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L’incontinenza fecale in età pediatrica. L’intervista al dott. Alessio Pini Prato
L’ incontinenza fecale nei bambini è un argomento poco trattato, ma che merita attenzione per capire come assicurare ai piccoli una buona salute intestinale e un rapporto sereno con il loro corpo.
I bambini molto piccoli non sono in grado di controllare gli sfinteri, ma grazie ad un graduale insegnamento, tra i 18 mesi e i 3 anni, riescono ad essere autonomi ed eliminare il pannolino. Qualche volta però accade che non si raggiunge una completa autonomia e si manifestano così episodi di incontinenza fecale. A cosa è dovuto questo problema e quali sono i rimedi?
Lo abbiamo chiesto al Dott. Alessio Pini Prato, Direttore della Struttura Complessa di Chirurgia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria, struttura di eccellenza dove si sta lavorando per un vero e proprio protocollo integrato multidisciplinare.
Quali sono le cause dell’incontinenza fecale e come diagnosticarla?
“Per incontinenza fecale si intende incapacità di controllo sfinterico in un/a bambino/a che, per definizione, abbia compiuto i 4 anni di vita. Tale disturbo può essere definito primario (se il/la piccolo/a non ha mai acquisito la continenza) o secondario (se questi invece ha acquisito la continenza e poi qualche evento è intervento, interferendo con una situazione di equilibrio). Per incontinenza si intende solitamente una situazione di totale assenza del controllo sfinterico. Più di frequente ci troviamo di fronte alla cosiddetta encopresi, che indica la tendenza del soggetto a perdere piccole quantità di feci, che comunque rendono il disturbo socialmente ‘sgradevole’. Le cause sono molteplici e si distinguono sostanzialmente in organiche e funzionali. Fra le prime includiamo malformazioni e/o disturbi a carico del sistema nervoso centrale e/o periferico, malformazioni anorettali, traumi, esiti chirurgici ed altre affezioni meno frequenti a carico del retto e delle strutture perirettali. Fra le seconde invece includiamo la cosiddetta encopresi ritentiva e l’encopresi idiopatica, entrambe sostanzialmente espressione della perdita di coordinazione del complesso meccanismo della continenza, effetto di eccessivo ristagno fecale (encopresi o incontinenza fa ‘troppo pieno’) o di erronee dinamiche comportamentali ed abitudini intestinali. L’applicazione di un algoritmo diagnostico che comprende adeguate anamnesi familiari e personali (interviste indaganti la presenza di anomalie congenite o malformazioni nei familiari di primo e secondo grado e nel soggetto in questione) ed un approfondito esame obiettivo generale (addome, genitali esterni, colonna vertebrale dorsale e lombosacrale, riflessi, anatomia perineale e posizione e conformazione di ano e complesso sfinterico) consente solitamente di identificare i segnali di allarme che rappresentano indicazione ad eseguire approfondimenti diagnostici di I e II livello. Nella mia esperienza, su oltre 1800 pazienti pediatrici con disturbi della continenza fecale (dalla stipsi all’incontinenza), l’applicazione di tale ferreo algoritmo ci ha permesso di non perdere mai diagnosi organiche e di intercettare sempre (almeno fino ad oggi) le cause non funzionali del disturbo”.
Anche difetti congeniti possono essere una delle cause?
“Anomalie malformative congenite del midollo spinale (spina bifida e regressione caudale), malformazioni anorettali e stenosi anali possono essere causa di incontinenza su base organica. Anche malattie metaboliche quali ipotiroidismo e celiachia, in grado di determinare stipsi organica, possono secondariamente condurre ad encopresi o incontinenza da ‘troppo pieno’. Queste ultime passando però necessariamente da una fase di stipsi ostinata cronica”.
In che modo avviene la riabilitazione del pavimento pelvico nel bambino con dissinergia dell’evacuazione?
“Qualora l’incontinenza o l’encopresi siano attribuibili unicamente a dissinergie dell’evacuazione (perdita delle normali coordinazioni e dinamiche, non riconoscimento della sensazione di impellenza all’evacuazione, stipsi cronica scompensata), vi è la possibilità di agire applicando alcune banali misure riabilitative, che prevedono corretti regimi dietetici e misure comportamentali con evacuazioni ‘a comando’ dopo i pasti. Tale riabilitazione di base può essere successivamente implementata applicando gli stessi concetti utilizzati per la riabilitazione dell’incontinenza secondaria a problematiche chirurgiche”.
E invece con problematiche di continenza post-chirurgiche?
“L’incontinenza e l’encopresi post-chirurgica rappresentano una delle problematiche più complesse e coinvolgono un elevato numero di soggetti in età pediatrica e non. Nell’ambito dei centri di chirurgia colorettale dell’adulto esistono già da molti anni ambulatori o servizi di riabilitazione del pavimento pelvico, specificamente rivolti alla riabilitazione della continenza fecale. Analogamente non si può dire per l’ambito pediatrico, che fino ad oggi si è limitato all’applicazione di misure riabilitative di “base”, consistenti nelle misure dietetiche e comportamentali descritte prima e nell’applicazione del biofeedback elettromanometrico. Quest’ultima procedura riabilitativa consiste nell’allenamento del complesso sfinterico previo utilizzo di misure di feedback visivo, che consentono al paziente di riconoscere e dirigere la contrazione sfinterica. Uno dei limiti di questa tecnologia riabilitativa consiste nella bassa persistenza dei risultati che riesce a fornire. In poche parole, entro 6 mesi dalla sospensione del biofeedback, si osserva spesso una regressione dei sintomi a quelli presenti prima dell’inizio del trattamento. Tale regressione può avere esiti “nefasti” sul piccolo paziente che può percepire un’evidente frustrazione nel vedere vanificato il considerevole sforzo e le aspettative ad esso connesse. L’applicazione di misure riabilitative più complesse ed integrate è essenziale per il trattamento dei pazienti affetti da incontinenza o encopresi post-chirurgica, proprio in considerazione della non reversibilità delle lesioni o alterazioni alla base del disturbo”.
Stando ai dati, il 5% delle visite ambulatoriali pediatriche affrontano il problema stipsi ed un 10% dei bambini con stipsi hanno dissinergie. Circa 300-400 bambini ricevono ogni anno chirurgia a rischio di ledere il meccanismo sfinterico in età pediatrica.
La somma di questi due gruppi di pazienti ammonta a circa 1000-1500 pazienti con dissinergia del pavimento pelvico da trattare e non trattati o trattati in modo inadeguato o insufficiente in Italia.
Dott. Pini Prato, cosa ne pensa?
“Condivido le considerazioni epidemiologiche ed aspiro alla diffusione dei centri riabilitativi pediatrici su tutto il territorio nazionale. La durata media di un ciclo completo di riabilitazione si aggira infatti attorno ai 7-15 gg, a seconda di età e collaborazione del paziente, e rappresenta un grosso limite alla partecipazione delle famiglie provenienti da zone lontane da quelle in cui tali protocolli sono in uso. La diffusione di efficaci centri di riabilitazione consentirebbe a tutte le famiglie un accesso a tale imprescindibile misura terapeutica. Ad oggi, le famiglie che vogliono partecipare alla riabilitazione devono infatti investire dei piccoli patrimoni per vitto, alloggio e spostamento da e per i centri di riferimento”.
Presso il centro di Alessandria state sviluppando un protocollo integrato multidisciplinare, può spiegare in cosa consiste?
“La riabilitazione del complesso sfinterico è parte integrante del progetto riabilitativo che sta prendendo corpo presso l’Ospedale Infantile di Alessandria, nel contesto della Azienda Ospedaliera di Rilevanza Nazionale Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo. Tale progetto riabilitativo, sempre preceduto da una valutazione psicologica di eleggibilità del singolo paziente (aspettative, compliance, strutturazione mentale adeguata, etc), ha l’obiettivo di migliorare la comprensione e l’acquisizione della piena consapevolezza del proprio corpo (spiegazione delle basi anatomiche e funzionali con utilizzo di materiale didattico, disegni, brochure), di ottimizzare la coordinazione fra respirazione, ponzamento e contrazione del complesso sfinterico, ed infine di potenziare la forza e l’efficacia contrattile del pavimento pelvico. Il progetto che stiamo implementando presso l’Ospedale Infantile di Alessandria altro non è che un’evoluzione di quanto introdotto circa 2 anni fa presso l’Istituto Giannina Gaslini e che ha riscosso grande successo, pur con i limiti di regressione descritti in precedenza. L’analisi di eleggibilità di ogni singolo paziente e la ripetizione di brevi cicli di ‘retraining’ hanno lo scopo di ottimizzare il risultato funzionale sia in termini di entità che di durata e persistenza dei risultati”.
Che fare per assicurare al bambino una buona salute intestinale e un rapporto sereno con il suo corpo? Quali sono i suoi consigli?
“L’argomento ‘cacca’ dovrebbe essere vissuto in famiglia come un evento normale, fisiologico, né bello né brutto ma necessario e funzionale al benessere psicofisico dell’individuo. Il caricare di accezioni negative la ‘cacca’ (‘… questa cosa è cacca…’ o messaggi simili utilizzati solitamente per disincentivare i nostri figli) può avere effetti negativi e servire da trigger per l’insorgenza di disturbi della continenza (stipsi o incontinenza/encopresi), che vedono spesso in un evento esterno turbativo la loro genesi. Un’infiammazione anale, una ragade, i vermi o altri eventi che generino dolore durante l’evacuazione possono infatti trovare terreno fertile in determinate condizioni e generare un condizionamento negativo, con conseguente atteggiamento ritenzionista, in un circolo vizioso auto-amplificante in grado di portare a gradi severi di stipsi, fino allo scompenso con encopresi paradossa o da ‘troppo pieno’. Anche eventi psicologicamente turbanti come la nascita di un fratellino/sorellina o le separazioni dei genitori possono svolgere un analogo effetto che scatena il ritenzionismo e getta le basi per tali disturbi.
Dal momento che non è possibile eliminare determinati eventi, parafisiologici e normali nel corso della vita di tutti i bambini, l’importante è rimanere ben vigili, monitorare il comportamento intestinale dei nostri figli e ricorrere al parere dello specialista in caso di anomalie comportamentali quali quelle descritte sopra. La diagnosi precoce ed un trattamento adeguato possono spesso risolvere in breve tempo problematiche che altrimenti tendono a strutturarsi fino a richiedere misure terapeutiche molto più prolungate e stressanti”.