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Ortopedia, la medicina rigenerativa nella cura dell’osteoartrite: dal bisturi alla siringa
Tecniche di avanguardia in ortopedia con l’uso delle cellule staminali che migliorano il dolore alle articolazioni e ripristinano la funzionalità di oltre il 50%.
La medicina rigenerativa sta prendendo sempre più piede anche in campo ortopedico tanto da essere considerata, per pazienti che presentato problemi di osteoartrite, meglio conosciuta come artrosi – un’alterazione degenerativa cronica della cartilagine – una valida soluzione in grado di controllare l’infiammazione, fermare la degenerazione e rigenerare il tessuto danneggiato. Le cellule staminali mesenchimali infatti, sono capaci di differenziarsi in condrociti, cellule di osso e cartilagine e produrre preziosi fattori di crescita e nutritivi.
Attualmente, tra le varie alternative studiate, le cellule più efficaci sono le ADSC (Adipose Derived Stem Cell), ossia le staminali prelevate dal tessuto adiposo. Si tratta di cellule mesenchimali (quelle che formano tessuto connettivo), destinate a creare impalcature solide ma flessibili e che hanno mostrato una speciale e specifica attività rigenerativa proprio nei confronti del tessuto cartilagineo.
L’efficacia, la maneggevolezza del trattamento, la minima invasività e la sostanziale mancanza di effetti avversi correlati sono i vantaggi del trattamento con le cellule staminali. I risultati ottenuti fino ad ora in campo ortopedico indicano infatti che la medicina rigenerativa sarà, in un futuro prossimo, così complementare ai trattamenti farmacologico e chirurgico tradizionali tanto che, in alcuni casi, può sostituirli.
In cosa consiste il trattamento? Come agiscono e qual è l’effetto delle cellule staminali nella cura delle patologie ortopediche?
Health Online ha intervistato il dott. Pierdanilo Sanna, Specialista in ortopedia e Consulente per la Medicina Rigenerativa in ambito ortopedico a Dubai Healthcare City.
“L’innovativo trattamento – ha detto Sanna – si basa sull’utilizzo delle cellule mesenchimali (MSC), ovvero le cellule staminali adulte estratte direttamente dal grasso corporeo (ADSC) che sono in grado di rigenerare il tessuto cartilagineo”.
L’osteoartrite è la patologia ortopedica dov’è maggiormente applicabile la medicina rigenerativa?
“L’osteoartrite è una condizione degenerativa che interessa circa il 15% della popolazione mondiale, senza distinzione di sesso e comprendendo individui sempre più giovani che svolgono attività sportiva.
Tra i fattori di rischio anche il sovrappeso e l’obesità in cui la massa corporea ‘preme’ su cartilagini e articolazioni, danneggiandole e usurandole precocemente. I sintomi più comuni sono il dolore, la rigidità, la tensione, ma anche la sindrome delle gambe senza riposo, ed i disturbi del sonno, un quadro che spesso evolve verso la depressione e la tendenza a muoversi sempre meno nel tentativo di evitare il dolore. La progressione della malattia è dovuta alla graduale distruzione dei condrociti (le cellule di sostegno della cartilagine) e alla loro incapacità di riparare efficacemente i danni del tessuto a cui appartengono. La cartilagine infatti è un tessuto che dopo un danno non si rigenera facilmente. Inoltre, nel tessuto danneggiato vengono prodotte sostanze (proteinasi) che distruggono le cellule articolari inducendole al ‘suicidio’, il processo noto con il termine ‘apoptosi’”.
Perché l’uso delle cellule staminali derivate dal tessuto adiposo?
“Perché rappresentano l’approccio migliore per trattare la degenerazione del tessuto osseo e della cartilagine. Il tessuto adiposo ha mostrato innegabili vantaggi: dalla semplicità di prelievo alla maggiore quantità di staminali presenti (rispetto, ad esempio, a quelle del midollo osseo) e alla spiccata superiorità del risultato dopo la coltura.
Oltre a differenziarsi in condrociti, le staminali del grasso espanse possiedono una azione paracrina, ossia producono fattori di crescita, antinfiammatori e immunomodulatori a livello locale, con la secrezione di molecole che proteggono le cellule dalla distruzione.
Si tratta di un autotrapianto di cellule staminali, che vengono estratte direttamente dal tessuto lipidico prelevato al paziente e che vanno a stimolare l’organismo stesso a riprodurre ciò che è insufficiente o danneggiato. In che modo? Le cellule staminali vengono veicolate nel ginocchio attraverso iniezioni intra-articolari dove riparano le lesioni e producono localmente una serie di fattori bioattivi che svolgono un’azione rigenerativa in loco con un alto profilo di sicurezza biologica.
Diversi studi clinici hanno confermato un miglioramento nei sintomi percepiti e misurati con tecniche di imaging diagnostico, con valori incoraggianti: miglioramento del 44% dei sintomi a 6 mesi, e 59% a 12 mesi (secondo la scala IKDC che prende in esame le attività svolte senza dolore, il numero di giorni con dolore nelle ultime 4 settimane, la severità dello stesso e la rigidità e il gonfiore). Il trattamento con le cellule staminali in campo ortopedico ha quindi permesso il superamento delle tecniche tradizionali come acetaminofene, antinfiammatori non steroidei (FANS) e oppioidi che controllano i sintomi, ma non sono in grado di rallentare la progressione della malattia e la degenerazione del tessuto cartilagine. Inoltre, l’assunzione cronica di farmaci porta ad un aumento degli effetti collaterali. Mentre le procedure chirurgiche sono state considerate troppo invasive e limitate a casi specifici”.
Procedure chirurgiche troppo invasive. Ci può spiegare qual è la differenza tra queste e l’auto trapianto di cellule staminali derivate da tessuto adiposo?
“La protesi è una sostituzione articolare che va a rivestire l’articolazione così da impedire lo sfregamento tra capi articolari danneggiati e quindi elimina il dolore e la sofferenza articolare. Si tratta di un intervento di chirurgia cosiddetta “maggiore” essendo invasiva e non scevra da rischi e complicazioni. Con il trapianto di cellule staminali derivate da tessuto adiposo, invece si va ad incidere stimolando biologicamente la riformazione della cartilagine stessa, in quanto le cellule staminali prelevate dal paziente, una volta innestate nell’articolazione, riconoscono le cellule cartilaginee, si moltiplicano e tappezzano la zona danneggiata con un nuovo tessuto sano. Questo permette quindi non di sostituire, ma di rigenerare il tessuto stesso dell’organismo, si avrà così un impatto chirurgico meno invasivo, un tempo di ripresa rapidissimo e soprattutto è un intervento biologico che prevede l’innesto delle nostre stesse cellule staminali senza nessun taglio o azione di tipo meccanico. Con questa tecnica si ottiene un risultato sorprendente senza controindicazioni e con dei tempi di ripresa rapidi per il paziente in quanto non ci sono incisioni importanti, ma solo un piccolo foro di circa mezzo cm, all’interno coscia o all’addome, necessario per il prelievo del tessuto adiposo. E’ un intervento biocompatibile che asseconda la natura, la perdita di sangue è praticamente inesistente, non necessita di alcuna riabilitazione perché non c’è perdita di tono muscolare e immobilizzazione dell’arto”.
Come avviene tecnicamente il trapianto autologo di tessuto adiposo?
“E’ una procedura mininvasiva. Al paziente viene prelevato il grasso presente nella superficie addominale o dall’interno coscia. L’uso che tradizionalmente viene fatto del grasso in ortopedia prevede che dopo il prelievo – una mini liposuzione come quella che si esegue in chirurgia plastica in anestesia locale – il tessuto adiposo viene centrifugato dagli esperti presenti in sala, per poi essere reinnestato, per via articolare, con una semplice siringa all’interno dell’articolazione danneggiata. Il paziente stesso è quindi il donatore e allo stesso tempo il ricevente: ecco perché si parla di “autotrapianto” o “trapianto autologo” di tessuto adiposo”.
Negli ultimi anni ci sono stati ulteriori sviluppi a conferma che la medicina rigenerativa rappresenterà il futuro nella chirurgia ortopedica.
A San Marino e a Dubai è presente la Bioscience Institute, un polo biotecnologico tra i più qualificati e avanzati d’Europa, specializzato nella coltura cellulare e nella crioconservazione di cellule staminali autologhe che ha conseguito significativi risultati nella ricerca mirata alle nuove applicazioni terapeutiche delle cellule staminali e ottenuto importanti riconoscimenti dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Bioscience ha messo in campo un trattamento innovativo per la degenerazione ossea e cartilaginea che si chiama Orthoskill.
Con questa tecnica, anziché usare il grasso che contiene poche cellule staminali e molte cellule dannose come i macrofagi, è possibile curare le condizioni degenerative dell’osso e della cartilagine, con l’uso di un’adeguata ed omogenea quantità di cellule staminali mesenchimali. Una volta prelevato il tessuto adiposo, le cellule staminali vengono isolate dalle cellule dannose e coltivate su un supporto biodegradabile ricco di fattori di crescita. Al termine della coltura, che dura circa due settimane, le cellule vengono iniettate nella zona in cui la cartilagine è danneggiata dove formano nuovo tessuto sano.
“La procedura è simile a quella spiegata per il tessuto adiposo – ha spiegato Sanna che collabora con Bioscience Institute – ma il trattamento di Orthoskill prevede due step.
Il primo è la raccolta di una piccola quantità di grasso attraverso una procedura ambulatoriale di mini liposuzione in anestesia locale da cui è possibile estrarre un numero di staminali sufficienti a generare, dopo la moltiplicazione nella “fabbrica di cellule” come Bioscience di San Marino e Dubai, circa 50milioni di ADSC, divise in 5 provette da 10 milioni di cellule ciascuna, per altrettanti trattamenti. Il secondo step è il reinnesto al paziente dopo circa 12-15 gg tramite l’infiltrazione. La caratteristica innovativa di Orthoskill sta proprio nella coltura ed espansione delle cellule staminali. Una volta fatto il prelievo di grasso di circa 20 ml, questo viene posizionato in una apposita valigetta da trasporto che viene quindi consegnata al personale del Bioscience Institute”.
Cosa succede al campione di grasso una volta giunto nella camera sterile?
L’abbiamo chiesto al dott. Giuseppe Marchesani, Director di Bioscience Clinic Middle East.
“Una volta che il campione è giunto nelle Cells Factory di Bioscience viene velocemente accettato e trasferito nell’area sterile – ha spiegato Marchesani – l’operatore all’interno di una cappa a flusso laminare, con un processo enzimatico, disgrega il tessuto nelle sue componenti cellulari. Dal campione quindi vengono eliminate le componenti cellulari non utili od addirittura potenzialmente dannose come i macrofagi, permettendo di isolare ed espanse le sole cellule di nostro interesse. Il processo di espansione è ottenuto con una tecnica di cultura cellulari estremamente selettiva per le cellule staminali mesenchimali (ADSC). Al termine della lavorazione, dopo circa 12 giorni dalla raccolta del grasso, si avrà una popolazione di cellule staminali assolutamente omogenea e ben maggiore in numero alle cellule staminali inizialmente presenti. Orthoskill sarà quindi pronto per essere cryo-conservato nella nostra cryo-banca o essere reinnestato al paziente”.
Qual è il risultato?
“Partendo dal presupposto che il principio attivo in questa tecnica di terapia rigenerativa sono le cellule staminali mesenchimali, il risultato finale mira ad avere un numero adeguato di cellule altamente omogenee e prive di contaminazioni da impiegare in uno o più trattamenti. Questa tecnica permette di superare i limiti delle metodiche che impiegano le cellule staminali del grasso senza una fase di coltura. Innanzitutto il paziente può ricevere una precisa dose di cellule staminali idonea per la sua patologia, vengono inoltre eliminate le componenti cellulari che potrebbero essere addirittura lesive come i macrofagi sopra citati o in genere le cellule leucocitarie.
Ortoskill quindi rappresenta una grandiosa e rivoluzionaria novità?
“Assolutamente, può essere considerata una delle prime traslazioni della medicina rigenerativa che impiega cellule staminali di grado farmaceutico in ambito clinico. Dopotutto, prestigiosi istituti europei tra cui il Rizzoli si stanno muovendo nella medesima direzione. Un grandioso progetto Europeo, ADIPOA e II del VII Programma Quadro dell’UE che ha coinvolto 12 centri europei riuniti in un consorzio coordinato dal Centro Universitario Ospedaliero di Montpellier, iniziato nel 2010 e totalmente finanziato dalla comunità Europea, che mira a sviluppare una piattaforma per il trattamento dell’osteoartrite con cellule mesenchimali ottenute dal tessuto adiposo, sta iniziando in questi mesi a dare i primi entusiasmanti risultati.
L’ampio studio multicentrico ha confermato l’efficacia del trattamento con le cellule staminali, sin dalla prima applicazione: sono state usate due dosi di ASCs in 50 pazienti ciascuna, comparate con un gruppo di controllo che ha ricevuto una iniezione di acido ialuronico. Per tutti poi sono stati misurati i benefici e gli effetti sulla disabilità e la qualità di vita con la scala di valutazione WOMAC (la Western Ontario and McMaster Universities Arthritis Index) che ha registrato un miglioramento significativo del dolore, sino al 40% in meno. Miglioramento del 30% nella scala KOOS (Knee injury and Osteoarthritis Outcome Score) e del 50% nell’indice VAS per la valutazione del dolore”.
Il quantitativo di grasso adiposo viene quindi prelevato dal chirurgo, inviato all’istituto che procede con l’isolamento e la coltura delle cellule staminali mesenchimali e dopo 12 giorni è tutto pronto per essere iniettato al paziente.
Dott. Sanna, in questo caso come avviene l’innesto?
“Esistono diverse opzioni. Nella maggior parte dei casi si procede con l’infiltrazione a mezzo siringa con ago sottile e tutto viene fatto in regime ambulatoriale. Questa procedura a seconda dell’articolazione da infiltrare può prevedere l’utilizzo di un’ ecografia per guidare precisamente l’ago durante il trattamento. Questo è il caso dell’anca che essendo contornata da molti muscoli è sicuramente meno “aggredibile” di un ginocchio che è invece “palpabile” in quasi tutti i suoi contorni.
In altri casi invece, specialmente dopo un trauma in un giovane atleta o sportivo, che magari ha oltre al danno cartilagineo altre lesioni associate ( lesione del menisco, del legamento crociato), le cellule staminali vengono iniettate direttamente nel tessuto cartilagineo danneggiato questa volta però, con approccio chirurgico mininvasivo secondo la metodica artroscopica. Grazie ad una micro telecamera, il chirurgo può vedere direttamente il sito della lesione posizionando perfettamente l’ago in modo da eseguire l’iniezione delle cellule con grande accuratezza e precisione.
Esistono infine altre situazioni, quali ad esempio la necrosi ossea, frequente soprattutto alla testa femorale, dove per cause ancora non ben conosciute ma probabilmente per un difetto di irrorazione sanguigna, il tessuto osseo progressivamente va in sofferenza andando incontro a una morte cellulare (necrosi). In questi casi si possono iniettare le cellule staminali direttamente nell’arteria che sappiamo essere quella afferente la zona del tessuto sofferente o, in alternativa, tramite un piccolo foro percutaneo e guidati da una TAC le cellule staminali vengono iniettate nel punto di lesione”.
Ci sono effetti collaterali?
“Poiché usiamo solo le cellule del paziente, non ci sono rischi di alcun tipo (contaminazione, rigetto o reazione allergica)”.
Quante volte occorre ripetere il trattamento?
“Non esiste una frequenza ideale per eseguire queste procedure perché dipende dalla gravità della condizione e dalla capacita’ intrinseca di guarigione propria di ogni paziente.
Può essere sufficiente un trattamento, o anche effettuarne altri senza però eseguire un nuovo prelievo visto che le cellule possono essere tranquillamente conservate per moltissimi anni in apposito criocongelatori. Quando necessarie vengono scongelate e rese in pochi giorni disponibili per il nuovo trattamento.”
Quali sono i tempi di guarigione? E quali sono i risultati?
“Dipende dal paziente. L’efficacia terapeutica del prodotto biologico è strettamente correlata all’età biologica del paziente e non solo a quella anagrafica. L’età biologica è legata allo stile di vita e alla condizione fisica generale (l’obesità, il fumo, l’alcool e le droghe hanno un effetto negativo).
Di solito il processo di riparazione con Orthoskill richiede 2-3 mesi, ma il miglioramento si può notare anche prima, circa 4-6 settimane dal trattamento. Ad ogni modo, i risultati molto spesso sono davvero sorprendenti. Il paziente che prima non camminava, non era grado di flettere o estendere il ginocchio, depresso per la percezione negativa delle sue limitazioni e spaventato dal dover affrontare un importante intervento chirurgico non scevro da rischi quali quello protesico classico, lo si rivede in poche settimane tornare alla quasi completa ripresa funzionale, senza dolore e anche di buon umore”.
La ricerca scientifica in campo medico ha un ruolo fondamentale. Le tecniche innovative in campo chirurgico sono possibili grazie anche all’impegno dei ricercatori che lavorano in modo costante ogni giorno per raggiungere dei grandi risultati, come in questo caso.
Dott. Marchesani, secondo lei cosa ci riserva il futuro?
“Sono certo che assisteremo ad un prepotente sviluppo di un nuovo tipo di medicina, molto meno invasivo e molto più custumizzato alle esigenze del paziente. Con il procedere della nostra conoscenza in campo biomedico, la combinazione di tecniche di biologia cellulare, molecolare e biotecnologia dei materiali sposteranno l’attività dei medici dalla sala operatoria a ambienti più simili a laboratori. Basti pensare alle nuove terapie anti tumorali con cellule CAR-T, roba fantascientifica solo 6 anni fa. La figura del medico sarà ancora più cruciale, sarà suo il compito di amalgamare insieme le varie tecnologie per l’ottenimento del miglior risultato clinico. La collaborazione tra gli specialisti nei diversi settori, vedi nel caso tra i biologi e gli ortopedici è fondamentale perché la professionalità è cruciale nella selezione del paziente, nel suo monitoraggio e per corretto uso del prodotto”.
Lo sviluppo di un nuovo tipo di medicina sempre meno invasiva, innovativa e più vicina e attenta alle esigenze del paziente è possibile grazie alla collaborazione tra le diverse branche mediche e scientifiche, ma soprattutto alla ricerca. E come disse lo scienziato statunitense Charles Sanders Peirce “Non si può bloccare la strada della ricerca”.