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Epatite C: conosci, previeni, fai il test, curati
Oggi ci sono dei validi strumenti per curare e guarire dall’Epatite C.
L’epatite C, tra le cinque forme di epatite virale, è un’infezione virale che colpisce il fegato, causata dal virus denominato hepatitis C (HCV).
Il contagio avviene prevalentemente in via ematica attraverso il contatto diretto con il sangue. Il maggior fattore di rischio è la condivisione di aghi o siringhe infetti, ma il contagio può avvenire anche se vengono utilizzati strumenti non sterilizzati nei centri estetici, di tatuaggi e di agopuntura. Il consiglio è quello di verificare sempre che, prima di sottoporsi a qualunque trattamento, vengano usati strumenti monouso.
Il periodo di incubazione va da 2 settimane a 6 mesi. Dopo aver contratto l’infezione del virus, circa l’80% delle persone non presenta alcun sintomo. La fase acuta pertanto decorre quasi sempre in modo asintomatico e se non riconosciuta può diventare cronica. Sintomi come febbre, nausea, vomito, spossatezza, inappetenza, ittero, urine di colore giallo scuro sono comuni sia alla fase acuta che cronica ma sono discretamente rari. Se non diagnosticata e curata, la malattia può provocare complicanze molto gravi. Il 20-30% dei pazienti con epatite cronica C sviluppa, nell’arco di 10-20 anni, cirrosi (malattia cronica e degenerativa del fegato) e, in circa l’1-4%, successivo epatocarcinoma. (fonte: Epicentro Istituto superiore sanità). L’epatite C è una delle principali cause di cancro al fegato. Al livello globale si stima che 71 milioni di persone abbiano un’infezione cronica da virus dell’epatite C (Fonte: OMS)
Il problema principale di questa patologia è che spesso la fase acuta dell’infezione è asintomatica, infatti l’epatite C è stata anche definita un “silent killer”. In che modo combattere la malattia e ridurre la mortalità? Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’obiettivo è eliminare il virus dell’Epatite C entro il 2030 con la raccomandazione di testare le persone che potrebbero essere ad aumentato rischio di infezione. La risposta dell’Italia è stata quella di puntare alla riduzione delle morti correlate all’HCV entro il 2022, attraverso uno screening mirato su particolari gruppi della popolazione, cercando di individuare tutti coloro che non sanno di aver contratto l’infezione.
Quali sono gli strumenti per riconoscere la malattia in fase iniziale e quali i trattamenti per bloccarne il decorso e riuscire a raggiungere gli obiettivi? L’abbiamo chiesto alla Professoressa Erica Villa, Direttore della Gastroenterologia del Policlinico di Modena.
L’epatite C è una malattia spesso asintomatica, ci sono persone che hanno contratto il virus ma non sanno di averlo. Quali sono le strategie di screening per identificare il paziente prima di questa fase?
Non sono ancora state implementate campagne di screening di popolazione, anche a causa delle maggiori urgenze sanitarie degli ultimi mesi, che hanno interferito con la loro programmazione. Vi è comunque consenso che lo screening generalizzato non è costo-efficace mentre lo è quello diretto a popolazioni specifiche, che per motivi di età o di appartenenza a gruppi sensibili, più a rischio di infezione, massimizzano l’utilità dello screening.
Quali sono i sintomi da non sottovalutare e quando consultare il medico?
I sintomi sono spesso assenti ed in ogni caso aspecifici. Ciò che i nostri pazienti più spesso lamentano è una forte astenia, che talora arriva ad essere invalidante. Uno dei risultati più positivi delle nuove terapie antivirali, oltre ovviamente all’eradicazione virale, è il veloce recupero di uno stato di benessere a cui il paziente non era più abituato.
Il contagio avviene con il contatto diretto del sangue. Si può anche trasmettere attraverso rapporti sessuali?
La maggioranza delle infezioni in passato avveniva attraverso contatto con sangue infetto, sia attraverso trasfusioni che per condivisione di siringhe infette. Ormai le trasfusioni sono molto sicure, poiché vengono fatti controlli estremamente accurate sulle singole donazioni. La trasmissione per via sessuale è possibile ma molto infrequente. La via principale di acquisizione dell’HCV rimane quella attraverso la condivisione di siringhe infette.
Il virus dell’epatite C provoca un’infezione inizialmente acuta che può, se non diagnosticata e curata, diventare cronica. Quanto è importante la diagnosi precoce e la consapevolezza da parte del paziente di sottoporsi alle cure?
La scarsa identificazione dell’epatite acuta HCV-positiva previene sicuramente la possibilità di una cura precoce (è infatti stato dimostrato che una precoce terapia antivirale previene la cronicizzazione dell’infezione). In passato, quando l’acquisizione dell’HCV avveniva in larga misura anche per via parenterale inapparente (come detto sopra attraverso l’utilizzo di dispositivi non sterili), era molto difficile identificare i soggetti infettati. Attualmente, è più facile identificarli perché spesso chi si infetta appartiene a popolazioni sensibili già inserite in protocolli di sorveglianza sanitaria.
È vero che ci sono dei casi di persone infette che eliminano il virus spontaneamente entro 6 mesi dall’infezione senza alcun trattamento?
Sì, una piccola percentuale di pazienti, che si stima in circa il 20%, è in grado di guarire spontaneamente dall’epatite acuta.
Al momento non esiste un vaccino contro l’epatite C, tuttavia, la ricerca sta lavorando in questa direzione. Dal fronte trattamento, rispetto al passato, oggi sono disponibili delle terapie innovative.
Professoressa, quali sono le ultime linee guida e quali i benefici?
Il trattamento dell’Epatite C è ormai stato esteso alla generalità dei pazienti, indipendentemente dalla gravità di malattia. La sicurezza e l’efficacia dei DAAs li rendono uno strumento di cura sicuro ed estremamente efficace in tutti. Nella nostra provincia (così come nelle altre province della RER) è attivo un gruppo multidisciplinare dedicato alla terapia dei pazienti con HCV. I risultati sono estremamente positivi, con percentuali di successo che sfiorano il 100%. Per quei pochi individui che non rispondono completamente, abbiamo adesso disponibili farmaci di cosiddetta linea, in grado di recuperare i pochi non responders.
L’impegno dell’OMS è quello di eliminare il virus dell’epatite C entro il 2030 e raccomanda di testare le persone che potrebbero essere ad aumentato rischio di infezione.
Secondo uno studio coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e pubblicato sulla rivista Liver International, l’Italia è in anticipo di otto anni sul primo obiettivo dell’Oms, ovvero quello della riduzione delle morti correlate all’HCV, in quanto si è prefissata di raggiungere la diminuzione del 65% entro il 2022. Questo traguardo, che pone il nostro Paese come modello nella lotta al virus, sarà possibile grazie ad uno screening mirato su particolari gruppi della popolazione, cercando di individuare tutti coloro che non sanno di aver contratto l’infezione.
Professoressa cosa ne pensa, si riuscirà a raggiungere tale obiettivo? Cosa resta ancora da fare in Italia per eliminare l’infezione dell’Epatite C?
L’Italia e la Regione Emilia-Romagna (non va dimenticato che sono state le regioni che hanno investito in modo dedicato finanziamenti oltre quelli indicati dal Ministero della Sanità) hanno veramente investito moltissimo per riuscire a centrare l’obiettivo dell’OMS. Certamente, fra i vari disastri che il virus SARS-2 ha determinato, rientrano anche la sospensione dei trattamenti per oltre 6 mesi e la dilazione dell’avvio dei progetti di screening delle popolazioni speciali. È auspicabile che in autunno si possa ripartire a pieno regime per entrambi questi aspetti.