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Sanità: 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi
Lo scorso 7 giugno, nel corso del “Welfare Day”, è stato presentato l’ultimo rapporto realizzato dal Censis insieme a Rbm Salute: “Il Servizio Sanitario Nazionale e le Forme Sanitarie Integrative, nella prospettiva di un Secondo Pilastro in Sanità”.
Il dato fondamentale che è emerso è che il Servizio Sanitario Nazionale non è più “per tutti”.
La società è cambiata, la popolazione è più longeva, sono aumentati i malati cronici, e c’è sempre più bisogno di salute e di assistenza. Senza contare i continui tagli alla spesa sanitaria. Il Servizio Sanitario Nazionale non riesce più ad essere “per tutti”, per questo si parla sempre più di “sanità negata”. Aumentano così anche le disuguaglianze sociali, tra chi può permettersi le cure privatamente e chi invece deve rinunciare.
Nell’ultimo anno, sono stati 12,2 milioni gli italiani che hanno rinunciato (o hanno rinviato) prestazioni sanitarie: 1,2 milioni in più rispetto al 2015. Persone a basso reddito nel 74.5% dei casi, ma c’è anche un 15,6% di “benestanti”.
Nello stesso tempo, è aumentata ancora la spesa privata: gli italiani per curarsi spendono di tasca propria 35,2 miliardi di euro (il dato include la compartecipazione sanitaria, cioè i ticket sanitari e quelli per i farmaci). Anche questo è un dato in crescita (+4,2% nel triennio 2013-2016). La spesa sanitaria privata è quindi ormai una componente stabile tra le spese degli italiani: ma quando le risorse mancano, si finisce allora per rinunciare o rinviare cure e prestazioni sanitarie.
A spendere di più è chi ha meno, chi vive in territori a più alto disagio, e chi ha più bisogno di assistenza come gli anziani e le persone non autosufficienti, che spendono più del doppio rispetto alla media. Quasi due terzi delle persone a basso reddito hanno dovuto sostenere spese sanitarie di tasca propria, così come il 76,6% dei malati cronici. 7,8 milioni di italiani hanno dovuto indebitarsi per pagarsi le cure, o hanno speso tutti i loro risparmi, 1,8 milioni, per affrontare le spese di assistenza, sono entrati nella fascia “di povertà”.
La scelta di rivolgersi al privato è dovuta principalmente alle lunghissime liste di attesa: per una mammografia l’attesa media è di 122 giorni, per una colonscopia 93, per una risonanza magnetica ci vogliono 80 giorni. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni, per una visita ortopedica ne servono in media 66. Le liste di attesa sono sempre più lunghe ogni anno che passa e i dati peggiori si trovano nel Mezzogiorno. Qui entra in gioco anche il fenomeno del “turismo sanitario”, con moltissimi italiani che si spostano in altre regioni diverse dalla propria per curarsi. Sono 6,5 milioni gli italiani che nell’ultimo anno si sono rivolti al sistema sanitario pubblico o privato di un’altra regione.
Il divario Nord-Sud, che è sempre stato una costante, si acuisce ancora. Chiaramente, questo si riflette sulla soddisfazione dei cittadini: se nel Nord Italia il 64,5% dei cittadini si dichiara contento del servizio pubblico, al Sud la percentuale scende al 47,3%. Il 31,8% degli italiani è convinto che il Servizio Sanitario Nazionale sia peggiorato nell’ultimo anno.
In questo contesto, il ruolo della sanità integrativa, che attualmente riguarda circa il 20% della popolazione, è destinato chiaramente a crescere. Anche al fine di contenere la spesa privata, un sistema multipilastro è infatti probabilmente la soluzione migliore per ritornare a garantire a tutti il diritto alla salute, per ridare ai cittadini sicurezza e tranquillità.