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Il dolore globale e le cure palliative: “quando c’è ancora molto da fare”
Quando sembra che non ci sia più niente da fare, invece c’è ancora molto da fare. A dirlo sono gli esperti nella gestione del dolore appartenenti all’Ordine dei Fatebenefratelli che per mercoledì 5 dicembre prossimo hanno organizzato a Venezia, presso l’Ospedale San Raffaele Arcangelo Fatebenefratelli (Madonna dell’Orto 3458), un convegno sul “dolore globale”. La mattinata prenderà avvio dalla constatazione che la gestione del dolore, sia acuto ad insorgenza improvvisa sia cronico che perdura nel tempo diventando una vera e propria malattia, risente di un “gap” culturale che ha gravi e ingiustificate ricadute non solo sul paziente ma anche sulla collettività.
Questo gap si lega a un’inappropriata diagnosi e a un inadeguato trattamento. Il convegno inoltre è stato pensato come un momento da condividere con i partecipanti che necessitano di un iter (diagnostico e terapeutico) appropriato che conduca a un linguaggio comune non solo nella gestione clinica del dolore ma anche nel suo trattamento, che è non solo un diritto delle persone (Legge n. 38 del 15/3/2010) e un dovere della classe medica, ma anche un indice di civiltà sanitaria.
Particolare risalto verrà dato all’elaborazione del concetto di dolore globale e alle cure palliative, perché, quando la malattia diventa inguaribile, cioè non responsiva alla terapia, e “non c’è più niente da fare”, in realtà “c’è ancora tanto da fare”. Le cure Palliative, sono cure che, come suggerisce il senso etimologico del termine, servono a “palliare”, controllare i sintomi, in particolare il dolore. II dolore è uno dei principali sintomi del cancro, sia per l’elevata frequenza con cui si manifesta sia per il suo impatto sulla qualità della vita. Già, al momento della diagnosi è presente nel 30 per cento circa dei pazienti e, nelle fasi avanzate, nel 60-95 per cento. Il dolore oncologico ha una peculiarità, è “globale”, o “totale”, perché coinvolge tutta la persona nelle sua sfera fisica, psicologica, sociale, spirituale. È un fenomeno multidimensionale, che, in quanto tale, richiede un approccio interdisciplinare.
Le cure palliative hanno dunque come scopo, quello di prendersi cura non solo del dolore nei suoi molteplici aspetti, ma anche degli altri sintomi, sia del paziente sia dei suoi familiari, in modo da garantire loro la migliore qualità di vita fino alla fine. Verranno condotte anche alcune riflessioni sul cambiamento della medicina nell’età della tecnica e sulla necessità sempre più viva di attingere all’area della sfera narrativa, che guardi al corpo vissuto della persona malata oltre che al corpo come organismo da curare.
È importante dunque ribadire che in Italia le cure palliative sono un diritto di tutti. A prevederlo è la legge la 38/2010, che garantisce «l’accesso alle cure e alla terapia del dolore da parte del malato, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze». Eppure, a oggi, questo diritto resta in parte solo sulla carta e troppo spesso, a causa della mancanza di risorse, il malato viene lasciato da solo con la sua famiglia davanti al dramma del dolore.
A distanza di otto anni dall’entrata in vigore della legge esistono disparità sul territorio nazionale che gli stessi medici definiscono inaccettabili. Se ne è discusso anche a Riccione dove giovedì 15 novembre è stato aperto il 25esimo Congresso nazionale della Società italiana di cure palliative (Sicp), «Limiti e orizzonti nella cura». I limiti sono quelli dati dalla natura stessa, i limiti temporali della prognosi o del tempo disponibile per l’assistenza, ma sono anche i limiti degli spazi dedicati alla cura, o quelli delle terapie o delle risorse disponibili.