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Servizi logopedici, domanda in crescita

Intervista al dottor Andrea Arcangioletti: “Il Servizio sanitario non riesce a rispondere in maniera adeguata a questo fenomeno”
In Italia c’è un grande problema: l’aumento dell’inflazione, che porta con sé l’incremento del costo della vita, e la ferma paralisi degli stipendi induce sempre più di frequente le famiglie a dover decidere quanto e in cosa investire i propri risparmi. Spesso i servizi legati alla cura e all’assistenza scivolano all’ultimo posto delle priorità e, così come raccontato su queste pagine in relazione alla salute dentale, anche per i servizi logopedici si registra una rinuncia collettiva pur interessando questi l’età evolutiva (senza tralasciare la fascia adulta).
La domanda per i servizi logopedici nel nostro paese è in continua crescita, specialmente tra bambini con disturbi del linguaggio e adulti con patologie croniche. Tuttavia, l’offerta non tiene il passo: il numero ristretto di logopedisti e le lunghe liste di attesa rendono complicato un intervento tempestivo. Chi non riesce a pagare spesso rinuncia alle cure, è questo un fenomeno che si allarga a macchia d’olio sull’intero territorio nazionale. Ne abbiamo parlato con il dottore Andrea Arcangioletti, logopedista presso l’Ausl Romagna e, nello specifico, l’ospedale ‘Infermi’ di Rimini.
Dottor Arcangioletti, lei ha avviato la professione nel 2018, noto alla storia come ‘l’anno nero del risparmio’, essendo stato il peggior anno dello scorso decennio per l’industria del risparmio gestito indebolito dal simultaneo ribasso di azioni, obbligazioni, petrolio e dell’oro. Oggi, dopo sette anni, che situazione trova?
Non posso che confermare questa premessa: tutti i servizi in cui ho lavorato sono caratterizzati da una lista d’attesa più o meno lunga, dai 6 mesi a un anno circa, alcuni anche di più, e la quantità di lavoro è sempre importante. Il fatto di non poter intervenire il prima possibile o addirittura agire in prevenzione per alcune patologie, anche attraverso la promozione di progetti di sensibilizzazione nelle scuole oppure la realizzazione di corsi pre-parto coi futuri genitori, è un altro aspetto che allunga ulteriormente la presa in carico: sappiamo infatti che gli interventi tempestivi (soprattutto in età evolutiva) hanno migliore outcome e assicurano una più rapida risoluzione. Oggigiorno il Servizio Sanitario Nazionale non riesce a rispondere in maniera adeguata alle richieste e le liste di attesa sono lunghe, sebbene il numero di assunzioni sia sempre maggiore man mano che procedono gli anni. A questo sommiamo un dato non trascurabile: non tutti i pazienti hanno la possibilità economica di rivolgersi al privato. Ma occorre fare un distinguo.
Quale?
In età evolutiva le famiglie sono più informate e per questo sono anche disposte a investire sui vari percorsi di cura per il proprio figlio. L’aspetto economico diventa un freno per l’età adulta e soprattutto geriatrica: la tendenza dei caregivers è quella di non impegnare le proprie risorse per rivolgersi a un logopedista. Inoltre non sono molti i logopedisti che sanno o vogliono trattare pazienti in questa specifica fascia d’età, cosa che rende il tutto ancor più difficoltoso.
Quando allora una famiglia decide di rivolgersi a un professionista dei disturbi del linguaggio?
Come professionisti sanitari non possiamo fare diagnosi nosografica ma stiliamo un bilancio logopedico delle competenze del paziente in base a un attento colloquio e relativa valutazione attraverso l’osservazione e l’utilizzo di test standardizzati. Questo ci permette di creare un profilo di funzionamento di quel singolo soggetto, coi punti di forza e punti da rafforzare in terapia. In età evolutiva la maggior parte delle famiglie si rivolge al logopedista perché il proprio bambino o la propria bambina mostrano difficoltà nel linguaggio espressivo.

Andrea Arcangioletti
Esattamente. Il primo riguarda quelle famiglie con genitori molto attenti e scrupolosi: di solito i bambini hanno circa 2 anni e mezzo o 3 e mostrano fragilità nel costruirsi un bagaglio lessicale adeguato e soprattutto non hanno iniziato a costruire le frasi. Il secondo scenario è quello delle famiglie che si rivolgono a noi su suggerimento delle insegnanti della scuola d’infanzia. Spesso questi bambini mostrano anche difficoltà di relazione coi compagni di classe, difficoltà a concentrarsi o sono spesso ‘impacciati’. L’ultimo scenario, e per noi logopedisti quello più sconfortante e interessa i pazienti in procinto di entrare alla scuola primaria con difficoltà più o meno gravi negli aspetti fonetico-fonologici, morfosintattici e metafonologici. Spesso questi non vengono inviati dai professionisti come i pediatri o dalle insegnanti perché ‘tanto parlerà, c’è tempo’ oppure ‘non è pronto per la logopedia’. Sappiamo dagli studi longitudinali che questi bambini avranno più frequentemente difficoltà psicologiche come ansia o depressione, ritiro scolastico e sociale e difficoltà di apprendimento quindi occorre intervenire il prima possibile. L’altra fetta importante di famiglie che si rivolgono al logopedista lo fanno perché il proprio bambino mostra difficoltà scolastiche nelle abilità di lettura, scrittura e calcolo. In questo caso è fondamentale un lavoro di équipe per la valutazione diagnostica e un trattamento specifico sulle difficoltà rilevate.
Come si colloca la logopedia nei disturbi della fluenza verbale?
Il concetto di ‘fluenza verbale’ fa riferimento a una delle varie caratteristiche dello speech, ossia il ‘come’ noi produciamo i suoni e le parole, il ritmo, la velocità, il fluire armonico di una sequenza linguistica: va da sé che i disturbi della fluenza verbale impattino questi aspetti, rendendo la comunicazione difficoltosa. I principali quadri sono la balbuzie e il cluttering, quest’ultimo molto meno conosciuto rispetto al primo ma non per questo meno importante. Entrambi sono disturbi della comunicazione verbale e sono proprio i logopedisti gli operatori sanitari che si occupano di prevenire, valutare e trattare le patologie che colpiscono questa sfera (decreto 14 settembre 1994, 742). Inoltre, per sottolineare ancora di più l’importanza del logopedista come figura di riferimento quando parliamo di disordini della fluenza verbale, occorre fare riferimento alle ‘Linee guida olandesi sulla balbuzie nei bambini, adolescenti e adulti’ che forniscono indicazioni rispetto alla presa in carico della persona che balbetta: è proprio il logopedista che viene delineato come figura centrale che suggerisce al paziente l’eventuale intervento di altri professionisti nel percorso di cura. Viene inoltre descritta la figura del fluency specialist, ossia un logopedista che ha effettuato un master internazionale sui disturbi della fluenza verbale e quindi ha un know-how specifico in questo ambito.
Si banalizza dunque quando si riconduce la balbuzie a un trauma..
In Italia purtroppo tra i vari miti che colpiscono il mondo della logopedia e in particolar modo della balbuzie, c’è proprio la credenza che questa sia dovuta a ‘traumi psicologici’ e che si possa guarire con facilità. Questo falso mito rende il percorso di cura ancora più faticoso e tardivo. Dal punto di vista medico-sanitario questo genera frequentemente invii a figure professionali non adeguate al percorso di gestione della “caratteristica balbuzie” mentre dal punto di vista del paziente questo genera molta confusione e aspettative che spesso vengono disattese. Tirando le somme, la balbuzie viene meglio spiegata in ottica bio-psico-sociale come un disturbo multidimensionale e multifattoriale (si parla infatti di “sindrome balbuzie”) dove si intrecciano aspetti più linguistici e motori a componenti di tipo sociale, cognitivo e emotivo. Il logopedista con un’adeguata formazione o il fluency specialist è infatti in grado di valutare e trattare tutti questi aspetti e, in base alle caratteristiche uniche di quel paziente, personalizzare il percorso di cura affidandosi anche ad altre figure professionali se e quando necessario.
Quando invece si parla di disfonia infantile a cosa facciamo riferimento?
Il termine disfonia fa riferimento a un’alterazione quali-quantitativa della voce quindi per disfonia infantile intendiamo un disturbo della voce che colpisce i bambini e può avere causa organica o funzionale, spesso in correlazione. È un disturbo relativamente frequente, si stima dal 6 al 10 per cento in età evolutiva, anche se è spesso sottovalutato o trascurato dai genitori ma anche dagli specialisti. Come per la maggior parte dei disordini, prima si interviene e migliore sarà il risultato nel breve e lungo periodo. In tal senso, questo tipo di disturbo è spesso funzionale e dovuto a un malmenage (modalità errata nell’uso della voce) e/o un surmenage vocale (abuso eccessivo della voce): da un lato questo può esitare in un disordine organico come noduli, polipi, edemi mentre dall’altro il protrarsi dei comportamenti pneumo-fonatori disfunzionali rendono il trattamento più difficile e con maggior rischio di insuccesso, oltre che di recidive.
