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Coronavirus: dalla pensione al ritorno in corsia per aiutare i colleghi
La storia del dott. Vanni Borghi, infettivologo
Da settimane a causa dell’emergenza Covid19 i medici e gli operatori sanitari stanno lavorando duramente: turni massacranti, pochi (scarsi) dispositivi di protezione individuale, ma nonostante queste condizioni, allo stremo delle loro forze, non si arrendono. Il loro obiettivo è quello di curare tutti i pazienti ricoverati nelle strutture sanitarie. Tutta Italia si è mobilitata per dare dei contributi, c’è che ha fatto donazioni, chi ha messo in campo sistemi di telemedicina per un consulto medico a distanza, e chi addirittura pur stando in pensione è tornato in servizio in maniera volontaria e gratuita per aiutare i propri colleghi a gestire l’emergenza COVID19. È il caso del dottor Vanni Borghi, infettivologo, medico in pensione dal 1 gennaio scorso, dell’Azienda Ospedaliero Univeristà di Modena. “In un momento di crisi devi partecipare e non mollare. Lavoro in una grande squadra composta da infettivologi, pneumologi, chirurghi e mi sto occupando della logistica, dell’organizzazione, della clinica” dichiara il dott.Borghi in un video messaggio. L’infettivologo, seppur in pensione da pochi mesi, al suo rientro si è trovato davanti una realtà diversa da quella che aveva lasciato, “ un ambiente trasformato dalla malattia, dove l’organizzazione ha dovuto adattarsi a questa nuova realtà.” Il dott. Borghi spiega che due sono stati gli aspetti che lo hanno toccato profondamente ,“Il primo è quello dei pazienti, che vivono una situazione difficile non solo la loro condizione clinica, ma anche psicologica, visto che questa patologia fa paura e ti isola dai tuoi affetti. L’altro aspetto, infatti, è quello delle famiglie separate dalla malattia, senza la possibilità di andare fisicamente in ospedale a trovare i propri cari ricoverati”. In questo momento drammatico il suo desiderio è quello di “riuscire a lavorare a favore dei pazienti che seguiamo normalmente, in particolare quelli con epatite C e HIV (quasi 1500) che in questo momento soffrono il fatto che la struttura è tutta concentrata sul COVI19. Stiamo introducendo una serie di azioni per riprendere, anche se a ritmo ridotto, le normali attività ambulatoriali per le persone con infezione da HIV che devono eseguire gli esami e controllare le terapie”.