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In Italia la sanità è poco digitalizzata. Fanalino di coda in Ue
Quella dell’Italia verso il fronte tecnologico dell’innovazione è sicuramente una corsa più lenta rispetto agli altri Paesi dell’Europa.
Un elemento non trascurabile neppure in sanità tanto che stando alle conclusioni che si possono trarre dal convegno “Gestione del paziente cronico nell’era della digitalizzazione” che si è svolto a palazzo Giustiniani a Roma su iniziativa di Fondazione Roche il Belpaese sarebbe all’ultimo posto, all’interno della Comunità europea, per spesa pro-capite: ancora e-mail e sms sarebbero dunque gli strumenti più utilizzati per comunicare con i medici.
Come sottolinea la Fondazione Roche, fondata nel 2017 con l’intenzione di accendere i riflettori sulla persona-paziente e sui suoi bisogni di salute, la digitalizzazione è una risorsa chiave per favorire la sostenibilità economica di lungo periodo del Sistema Sanitario Nazionale, contribuendo all’erogazione di un adeguato livello di qualità delle cure, con beneficio per il paziente e il sistema Paese.
L’Italia, secondo i dati 2018 dell’Osservatorio Innovazione in Sanità Digitale del Politecnico di Milano, investe in sanità digitale solo 22 euro pro-capite contro i 60 delle Gran Bretagna o i 40 della Francia.
A fronte di una maturata consapevolezza circa il ruolo che la digitalizzazione può giocare in sanità tanto nella erogazione di nuovi modelli di cura, quanto in favore della sostenibilità del Servizio Sanitario, l’Italia mostra ancora un quadro di arretratezza: sembrano alquanto insufficienti gli investimenti in sanità digitale da parte del sistema pubblico e privato, e poco digitale risulta la gestione del paziente cronico, e più in generale dei cittadini.
“Nelle malattie croniche, la digitalizzazione è un tema di primo piano quando si ragiona in termini di programmazione degli interventi sociosanitari”, ha detto la professoressa Mariapia Garavaglia, presidente di Fondazione Roche introducendo i lavori e spiegando che negli ultimi mesi Fondazione Roche si è posta l’obiettivo di sostenere un dibattito sui valori sui quali esso si fonda: equità, uguaglianza e universalismo. In particolare, il suo carattere universalistico può essere messo a dura prova dal divario tra risorse disponibili e bisogni dei cittadini e per rispondere a questi bisogni, garantendo la sostenibilità economica del sistema, le soluzioni digitali rappresentano una leva fondamentale per trovare nuovi equilibri.”
Come è naturale in ogni ambito professionale e di progresso, l’innovazione digitale rappresenta l’elemento utile a colmare il divario tra bisogni e risorse. Risulta pertanto necessario che la digitalizzazione si declini nei processi di rinnovamento organizzativo e tecnologico, ma anche di empowerment del paziente/cittadino e di sviluppo delle competenze degli operatori sanitari.
Cartella clinica, telemedicina, App, dispositivi indossabili, intelligenza artificiale, analisi dei big data e quant’altro, possono contribuire a favorire il raggiungimento del traguardo della sostenibilità economica di lungo periodo del Sistema Sanitario Nazionale, contribuendo all’erogazione di un adeguato livello di qualità delle cure, con evidente beneficio per il paziente e per il sistema Paese. Un traguardo, secondo la fotografia tracciata dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, sulla base dei dati Istat e del secondo Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN, messa a dura prova dai numeri: a fronte di una spesa sanitaria complessiva, tra sistema pubblico ed esborso diretto dei cittadini, stabilizzatasi negli ultimi 5 anni intorno ai 145-150 miliardi di euro, il fabbisogno stimato per il 2025 si attesta intorno ai 210 miliardi, dato a cui si deve aggiungere il fatto che la popolazione italiana over 65 sia in forte crescita, rappresentando già oggi il 21,8 per cento del totale – uno dei dati più elevati nel mondo occidentale – e si proietta al 2051 a quasi il 35 per cento, oltre 1 su 3 cittadini.