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Perché esiste ancora la sindrome dell’abbandono
Può capitare a tutti, prima o poi, di soffrire della cosiddetta sindrome dell’abbandono, ovvero il timore di rimanere da soli. Risulta essere una delle paure più grandi in grado di procurare numerosi disagi quando va ad incidere enormemente sulla vita affettiva e relazionale di una determinata persona.
La maggior parte delle persone ci convive senza nessuna conseguenza specifica. Invece, nel momento in cui questa paura comincia a non essere gestita, subentra una vera e propria malattia attraverso la manifestazione di un forte disagio che può portare all’angoscia e alla depressione.
Possono soffrirne i bambini, soprattutto nei confronti della figura materna, e gli adulti riguardo ad una persona significativa. In particolare, si sente il timore che la persona a noi vicina possa morire o andare via e si resta sempre della convinzione che, nonostante le cose vadano bene, prima o poi si finirà soli.
Ci si sente, di conseguenza, emotivamente dipendenti dall’altro e non si tollerano le separazioni, anche brevi, a causa della paura di perdere il legame di intimità.
Per comprende appieno da cosa origina la paura dell’abbandono, bisogna considerare due principali fattori: la biologia e l’ambiente relazionale in cui si sviluppa l’individuo. Ad esempio, quando un individuo cresce all’interno di ambienti instabili emotivamente e costellati da perdite o abbandoni, verrà colpito, in un tempo non definito, da tale patologia.
In età molto precoce il bambino si rende conto di non essere autosufficiente e di dipendere per ogni cosa dall’oggetto (adulto), il quale c’è e non c’è. In altri termini, quando il bambino può percepire la presenza della madre, è rassicurato perché ha imparato che lei si occupa di lui, se però la madre “scompare”, cioè si sposta fuori della percezione del bambino, allora nasce la crisi, l’angoscia, ed il bambino piange, fin quando o non viene rassicurato dalla madre, o non realizza che la persona permane anche se lui non la vede/sente; cioè fin quando non supera una delle fasi precoci dell’infanzia, ed entra nella successiva.
Questa grande paura rimane probabilmente nel ricordo, e le emozioni possono risvegliarsi anche da adulti, quando l’oggetto, verso il quale si è strutturata una dipendenza affettiva, “scompare”.
È interessante ricordare che possono soffrire di tale sindrome anche gli anziani abbandonati a sé stessi (e in questo momento di crisi economica e sociale stanno aumentando in maniera esponenziale) e le ragazze-madri abbandonate dalla famiglia di origine.
Secondo l’Associazione Italiana di Psicologia, al fine di prendere dimestichezza con questo terrore, risulta cruciale:
– Analizzare le circostanze infantili che possano aver portato alla nascita della paura dell’abbandono.
– Ricordare perdite, lutti, separazioni reali o emotive.
– Diventare consapevoli dei sentimenti di abbandono attuali. Questa metodologia porta a riconoscere in quali situazioni si attiva questa paura per poi imparare a gestirla. È importante, difatti, sforzarsi di conviverci, trascorrendo del tempo nel modo che fa più paura, in maniera graduale e non immediata, stando soli con sé stessi.
Tuttavia, qualsiasi sia la manifestazione di questa sindrome e l’età di chi la subisce è sempre molto utile una psicoterapia per fare un salto nel passato, prendere completa consapevolezza del proprio vissuto emotivo, e far emergere emozioni, sentimenti, pensieri così da imparare a conoscerli e a gestirli.
Se vengono create le basi per una maggiore autostima, l’acquisizione di una consapevolezza che noi dobbiamo essere i primi a prenderci cura di noi stessi, per una maggiore cognizione di sé e delle proprie azioni, si è in grado di superare il timore della perdita.
La possibilità di poter contare su noi stessi diventerà inversamente proporzionale alla paura di essere abbandonati e quindi alla dipendenza dall’altro.
Inoltre, si arriverà ad avere la consapevolezza che vivere una relazione sana significa dare alla propria identità la possibilità di manifestarsi e non annullarsi in toto nei confronti dell’altro per paura di perderlo e per esserne accuditi.