.
Dott. Antoni, grazie a questo studio si è aggiunto un nuovo tassello al mosaico del percorso verso una cura per la malattia. Lei cosa ne pensa?
“Passi avanti, piccoli o grandi, si compiono con continuità e determinazione, grazie soprattutto a quei centri che sono impegnati, oltre che nella clinica, anche nella ricerca. Questo vale per la ricerca da voi citata e commentata dal Dr. Danese, come per la recente ricerca di un gruppo che opera alla Cleveland Clinic, che ha fatto diversi studi sulle caratteristiche della flora batterica in corso di MICI. C’è anche all’orizzonte un nuovo farmaco, frutto di una ricerca tutta italiana. Insomma, le cose si muovono e conto che la Fondazione possa essere d’impulso e d’incentivazione a nuovi terreni di sviluppo nella ricerca per combattere le MICI”.
Per tutti coloro che intendono conoscere ed iscriversi ad A.M.I.C.I. i contatti sono i seguenti: il sito, amiciitalia.net; il numero di telefono, 388/3983544; l’email: info@amiciitala.net