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Chiarimenti sulla paura degli spazi aperti
Etimologicamente, il termine agorafobia proviene dal greco “αγορά” (piazza) e “φοβία” (paura): “paura della piazza”, ovvero degli spazi aperti e/o affollati. L’agorafobia fu originariamente descritta nel 1871 per specificare la paura di lasciare la casa, rimanere soli per la strada, in piazza oppure il timore di viaggiare con qualsiasi mezzo di trasporto. Nella cultura popolare il termine sembra essere usato per indicare una generica paura di uscire fuori casa.
Spesso la parola agorafobia viene utilizzata per individuare solamente situazioni di forte panico. In realtà, il termine indica la paura di trovarsi in situazioni da cui non sia possibile fuggire né ricevere aiuto in caso di pericolo. È una condizione molto complessa che non riguarda solamente, come comunemente si crede, la paura degli spazi aperti.
L’agorafobia è una vera e propria malattia e le persone con questa patologia possono avere paura anche a viaggiare sui mezzi pubblici, a visitare un centro commerciale e ad uscire di casa per il semplice timore di trovarsi di fronte a situazioni particolarmente stressanti che potrebbero scatenare i disturbi tipici di un attacco di panico, ovvero battito del cuore accelerato, iperventilazione, sensazione di caldo accompagnata da sudorazione e senso di malessere.
Di solito, quindi, un individuo affetto da questa patologia tende ad evitare tutte quelle situazioni che potrebbero scatenare attacchi di ansia e preferisce uscire di casa solo in compagnia di un amico o di una persona cara e ordina la spesa online invece di recarsi di persona in un supermercato. Questo tipo di comportamento, volto a evitare completamente il pericolo di stare male, è definito come elusione del rischio.
In genere, l’agorafobia si sviluppa come complicazione del disturbo di panico che comprende numerosi momenti di intensa paura. Tuttavia, può succedere che, in alcuni casi, gli attacchi di angoscia non si presentano e il malessere avvertito è legato alla paura di situazioni generali come la criminalità, il terrorismo, le malattie e gli incidenti di ogni tipo. Anche eventi traumatici, come un lutto, possono contribuire allo sviluppo dell’agorafobia.
Se si ha il presentimento di soffrire di agorafobia è altamente consigliabile parlarne con il medico curante e descrivergli i propri sintomi, la frequenza con cui compaiono e le situazioni in cui si sono verificati. Il dottore potrebbe porre alcune domande per comprendere soprattutto quale sia la fonte di stress che li determina. La maggior parte delle persone trova miglioramenti significativi sottoponendosi a una cura psicologica.
In particolare, nella maggior parte dei casi per la cura dell’agorafobia si raccomanda un approccio graduale che consiste nel:
– Acquisire conoscenze sulla malattia, sui possibili cambiamenti nello stile di vita da mettere in atto e sulle tecniche di auto-aiuto utili ad alleviare i disturbi. I cambiamenti possono includere lo svolgimento regolare di un’attività fisica, la scelta di un’alimentazione decisamente più sana, quindi priva di alcol e bevande troppo zuccherate e contenenti caffeina, e l’assenza di droghe. Le tecniche di auto-aiuto, utili nel corso di un attacco di panico permettono di rimanere nel luogo in cui ci si trova concentrandosi su qualcosa di visibile e non percepito come minaccioso, respirando lentamente e profondamente.
– Iscriversi ad un programma guidato di auto-aiuto istituzionalmente accreditato. Ciò significa utilizzare manuali in grado di esporre le differenti tipologie di problemi che potrebbero verificarsi e forniscono consigli pratici su come affrontarli nel migliore dei modi.
– Incominciare cure più intensive come la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e prendere farmaci specifici.
Circa un terzo delle persone che soffrono di agorafobia ottiene una guarigione completa, mentre nella metà i sintomi migliorano, anche se nei casi di forte stress possono intensificarsi nuovamente. Nonostante le cure, tuttavia, circa un quinto continua ad avere disturbi di questa patologia.
L’agorafobia è due volte più comune nelle donne rispetto agli uomini manifestandosi tra i 18 e i 35 anni di età.