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Coronavirus, viaggio a Codogno, dove tutto è cominciato
Con l’approvazione del decreto dell’8 marzo scorso, Codogno e i comuni del Lodigiano, in Lombardia, e Vo’ Euganeo, in Veneto, oggi vivono una apparente libertà, sono stati eliminati i posti di blocco che per 14 giorni li hanno circondati, filtrando entrate e uscite. Il Governo, con i nuovi provvedimenti, l’ultimo annunciato ieri sera, ha deciso che queste aree blindate non esistono più, tutta l’Italia è “protetta”. Per due settimane, gli abitanti di quella che era stata chiamata la prima zona rossa hanno vissuto con regole molto restrittive, nessuno poteva entrare e uscire. I dieci comuni della provincia di Lodi (insieme a Vo’ Euganeo) sono stati i primi a chiudere le scuole, i musei, buona parte degli esercizi commerciali, a sospendere eventi e manifestazioni.
Dal 23 febbraio non deve essere facile la vita qui, tra paura e solitudine. Codogno è un po’ il comune simbolo di questa emergenza. Qui è stato trovato il primo positivo, da qui si è sviluppato il cosiddetto “focolaio lombardo”.
Per capire come sono vissuti dalle persone questi giorni, abbiamo parlato con Claudia, che vive a pochi chilometri da Codogno, con il marito e la figlia di tre anni.
“Da subito tutte le attività sono state chiuse”, ci ha spiegato. “Le farmacie aprivano a turno, così come i supermercati. Si creavano code lunghissime, la gente stava in fila con il carrello e la mascherina, perché facevamo entrare solo tre persone alla volta. Tutti facevano scorte, per cui se arrivavi tardi non trovavi quasi più nulla, solamente surgelati. Purtroppo è capitato anche a me, non trovavo carne fresca, o pane, anche alla bimba ho dovuto dare prodotti surgelati. La gente si comportava come se ci fosse stato un terremoto, o un’alluvione. Come se quasi fossimo in guerra. Effettivamente, anche ora si cerca di uscire il meno possibile e limitare i contatti esterni. Io vivo in un piccolo comune confinante con Codogno, San Fiorano, dove per i primi giorni l’unico negozio di alimentari aveva chiuso, per cui sono stata costretta a prendere la macchina e spostarmi per fare la spesa”.
Sono distanze molto brevi quelle che collegano i diversi paesi di quella che era la zona rossa, vi fermavano spesso quando c’erano i posti di blocco?
“Sì, tra un paese e l’altro c’erano spesso posti di blocco, ed eravamo circondati dall’esercito. A molti non veniva permesso nemmeno di spostarsi tra i comuni. 50.000 persone chiuse dentro”.
Il governo ha facilitato la concessione dello smart working alle aziende della zona, voi come vi siete organizzati con il lavoro?
“Io, per la tipologia di lavoro che faccio, riesco a lavorare da casa. Da poco tempo ho anche un’altra attività che svolgo prevalentemente online. Sicuramente in queste situazioni del tutto imprevedibili, avere delle attività di backup o cercare di differenziare le entrate, può rappresentare una chance in più per far sì che il budget familiare non si inceppi completamente. Mio marito invece ha un’attività, un’officina, e in quei giorni ha dovuto chiudere. Non poteva nemmeno andarci, voleva approfittare dei giorni di chiusura per imbiancare, ma non era possibile. Tutto doveva essere sigillato”.
Come passate le giornate?
“Abbiamo una bambina, quindi la nostra giornata ruota intorno a lei e, almeno per me, al lavoro. In questi giorni di isolamento, ci alterniamo e cerchiamo di intrattenerla, quando è possibile la facciamo uscire in giardino. Ha tre anni e giustamente vuole giocare e ha bisogno di attenzioni. C’è un parchetto vicino casa dove potrei portarla, ma sinceramente ho paura e cerco di evitare di avere contatti”.
La situazione non deve essere stata facile…e non lo è nemmeno adesso, anche se avete un minimo di mobilità in più…
“No, non lo è. L’isolamento è brutto, io tengo troppo alla mia libertà, quei giorni in cui non potevo nemmeno andare a Piacenza, che sta a 8 km da casa mia, mi hanno fatto impazzire. Ora per fortuna possiamo spostarci e almeno da questo punto di vista respiriamo. Non possiamo però andare a trovare le persone in ospedale, e chi muore per il virus, e purtroppo sono in tanti, non ha nemmeno un funerale. È molto triste. Io conosco molte persone che sono ricoverate, forse alcune non ce la faranno, non le posso andare a trovare e questa è una delle cose che fa più male. Si cerca di evitare assembramenti di persone, lo capisco, ma umanamente è molto difficile da accettare. Anche economicamente sarà un colpo durissimo per il nostro territorio. I negozi sono stati chiusi, per non parlare dei bar e dei ristoranti. Le persone non hanno lavorato per giorni e giorni. Ma come si fa ad andare avanti, così? Le tasse sono state sospese, è vero, ma solo per un periodo, poi bisognerà pagarle per intero. Con quali soldi se non si lavora? Come si pagano i dipendenti se si sta chiusi? Spero davvero che verranno presi provvedimenti più incisivi, perché sarà davvero difficile ripartire.
Una cosa però devo dire mi ha sorpreso: la solidarietà che molte persone anche a distanza hanno dimostrato a noi ‘reclusi’, con messaggi di affetto e proposte di invio generi di prima necessità (pur non potendo mandarci nulla, essendo totalmente isolati da mezzi di trasporto e spedizioni) soprattutto i primi giorni di incertezza, quando la situazione non era chiara. E per questo davvero le ringrazio”.
Come hai reagito quando hai saputo che c’era un caso di coronavirus nel tuo paese? Cosa hai pensato?
“La paura inizialmente mi ha paralizzato. Ho iniziato a pensare al peggio, perché ero al corrente della velocità di contagio. Poi ho iniziato a documentarmi sulla malattia e sugli effetti che poteva potenzialmente avere su un soggetto apparentemente sano e scoprendo che il decorso poteva essere anche asintomatico, mi sono tranquillizzata. Tuttavia poi col passare dei giorni e con l’aumento dei casi a tutte le età, tra cui alcuni molti gravi, e vedendo le terapie intensive dei nostri ospedali già piene, ho dovuto purtroppo ricredermi”.
Tua figlia è molto piccola, ma sta risentendo di questa situazione?
“Giulia è felice di avere mamma e papà a casa tutti per sè e naturalmente non capisce quello che sta succedendo. Di sicuro il fatto di non poter vedere nonni, zii e cugini da circa tre settimane la fa stare male. Proprio domenica abbiamo dovuto festeggiare purtroppo solo per videochiamata mio nipote Riccardo che ha compiuto 11 anni e lei subito dopo ha pianto… Questo è uno dei lati più brutti di tutta questa storia, non poter vedere i parenti che magari vivono lontano, evitare i contatti con gli amici. È tutto molto triste”.
Cosa è cambiato ora che i blocchi sono stati tolti e siete, per così dire, uguali a tutti gli altri?
“Anche ora che hanno tolto i blocchi, il senso di responsabilità ci porta ad evitare di muoverci se non per esigenze inderogabili. Io, ad esempio, non mi sono ancora mossa. Purtroppo questo in molti non lo hanno capito e continuano a sottovalutare l’emergenza. Spero che con gli ultimi provvedimenti tutti si responsabilizzino davvero, per non rendere vani gli sforzi fatti fino ad ora…”.
Gli esercizi commerciali hanno riaperto? E i supermercati e le farmacie?
“Le farmacie sono aperte, su turnazione ce n’è sempre almeno una disponibile. I supermercati sono aperti e in certe fasce si verificano ancora code per l’ingresso. Le mascherine sono sempre obbligatorie. Nei centri commerciali, anche se non ci vado per ovvi motivi, so che i negozi possono aprire solo dal lunedì al venerdì e con tutte le tutele del caso. I ristoranti e i bar da lunedì hanno avuto la possibilità di riaprire, pur con orari ridotti e l’adozione di tutte le misure necessarie per evitare il contagio. Ma credo che le persone abbiano ancora paura a muoversi. Un mio compaesano, titolare di un ristorante, ha deciso di aprire solo per fare servizio di take away, senza permanenza di persone all’interno del locale, per tutelare se stesso e gli avventori. Mi sembra un comportamento molto responsabile, pur con tutto il danno economico che ne consegue”.
Ringraziamo Claudia per la sua testimonianza, resteremo in contatto con lei e ci risentiremo nei prossimi giorni!