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Una sanità nuova: impostazioni da correggere per una gestione coerente
Nel 2016 le prime stime ci dicono che la spesa sanitaria italiana totale sarà vicina ai 150 miliardi di euro dei quali oltre 36 miliardi di euro annui sono rappresentati dalla spesa sanitaria privata da sommarsi ai circa 113 miliardi di euro della spesa pubblica.
Riguardo all’ingente massa di denaro che gli italiani spendono di tasca propria è opportuno sottolineare che solo poco più del 15% è una spesa intermediata dagli enti di sanità integrativa di secondo pilastro e dalle polizze sanitarie assicurative di terzo pilastro.
La conseguenza logica e matematica dell’invecchiamento della popolazione, dell’aumento delle aspettative di vita e della diminuita natalità è quindi un maggiore costo per le spese sanitarie che grava su individui e famiglie, processo ineluttabile come abbiamo già avuto modo di spiegare approfonditamente.
Come questa testata giornalistica sostiene da tempo e come, peraltro, gli ultimi 25 anni di impostazione legislativa confermano, l’unica soluzione praticabile è l’ampliamento della spesa sanitaria intermediata dagli enti abilitati a gestire il secondo pilastro della sanità e cioè Fondi Sanitari, Società Generali di Mutuo Soccorso e Casse di Assistenza Sanitaria.
Perché questo sia realizzabile è opportuno creare le condizioni affinché la diffusione di questa possibilità sia ben comunicata e veicolata a tutti i cittadini, come abbiamo più volte sostenuto da queste pagine.
Ma affinché il sistema sia sostenibile è necessario approntare ancora qualche correzione alle modalità operative con le quali il tema della spesa sanitaria viene affrontato nel nostro paese.
Chiunque sia “il pagatore” delle spese sanitarie, sia esso lo Stato per la Sanità Pubblica, gli Enti abilitati per la Sanità Integrativa di secondo pilastro o le Società che forniscono coperture sanitarie private, si trova davanti ad un grosso problema: la determinazione del costo certo delle spese sanitarie sostenute per il proprio cittadino, assistito, associato, cliente.
Si tratta di un problema datato che molti altri paesi hanno già da tempo risolto ma che nel nostro paese non è stato ancora compiutamente affrontato.
Non è possibile infatti che il costo di una qualsiasi prestazione sanitaria svolta da strutture mediche private possa variare di oltre 10 volte a seconda del luogo, della tipologia di prestazione, del tipo di struttura, del nome del medico o di ancora altri parametri.
Vero è che nel determinare il costo di una prestazione sanitaria influiscono anche dei fattori esogeni che esulano dal semplice atto tecnico, basti pensare al tipo di macchinario utilizzato per quanto concerne gli esami diagnostici od alla differente specificità dei test per quanto riguarda gli esami clinici o, ancora, alla differente complessità dell’intervento per quanto riguarda un’operazione chirurgica.
Però un’ecografia è un’ecografia, una visita medica è una visita medica, un parto è un parto, un intervento è un intervento ed allora non si comprende perché tutte per queste prestazioni sanitarie possano essere richiesti costi liberi ed a piacere di chi le fornisce.
Il nostro paese, che ricordiamo sempre, per quanto riguarda i modelli di assistenza sanitaria ai propri cittadini è sempre stato ed è tutt’ora un modello di riferimento mondiale, ha avuto la capacità di normare adeguatamente i sistemi di riferimento per la spesa sanitaria pubblica o per quella integrativa o per quella privata ma non ha mai normato i riferimenti per un costo sanitario equo.
Quindi in un mercato ormai consolidato da un punto di vista fiscale, giuridico, legislativo ed operativo ci sono aziende che possono applicare i prezzi che meglio gli aggradano, affiancando ingiustamente un mercato libero a modelli regolamentati.
Ci riferiamo naturalmente alle strutture sanitarie private nelle quali, per fare qualche esempio concreto ma non certamente esaustivo, un esame per il livello di glicemia può costare da 5 a 30 euro, un’ecografia addominale può costare da 30 a 150 euro, un parto può costare da 2.000 fino a 15.000 euro, un intervento chirurgico di appendicite può costare da 3.000 fino ad oltre 10.000 euro.
La soluzione c’è ed è facilmente percorribile, già applicata in altri paesi, poco costosa, di facile implementazione, molto rapida: la realizzazione di un Tariffario Medico Nazionale nel quale ogni prestazione abbia un costo definito che possa poi essere integrato tramite dei moltiplicatori anch’essi predefiniti a seconda della complessità, della qualità o del sistema utilizzato per la prestazione stessa.
Così facendo gli enti di sanità integrativa andrebbero incontro a costi definiti per garantire i propri associati, le compagnie assicurative affronterebbero costi certi per proteggere i loro clienti e lo stato avrebbe dei riferimenti stabiliti equamente per misurare le prestazioni fornite dalle strutture pubbliche.
Questo consentirebbe di avere prezzi definiti dei sussidi sanitari offerti dagli enti di sanità integrativa senza aggravare i contributi versati dagli associati, di non dovere ritariffare ogni anno i costi delle polizze assicurative malattia con costi aggiuntivi per i clienti, di non dovere discutere ogni anno dei costi sostenuti da ogni regione per le prestazioni sanitarie pubbliche.
Si tratta di una soluzione di puro buon senso e di immediata realizzazione ed applicabilità che renderebbe più sostenibile per tutti il sistema sanitario, semplicemente correggendo in modo equo un modello di riferimento che contiene questa gigantesca anomalia al fine di realizzare una gestione coerente delle spese sanitaria.
Noi di Health On Line che abbiamo a cuore il diritto alla salute dei cittadini italiani quindi insisteremo su questo inevitabile passaggio legislativo affinché venga opportunamente operato in tempi rapidi per dare pieno compimento al diritto costituzionale alla salute di ciascuno di noi.