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Covid-19: variante Xe “ricombinazione” Xj. Di cosa si tratta? La parola agli esperti
Identificata in Gran Bretagna una nuova mutazione del virus Sars-CoV-2 e in Italia isolata una ‘ricombinazione’ di Omicron 1 e 2
Si chiama Xe la nuova variante segnalata in Gran Bretagna.
Secondo le prime stime la nuova mutazione avrebbe una maggiore contagiosità rispetto alle precedenti con un “vantaggio del tasso di crescita di circa il 10% rispetto a BA.2, ma questo dato richiede un’ulteriore conferma”, ha precisato l’Organizzazione mondiale della sanità.
La variante Xe verrà considerata appartenente alla famiglia Omicron finché non verranno riportate “significative differenze nella trasmissibilità del mutante nelle caratteristiche della malatti che provoca inclusa la gravità”, ha sottolineato l’OMS.
Al momento per gli esperti italiani la variante Xe non è preoccupante ed è prematuro allarmarsi.
“E’ ancora troppo presto per capire se e quanto ci deve preoccupare la variante Xe di Sars-CoV-2”, ha detto all’Adnkronos Salute è Walter Ricciardi, docente di Igiene all’università Cattolica e consigliere del ministro della Salute, Roberto Speranza. “Si sta valutando, soprattutto in Inghilterra, che è ancora una volta il Paese da dove arriva una variante. Xe sembrerebbe più contagiosa, ma al momento – ha aggiunto Ricciardi – sono stati segnalati solo 600 casi. Aspettiamo”. Questo però ci dice che “le varianti continueranno a selezionarsi e per questo dobbiamo stare attenti”.
Anche per il virologo Fabrizio Pregliasco, docente all’università Statale di Milano, “è ancora troppo presto per dire se dobbiamo preoccuparci di Xe, perché “sono appena qualche centinaio i casi registrati nel mondo e allarmarsi è prematuro”. L’invito è quindi ad “aspettare e monitorare, rafforzando la sorveglianza” sui mutanti emergenti del coronavirus pandemico. Pregliasco ha sottolineato che “la tendenza evolutiva dei virus, salvo inciampi, è quella di diventare progressivamente sempre più benevoli nei confronti dell’ospite”. In altre parole, Xe potrebbe anche rivelarsi più trasmissibile, ma addirittura meno aggressiva delle precedenti versioni di Omicron.
Walter Ricciardi è intervenuto sul tema variante Xe e vaccino. La nuova variante Omicron Xe sembra più contagiosa e il virus contagia anche i vaccinati, in particolare chi non ha fatto il booster. “Questa vaccinazione è fatta con 3 dosi. Una persona che oggi ha 2 dosi non è praticamente vaccinata. Questa malattia non dà un’immunità permanente, anche un soggetto guarito può reinfettarsi. Fino al 4% delle persone si reinfetta e cominciano ad esserci soggetti che si reinfettano più di due volte. Ci dobbiamo preparare mentalmente ad una battaglia di lunga durata che non finisce con l’emergenza giuridica: vaccinazioni, green pass, mascherine e comportamenti saggi vanno tenuti”.
I contagi si diffondono in particolare nelle fasce caratterizzate da una copertura vaccinale ridotta. In Italia nella settimana tra il 30 marzo e il 5 aprile, si è registrata una lieve diminuzione dei nuovi casi da Covid-19. (469.479). Scendono a 21 le province con incidenza superiore a 1.000 casi per 100.000 abitanti. In aumento, seppur più lievemente, l’occupazione dei posti letto in area medica, ma tornano a scendere le terapie intensive. Fisse le percentuali di popolazione vaccinata con almeno una dose (85,6%) e con un ciclo completo (84%). Il tasso di copertura terze dose è pari a 83,5% e sono 64.792 le quarte dosi somministrate agli immunocompromessi (8,2%). È il quadro dell’ultimo monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE. “Dopo la stabilizzazione della scorsa settimana – ha dichiarato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – i nuovi casi settimanali si attestano a quota 469 mila, con una riduzione del 6,9% e una media mobile a 7 giorni che scende intorno ai 68 mila casi. Rimane tuttavia molto difficile fare previsioni, sia per l’eterogeneità delle situazioni regionali, sia perché in alcune grandi Regioni del Nord iniziano ad intravedersi segnali di risalita”
Sul fronte degli ospedali “torna a scendere il numero dei posti letto occupati da pazienti COVID in terapia intensiva (-3,3%), mentre continuano ad aumentare, seppur in misura minore rispetto alla scorsa settimana, quelli in area medica (+5,2%)”, ha affermato Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE. “Al 5 aprile il tasso nazionale di occupazione da parte di pazienti Covid-19 rimane sostanzialmente stabile rispetto alla settimana precedente: 15,8% in area medica e 5% in area critica. 14 Regioni superano la soglia del 15% in area medica, con l’Umbria che arriva al 42,4%; Calabria e Sardegna superano la soglia del 10% in terapia intensiva. In lieve aumento il numero degli ingressi giornalieri in terapia intensiva: la media mobile a 7 giorni si attesta infatti a 50 ingressi/die rispetto ai 45 della settimana precedente”.
“È importante rilevare – ha commentato Cartabellotta – che il quadro dei pazienti ospedalizzati è notevolmente mutato negli ultimi 6 mesi, sia per effetto delle coperture vaccinali e relativi booster, sia per la progressiva sostituzione della variante delta con quella omicron, più contagiosa, ma meno severa”. In particolare, se a fine ottobre veniva ricoverato il 3,22% degli attualmente positivi in area medica e lo 0,47% in terapia intensiva, oggi queste percentuali sono crollate rispettivamente allo 0,78% ed allo 0,04%. Inoltre, se il recente rialzo dei casi ha determinato in tre settimane un incremento di oltre 2.000 posti letto in area medica, in area critica al momento si osserva un plateau. “Questo dimostra che si è ridotto in maniera rilevante il numero di pazienti COVID-19 ospedalizzati per polmonite severa che richiedono un ricovero in terapia intensiva – ha detto Cartabellotta – mentre vengono ospedalizzati soprattutto anziani con patologie multiple che possono essere assistiti nei reparti ordinari”.
Xj: ricombinazione di Omicron 1 e 2
Xj è la ‘ricombinazione’ delle due sottovarianti più diffuse della Omicron e non una variante del virus Sars-Cov-2. Dopo la segnalazione della presenza di Xj in Finlandia e Thailandia, la ricombinazione è stata individuata per la prima volta in Italia dal laboratorio dell’Asp del capoluogo calabrese. Il virus è stato individuato – annuncia l’Asp – in due persone, si tratta di una ricombinazione dei ceppi di Omicron 1 e Omicron 2 e comporterebbe un aumento della contagiosità. I campioni sono stati inviati all’Istituto superire di Sanita che – riferisce l’Asp – ha validato la scoperta.
“E’ una ‘ricombinazione’ non una variante del virus Sars-Cov-2 quella isolata a Reggio Calabria”, ha spiegato Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di Statistica medica ed Epidemiologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma.
Qual è la differenza tra variante e ricombinazione?
“La variante si distingue da un’altra per una o più mutazioni. La forma ricombinante, invece, è un ‘ibrido’ di due varianti o due sottovarianti – in questo caso Omicron 1 e 2 – nella stessa persona”. Ciccozzi invita a non allarmarsi per questa nuova ‘veste’ del virus pandemico, individuata per la prima volta in Italia dal laboratorio dell’Asp del capoluogo calabrese e di cui erano stati già scoperti pochi casi in Finlandia.
“Si tratta dunque di una ‘normale’ forma ricombinante di due varianti di cui conserva, sostanzialmente, le caratteristiche – ha spiegato Ciccozzi – e ‘ricombina’ in un punto che non è la proteina Spike. Dovrebbe avere la stessa contagiosità delle Omicron, dunque, che è notevole. Potrebbe, al limite, presentare un sintomo in più rispetto a quello che abbiamo visto fino ad oggi”. Non cambia molto, insomma, ma è importante però, “avere il quadro di quello che sta succedendo attraverso la sorveglianza genomica, come bene fanno gli inglesi”, ha aggiunto.
Per Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, bisogna fare chiarezza “senza alzare un polverone ingiustificato o allarmismo inutile: è nell’ordine delle cose che il virus muti ed evolva, ci saranno sempre varianti e ricombinazioni come abbiamo visto per tanti altri virus”. “L’aver scoperto la mutazione Xe in Inghilterra, come anche quella isolata in Calabria – ha aggiunto – è frutto del fatto che studiamo questo virus come mai avevamo fatto in passato. Ciò da una parte è un bene perché stiamo imparando a conoscerlo, dall’altra però continuano a uscire notizie scientifiche, cliniche, laboratoristiche che dovrebbero essere solo appannaggio della comunità scientifica, che invece quando arrivano al grande pubblico, non pronto a capire fino in fondo cos’è una ricombinazione rispetto a una variante, si diffonde un allarmismo ingiustificato”. “Per questo – ha ribadito – bisogna fare molta attenzione alla comunicazione corretta”.