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Dispersione urbana in sanità
Lo sprowl urbano o dispersione urbana è un fenomeno che ne indica un altro, ovvero quello della crescita rapida e disordinata di una città. Margaret Chan, ex direttrice dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), aveva affermato durante una conferenza: “Le città sono il futuro del nostro mondo. Dobbiamo agire subito per essere certi che diverranno posti salutari per tutte le persone.”
La metropoli offre maggiori opportunità rispetto alla campagna in termini di lavoro, cure, servizi sanitari e istruzione. Sussiste però una problematica di non poco conto: l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha stimato che, entro il 2050, la popolazione urbana rappresenterà il 70% della popolazione globale ed il numero delle persone che vivranno in baraccopoli urbane potrebbe triplicare a tre bilioni. Ciò significa che la gestione delle città rappresenta una delle grandi sfide attuali e che l’approccio interdisciplinare dell’impatto sociale, economico e ambientale sulla salute deve ancora essere esaminato e compreso pienamente.
Il numero degli abitanti nei centri urbani sta aumentando sempre di più insieme a delle complicanze che possono riguardare anche la propagazione di diverse patologie. A tal proposito, l’OMS parla di “nuove epidemie urbane” citando come esempio il diabete, una malattia che colpisce milioni di persone residenti in città. Il diabete comporta non solo un costo sociale importante, ma ha anche un rilevante impatto economico sulle risorse del sistema sanitario. È nato così il progetto “Cities Changing Diabetes” destinato a coinvolgere attivamente le autorità municipali delle principali metropoli mondiali. Secondo alcune stime dell’Istituto nazionale di statistica (Istat), nel 2014 il 65% delle persone con diabete viveva in aree urbane contro il 74% nel 2040.
Urge quindi la necessità di gestire questa complicata situazione che, nel lungo periodo, potrebbe sopraffare i sistemi sanitari e compromettere la qualità della vita di tutti gli individui nel mondo. Per fare ciò, occorre trovare nuove modi di progettare, costruire e gestire le città per aiutare le persone a vivere una vita sana. Ovvero bisogna:
- Rivolgere maggiore attenzione alla prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili, in inglese Non Communicable Disease (NCD), identificando i rischi causati da degli stili di vita urbani scorretti e costruire sistemi sanitari che siano non solo in grado di fornire trattamenti, ma che sappiano evitare in modo più efficace lo sviluppo delle NCDs.
- Mettere al centro delle politiche urbane la salute costruita in ogni aspetto della strategia urbana che considera, ad esempio, i trasporti, le politiche abitative ed il cibo per affrontare adeguatamente il cambiamento climatico e le disuguaglianze.
- Adottare nuovi modelli di collaborazione al fine di realizzare nuove partnership che coinvolgano organizzazioni pubbliche e private riunendo i governi nazionali e regionali, le amministrazioni comunali, gli urbanisti, i servizi sanitari pubblici e privati, le imprese e le comunità.
I punti sopra indicati sono stati evidenziati durante la Conferenza internazionale Habitat III, organizzata da Un-Habitat, l’Agenzia delle Nazioni Unite sugli Insediamenti Umani, che si è svolta a Quito in Ecuador dal 17 al 20 ottobre 2016. La sua missione è stata quella di promuovere lo sviluppo di insediamenti urbani sostenibili a livello sociale e ambientale, e il raggiungimento di un alloggio adeguato per tutti. Nonostante sia stata un’occasione molto importante per esporre delle ampie questioni, ulteriori sviluppi devono essere ancora effettuati concretamente e la strada è lunga, specialmente in Italia.