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Da “cattivi” a icone di stile e bellezza: una panoramica sulla rappresentazione dell’albinismo nell’arte e nella cultura
“Attento alla luce”. Sono queste le parole pronunciate prima di morire da Calibano in Logan, il film conclusivo della serie tratta dai fumetti Marvel sugli X-Men. Il mutante albino, moralmente ambivalente ma alla fine dalla parte dei nostri eroi, costituisce una eccezione fra una serie di personaggi letterari, fumettistici e cinematografici visti come infidi e subdoli nel migliore dei casi, cattivi senza mezzi termini nel peggiore, con una associazione nemmeno tanto subliminale fra albinismo, oscurità e male.
Già nel 2006 in concomitanza con l’uscita del film “Il codice Da Vinci”, Mike McGowan, presidente della statunitense NOAH (National Organization for Albinism and Hypopigmentation), rilasciò una intervista nella quale denunciava che la pellicola sarebbe stata addirittura la 68esima dal 1960 con “il cattivo” della storia albino o caratterizzato da tratti direttamente associabili con l’albinismo, senza mai personaggi albini positivi a fare da contraltare nell’immaginario collettivo.
Un trend vero e proprio, il cui inizio in letteratura è individuabile nel celebre romanzo L’uomo invisibile di HG Wells (1897): il protagonista, come noto, è un giovane e brillante fisico albino che esagera con la sperimentazione sulla densità ottica, degenerando verso follia e violenza. Il trend è proseguito in maniera quasi impercettibile, ma insistente, in tanti altri libri e pellicole. Oltre appunto all’inquietante Silas de Il codice Da Vinci, tutti possiamo ricordare il mercenario Mr Joshua di Arma Letale, i gemelli di Matrix Reloaded, lo psicopatico di Ritorno a Cold Mountain o gli ambigui replicanti di Blade Runner, solo per citare alcuni titoli divenuti famosi anche in Italia. Perfino un classico per adulti e bambini come La Storia Fantastica ha il suo cattivo che si chiama, senza troppi giri di parole, “l’Albino”.
In realtà, come sottolinea il portale italiano dell’ONU (www.onuitalia.it), “l’albinismo è una rara anomalia congenita non contagiosa che si manifesta fin dalla nascita. Questo disturbo affligge entrambi i sessi, indipendentemente dall’etnia o dal paese di nascita. L’albinismo consiste in una deficienza di pigmentazione melaninica nella pelle e comporta ipovisione e vulnerabilità alle ustioni solari e ai tumori della pelle. Contro l’assenza di melanina, che è alla base dell’albinismo, al momento non esiste una cura.” Una condizione medica quindi, che pone nella vita quotidiana limitazioni importanti comunque affrontabili e superabili con adeguati accorgimenti, che nulla ha a che fare con la rappresentazione negativa ricorrente.
Allora come e quando è nato questo brutto stereotipo? Quali danni ha provocato nel corso dei secoli? E soprattutto, cosa si sta facendo per cambiare finalmente la percezione dell’albino a livello sociale? Sono questi i temi sui quali si incentra l’interessante studio The Portrayal of Albinism in Pop Culture – A 360° Change From Previous Ideology pubblicato nel 2015 sulla prestigiosa rivista JAMA Dermatology.
Secondo gli autori, il pregiudizio nei confronti dell’albino potrebbe risalire addirittura al Neolitico, in particolare in Europa orientale dove alcune culture rappresentavano la Morte come una donna molto pallida con i capelli chiarissimi. L’associazione morte-pallore è ricorrente in tutto il folklore europeo (basti pensare al mito dei vampiri) e potrebbe essere una delle radici della diffidenza diffusa nei confronti delle persone con albinismo, che pare però estranea all’Estremo Oriente. Nella cultura giapponese ad esempio, il pallore è al contrario sinonimo di bellezza: non sono rari i personaggi albini “buoni” e quando capita che l’albino ricopra il ruolo di “cattivo”, la scelta deriva dall’intento di enfatizzare il contrasto fra purezza esteriore e malvagità.
Il pregiudizio, che in Occidente può manifestarsi nei classici atteggiamenti di discriminazione, bullismo e prepotenza verso il generico “diverso”, è diventato superstizione crudele e disumana in alcune regioni africane nelle quali gli albini, chiamati in lingua locale zeru zeru ossia, letteralmente, fantasmi, sono stati e purtroppo sono tuttora oggetto di persecuzioni massicce, attacchi, omicidi, violenze, mutilazioni e profanazioni tombali sulla base di orrende credenze di natura “magica” e stregoneria e degli interessi del mercato nero.
Gli anni Duemila hanno visto una presa di coscienza della situazione della quale sono vittime gli albini soprattutto in Tanzania e in altre parti dell’Africa orientale e meridionale: diversi documentari filmati in loco hanno iniziato a mostrare al grande pubblico l’orrenda realtà vissuta da adulti e bambini con albinismo in quelle zone. Born too White (Nato troppo bianco) e In the Shadow of the Sun (All’ombra del sole) sono due fra i documentari trasmessi con maggior successo dai canali televisivi di tutto il mondo e attualmente visualizzabili su YouTube. Particolarmente importante poi è stata la pellicola White Shadow (Ombra bianca), presentato in concorso a Venezia nel 2013: non si tratta in questo caso di un documentario ma di una storia di fantasia basata su dati veri che racconta la vita dura e brutale di un ragazzo albino in Tanzania, in forma di film vero e proprio; infatti dopo il Festival cinematografico di Venezia, è passata nei circuiti cinematografici tradizionali.
Per quel che riguarda invece la lotta contro i pregiudizi e la discriminazione amplificati dal cinema nel mondo occidentale, ha avuto una buona risonanza internazionale la commedia The Albino Code (Il codice albino), realizzata nel 2006 da Dennis Hurley, attore e noto produttore statunitense con albinismo in risposta proprio a Il Codice da Vinci. The Albino Code è una parodia incentrata sul ridicolizzare l’idea stessa che un albino possa veramente essere un abile assassino professionista capace di agire in silenzio senza farsi mai scoprire, proprio a causa delle serie difficoltà visive associate alla condizione.
Non solo film e televisione: il moto di ribellione agli stereotipi vigenti con vario grado di ignoranza e pericolosità a livello globale si è rafforzato anche grazie al mondo della moda e della fotografia. Da Connie Chiu, la prima modella albina in assoluto che dalle passerelle calcate negli anni Novanta è ora una importante attivista, fino a Thando Hopa, l’avvocato/modella/attivista che per prima ha conquistato la copertina di una rivista-simbolo come Vogue (Vogue Portogallo), sono tanti i volti noti che stanno contribuendo a diffondere una maggiore conoscenza sull’albinismo portando avanti la campagna a favore dell’inclusione e della diversità anche partendo dalla semplice osservazione della bellezza estetica. E sono tanti anche i fotografi che realizzano opere sorprendenti come la serie di immagini Tutti i colori del bianco di Silvia Amodio (per conto della associazione Albinit.org), o la celeberrima Albus di Justin Dingwall.
Anche la musica inizia a dire la sua sull’argomento. Lazarus Chigwandali, un giovane albino del Malawi, da artista di strada a Lilongwe dove cantava per racimolare i soldi necessari ad acquistare creme solari indispensabili per proteggersi dal sole, si accinge in questi giorni a registrare un album molto atteso intitolato Stomp on the Devil (Calpesta il diavolo) che raccoglie 30 canzoni di denuncia delle discriminazioni e degli attacchi violenti subiti dagli albini nel Paese, alcune delle quali già da tempo trasmesse regolarmente sulle radio locali.
Sono tutte iniziative fondamentali nel contribuire a dissipare ignoranza e paura in una battaglia che, se sta ottenendo risultati positivi nella percezione generale in Occidente, purtroppo è ancora in pieno svolgimento nelle regioni africane dove continua a essere indispensabile l’impegno attivo delle organizzazioni internazionali e degli enti di accoglienza e protezione. È per questo che la ricorrenza della Giornata internazionale dell’albinismo, che anche quest’anno è caduta il 13 giugno, continua a essere una occasione importante di riflessione e invito all’azione in tutto il mondo.