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Giornata mondiale sulla sindrome di Down tra inclusione sociale e nuove sperimentazioni cliniche
“Come trascorro la giornata? Stando con mamma o in Associazione con i miei amici. La sera guardo L’Eredità e mi piace molto Montalbano”. Risponde così Dario, ragazzo pugliese di quasi trent’anni affetto dalla sindrome di down, condizione cromosomica causata dalla presenza di una terza copia (o una sua parte) del cromosoma 21. Rimasto solo con la madre dopo la morte del padre e la partenza del fratello per l’università, si racconta in treno e lo fa parlando con un suo amico. Sono soli, obliterano il biglietto, lo mostrano al controllore e tra una chiacchiera e l’altra restando nel loro scomparto ascoltano musica. Conducono insomma una vita normale, laddove questo aggettivo “normale” lo si usi ogni volta che in un contesto si ravvisano elementi di diversità. In effetti il diverso in Dario e nel suo amico c’è e ha un carattere esclusivamente sociale, dal momento che oggi, nel 2017, le persone down sono ancora nella condizione di dover chiedere una vita normale, in cui non sono richiesti bisogni speciali, ma semplicemente apertura a tutti e una piena inclusione sociale.
Ricevere un’istruzione adeguata, trovare un lavoro, andare a vivere da soli. Bisogni che nessuno definirebbe mai ‘speciali’, tranne quando si parla di persone con la sindrome di Down. “Not special needs” è infatti l’hashtag scelto dalle associazioni internazionali per la XII Giornata Mondiale sulla sindrome di Down (World Down Syndrome Day), che si celebra oggi martedì 21 marzo 2017. La celebrazione della WDSD è stata sancita ufficialmente da una risoluzione dell’ONU per diffondere una maggiore consapevolezza sulla sindrome di Down ed è celebrata annualmente in primis a New York e a Ginevra dove sono organizzate conferenze ed eventi sull’argomento.
In occasione della Giornata mondiale delle persone con sindrome di Down del 2015 sono stati presentati due importanti studi che potrebbero cambiare la qualità della vita dei soggetti con trisomia 21. Il primo riguarda una ricerca realizzata dall’ospedale Bambino Gesù di Roma e pubblicata su European Journal of Immunology. Un’equipe di esperti ha individuato le cause delle frequenti e spesso gravi infezioni che colpiscono i soggetti affetti da sindrome di Down, proponendo di accrescere le vaccinazioni con un aumento del numero dei richiami. L’altro, pubblicato su Nature Medicine, è dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova e dimostra come un comune farmaco diuretico, il bumetadine, riesca a sortire effetti positivi sui deficit cognitivi causati dalla sindrome di Down, aprendo la strada a possibili sperimentazioni cliniche su pazienti, già in programma in collaborazione con l’unità di Neuropsichiatria Infantile del Bambino Gesù di Roma.
In Italia si contano circa 40mila persone affette dalla sindrome, con un’età media di 25 anni. La condizione colpisce circa un nuovo nato su mille, si legge sul Rapporto pubblicato dall’Oms, e se nei primissimi anni del secolo scorso la sopravvivenza media era 10 anni, oggi circa l’80% dei malati supera i 50. In Italia si stima che la sopravvivenza media sia arrivata a 62 anni, anche a seguito dei miglioramenti nella medicina che, ad esempio, sono ora in grado di correggere buona parte dei difetti cardiaci che il più delle volte si manifestano in chi è affetto dalla sindrome. “L’espressione ‘bisogni speciali’ è un eufemismo molto diffuso per parlare delle persone con disabilità e delle loro necessità”, commentano da Coordown, Coordinamento Nazionale Associazioni delle persone con sindrome di Down, che riunisce le associazioni del settore.
Le persone affette dalla sindrome di Down hanno le stesse esigenze di chiunque altro: studiare, lavorare, avere delle opportunità, far sentire la propria voce ed essere ascoltati. Certo, possono aver bisogno di un sostegno – che qualche volta significa assistenza vera e propria – ma questo non cambia la natura di quelle esigenze, cioè non rende “speciali” dei bisogni semplicemente umani. Quello che può cambiare, aggiungono ancora da CoorDown, è il grado di assistenza o il modo per soddisfare quel bisogno, non il bisogno stesso “L’idea di ‘bisogni speciali’ è fuorviante – spiega Sergio Silvestre, presidente di CoorDown onlus – lo ha indicato anche una ricerca pubblicata sulla rivista specialistica Cognitive Research, spiegando che si tratta di un eufemismo inefficace. L’obiettivo –prosegue Silvestre – è quello di contribuire a un cambiamento profondo di atteggiamento verso le persone con sindrome di Down e più in generale verso il mondo della disabilità. Vogliamo dare ai nostri ragazzi opportunità e strumenti che possano garantire loro un futuro sereno e siamo convinti che debbano essere loro stessi a rivendicarlo facendo sentire direttamente la propria voce”.