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L’Italia non è un Paese per sordi. “Il lockdown ci ha mostrato quanto sia essenziale la comunicazione”
Intervista all’interprete LIS, Sara Di Fazio
Dal palco dell’Ariston di Sanremo, l’interprete LIS Mauro Iandolo, figlio di genitori sordi, lo scorso febbraio ha tradotto, nella Lingua dei Segni, la canzone delle Vibrazioni in gara al Festival. Da Palazzo Chigi le ormai tradizionali conferenze stampa del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, arrivano in tv con l’ausilio dell’interprete LIS. Il 2020 per l’Italia è senza dubbio alcuno l’anno della lingua dei segni, che ha finalmente abbattuto le barriere della comunicazione accendendo i riflettori sulla cultura dell’inclusione. Il lockdown e l’attuale contesto emergenziale hanno garantito un’estensione della comunicazione a tutti: il cambiamento ha influito anche nella comunità sorda, che ha manifestato una grande presenza sui social e creatività sia per i contenuti espressi, sia per l’uso delle tecnologie visive. Tuttavia, nonostante questo atteso risultato, la Lingua dei Segni nel nostro Paese non è ancora riconosciuta ufficialmente. “È questo un primo step ma c’è molto da migliorare per dirsi realmente inclusivi”. A ribadirlo è Sara Di Fazio, pedagogista e Assistente alla comunicazione nell’équipe di base dell’Associazione I-SPK, Io Se Posso Komunico, che si occupa di abilitazione della comunicazione in bambini e ragazzi con sindromi rare.
Dottoressa Di Fazio, un risultato che necessitava di una crisi o che l’Italia avrebbe potuto raggiungere in tempi non sospetti?
L’attuale contesto emergenziale e la conseguente necessità di veicolare messaggi importanti a tutta la popolazione hanno indotto il nostro Governo a incontrare il mondo dei sordi, un mondo tanto piccolo quanto profondo, e ad avere più attenzione nei suoi confronti. Sono però anni, se non decenni, che la comunità sorda lotta per il riconoscimento ufficiale della propria lingua e per i servizi che con essa dovrebbero poi essere forniti, come per esempio l’interpretariato almeno nelle più importanti strutture pubbliche, penso a ospedali e tribunali. Si sarebbe potuto raggiungere un tale livello di notorietà per la Lingua dei Segni anni fa. Nessuno si sarebbe augurato di servirsi di una tale situazione di emergenza per poter portare alla luce il mondo dei sordi, la sua lingua e i problemi sociali.
In che modo la Lingua dei Segni risente della presenza sempre più assoluta della tecnologia nella nostra vita?
La Lingua dei Segni è la lingua della comunità sorda segnante e perciò non risente o soffre della presenza di una tecnologia che non può nel modo più assoluto sostituirla ma solo supportarla. Oggi infatti è proprio grazie alla tecnologia che le persone sorde sono in grado, per esempio, di scaricare un’applicazione gratuitamente sullo smartphone che gli dà la possibilità di intessere un discorso orale scritto sul cellulare in pochi minuti. È sempre grazie alla tecnologia che le persone sorde possono videochiamare o inviare messaggi video senza grandi difficoltà. Questa non potrà mai sostituire la necessità che l’uomo ha di comunicare, che sia con la voce o con le mani, ma potrà sicuramente sostenerlo ed aiutarlo.
Il linguaggio dei segni è universale?
È importante continuare a sottolineare che la Lingua dei Segni è appunto una Lingua a tutti gli effetti e non un linguaggio. Non esiste una Lingua dei Segni universale, come spesso si ritiene. In ogni Paese troviamo comunità di persone sorde che si servono di differenti segni per comunicare, posso citarne qui alcune tra le più note: l’American sign language (ASL, in America), la Langue des signes française (LSF, in Francia), il British sign language (BSL, in Inghilterra) e la Lingua dei Segni italiana (LIS, in Italia). All’interno di queste lingue, è possibile constatare come uno stesso significato venga espresso in modo diverso, oppure come lo stesso segno possa assumere significati completamente differenti. Inoltre, come accade per le lingue vocali, all’interno di una stessa nazione si possono anche ritrovare i dialetti. In Italia, per esempio, è possibile che alcuni segni presentino variazioni da una città all’altra, da Nord a Sud. Tutto ciò accade perché la lingua si basa sulla cultura di un popolo; se per noi italiani il caffè si beve in tazzina piccola, il segno per “caffè” nella LIS sarà appunto “tazzina di caffè che si beve”, mentre invece per gli americani il caffè è ancora quello che si macina e si beve in tazza grande e da qui ne deriva il segno in ASL di “macinino da caffè”. Non può inoltre esistere una Lingua dei Segni universale per lo stesso motivo per cui non esiste una Lingua vocale universale. È impensabile pensare che tutti i rappresentanti dei Paesi del mondo si riuniscano e decidano a tavolino una lingua valida per tutti, e così, allo stesso modo, sarebbe impensabile che i rappresentati di tutte le comunità sorde del mondo si riuniscano per stabilire una Lingua dei Segni universale. La Lingua è cultura, è usanza, è tradizione ed ogni Paese. Ciascun popolo ha la propria.
Per quale ragione è fondamentale la componente faccia a faccia?
Passando per il canale visivo-gestuale, la comunicazione segnica ha racchiuso il 50% del significato del messaggio che vuole mandare nel contatto oculare, nelle espressioni facciali, nei movimenti delle labbra e nel movimento del corpo; perciò ancor di più che per la comunicazione verbale, quella che passa attraverso i segni beneficia al massimo di un contatto faccia a faccia.
La nostra società è realmente inclusiva in questo senso?
Purtroppo, l’Italia ha ancora molto su cui migliorare per divenire un paese realmente inclusivo. Pensiamo solamente al fatto che una persona sorda con una non sviluppata capacità nella lingua vocale e una sordità profonda debba andare in ospedale. Non è pensabile che vada da sola poiché c’è il rischio che non la capiscano e soprattutto che questa non comprenda realmente la sua diagnosi, perciò sarebbe ottimale che trovasse un servizio di interpretariato 24h su 24h in ospedale, che ad oggi non esiste. Se il sordo vuole evitare situazioni pericolose e di disagio, dovrà rivolgersi a un interprete privato a proprie spese. La stessa situazione potrebbe presentarsi per esempio in Tribunale o in uno studio notarile. Pensiamo ancora alla scuola. Ai bambini e ragazzi sordi spettano in media dalle 10 alle 15h settimanali di Assistenza alla Comunicazione, e le altre ore scolastiche? Come comprendono le lezioni? Come interagiscono con i compagni? Tutto ciò non è pensabile per un Paese che si possa ritenere veramente inclusivo ed evidenzia ancora le tantissime lacune che abbiamo e su cui si deve ancora lavorare.