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Ben Affleck si disintossica per i figli. La piaga sociale dell’ alcol coinvolge vip e adolescenti
L’attore, regista e produttore cinematografico statunitense Ben Affleck attraverso un post pubblicato sulla sua pagina Facebook ha pubblicamente annunciato di avere concluso il trattamento di disintossicazione dall’alcol a cui si era sottoposto, lasciando anche la regia di ‘Batman’, di cui però resta protagonista. Nel suo post l’artista afferma che questo è solo il primo di molti passi verso una guarigione positiva. Inoltre, aggiunge che intende recuperare il rapporto con i suoi figli e che dopo questo periodo cercherà di diventare un padre migliore spiegando loro che non ci si deve vergognare di chiedere aiuto quando ci si sente soli e deboli. Affleck, poi, ringrazia Jennifer Garner per il suo supporto e per essersi presa cura dei loro tre figli lungo tutto questo tempo. I due sono divorziati dal 2015.
Quella di Ben Affleck è una dichiarazione che non solo ha fatto in pochi minuti il giro del mondo attraverso la feroce macchina divulga-tutto dei social e tramite i media internazionali, ma è un’esperienza che appartiene a moltissimi, attori e non attori, personaggi pubblici o semplici impiegati che in un momento più fragile della propria vita si rifugiano nell’alcol o in altri tipi di dipendenze (dalla droga al gioco d’azzardo) che agiscono da valvola di sfogo. In Italia, per esempio, il problema dell’alcol riguarda maggiormente i cosiddetti “teen”, vale a dire tutti quei ragazzi che prima ancora di aver raggiunto la maggiore età consumano alti e considerevoli quantitativi di alcol. A rischio sono circa 778 mila teenager. Solo nei primi mesi del 2016, il 64,5% della popolazione di 11 anni e più ha consumato almeno una bevanda alcolica nell’anno.
Stando ai dati pubblicati dall’Istat, ogni anno in Italia si verificano 17 mila decessi ascrivibili all’alcol, circa 12mila tra i maschi e 5mila tra le femmine. In questo quadro piuttosto allarmante per il Paese la classe di gran lunga più rappresentata è quella dei ragazzi che hanno tra i 15 e i 29 anni. Il 17 per cento di tutte le intossicazioni alcoliche che approdano ai pronto soccorsi italiani è registrato tra i ragazzi e le ragazze minori di 14 anni. Affine a questi dati è il risultato diffuso dal Secondo Rapporto sulla condizione giovanile nella città di Cassino del 2016, associato agli studi quotidiani sul campo di Exodus e dell’Osservatorio Disagio-Dipendenze istituito presso l’Università. Quella di Cassino è semplicemente una cartina tornasole dell’Italia intera, in cui si racconta di un disagio sociale (spesso con basi familiari e scolastiche) correlato all’uso smodato di alcolici già a 15 anni. Dati che hanno fatto scattare un campanello d’allarme nell’Organizzazione mondiale della Sanità.
Rispetto al Primo rapporto sulla condizione giovanile, risalente al 2013, i dati numerici non possono essere in nessun modo messi in discussione: oggi il 44,9% di giovani dai 15 ai 20 anni riconosce di fare uso di alcolici soprattutto nel corso del week end, in particolar modo il sabato sera: un dato certamente significativo, che mette in luce due aspetti fondamentali. Per primo è la maggior parte considera l’assunzione di alcol nel weekend inoffensiva, non riconoscendo di fatto la dipendenza e il pericolo invece presenti. Il secondo, dopo un raffronto con il Primo Rapporto giovanile, racconta anche di un aumento del 10% di adolescenti che bevono soprattutto di sabato. Nel 2013, il dato relativo al bere con lo scopo di ubriacarsi risultava in controtendenza con la media nazionale. Oggi, invece, è un dato comune che, purtroppo, riguarda soprattutto le ragazze.
Solo nel corso del 2016, in Italia si è assistito a una media di “27 ricoveri al giorno per disturbi dello spettro psicotico, del comportamento alimentare o della personalità, talvolta in compresenza di abusi di sostanze, dall’alcol agli stupefacenti”. Si tratta della denuncia presentata dalla dottoressa Vincenza Palmieri, Presidente INPEF (Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare) secondo cui nella sola Lombardia 275 adolescenti sono stati ricoverati nei reparti psichiatrici per adulti e 25.000 ragazzi dagli 11 ai 17 anni seguiti dai servizi di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. I ricoveri sono, infatti, aumentati del 30% in 5 anni.
Si tratta, naturalmente, di una situazione che coinvolge tutta Italia. Ma ciò che ancora gli esperti non sono in grado di definire è se sono le patologie degli adolescenti ad essere aumentate, oppure se è il range all’interno del quale si è soggetti a diagnosi ad essersi ampliato, per cui sempre più ragazzi finiscono in un ventaglio di diagnosi in cui possano essere riconosciuti. Si sa, essere adolescenti non è per niente facile, da una parte ci sono le incertezze della formazione delle persona e dall’altra subentra il divismo del superuomo in grado di vivere la propria vita come se fosse già adulto e consapevole dei rischi che la vita riserva continuamente.
Con ogni probabilità, alle spalle di tutti quei ragazzi che si avvicinano all’alcol, alle droghe – anche le più leggere come la cannabis – o ad altri tipi di dipendenze, non c’è una vera e propria famiglia di riferimento. Lo dimostra, ad esempio, la vicenda del ragazzo di Lavagna morto suicida, ma con questa molte altre ancora.
Nei casi in cui il minore non trovi una figura di riferimento all’interno del nucleo famigliare, dovrebbe intervenire la “buona scuola”, il secondo “nido” frequentato dall’adolescente e per questo fondamentale per la sua crescita. I docenti hanno il compito di allontanare i ragazzi da distrazioni che a lungo andare potrebbero nuocere gravemente alla loro salute e al proprio percorso di crescita: dalla cultura del bere al baratro dell’alcolismo il passo è davvero breve e avviene senza che la persona interessata se ne renda minimamente conto.