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Adolescenti e Blue Whale, un gioco psicologico pericoloso. Cosa sta succedendo ai ragazzi?
Cos’è il Blue Whale? Cosa sta succedendo agli adolescenti? Per Health Online lo psicologo clinico e psicoterapeuta Roberta Fedele e il vice presidente del MOIGE, Movimento Italiano Genitori Onlus Elisabetta Scala.
Blue Whale Challenge (Balena Azzurra) non è il titolo di un film, ma il nome di un gioco, definito un vero e proprio rituale psicologico, legato ai social network, proveniente dalla Russia e che sta causando molte vittime tra gli adolescenti. In Russia fino ad oggi, riferiscono i media, la cifra delle vittime che hanno “terminato” il gioco con il suicidio, è pari a 157.
La prima a morire nel gioco perverso è stata la teenager russa Rina Paleonkova, il cui scatto prima di morire ha fatto il giro del mondo.
Il fenomeno purtroppo si sta diffondendo anche in altri Paesi, tra cui Gran Bretagna, Brasile, Francia e Italia, dove lo scorso febbraio un giovane quindicenne si è tolto la vita lanciandosi da un palazzo di 26 piani in un paesino della provincia di Livorno.
Non è ancora chiaro se il gesto è legato al gioco, infatti le indagini stanno procedendo, ma il rischio sono le emulazioni.
A Pescara una tredicenne è stata fortunatamente salvata poco prima del suicidio, grazie all’allarme lanciato da una sua compagnia di classe e all’intervento dei suoi genitori. La ragazzina ha ammesso di aver partecipato al gioco e secondo gli investigatori il fatto che avesse ammesso e deciso di posticipare il suicidio è stato un segno che l’adolescente si fosse resa conto di quanto le stava per accadere.
Il gioco dell’orrore consiste nel seguire alcune regole per 50 giorni, scritte su una lista inviata alla vittima dagli organizzatori, e l’ultimo giorno è previsto il suicidio, gettandosi da un palazzo molto alto.
Regola numero uno, per chi prende parte al gioco attraverso l’iscrizione a specifici gruppi sui social, è quella di tagliarsi la mano e inviare la foto al curatore, la seconda invece è quella di alzarsi alle 4.20 del mattino e guardare dei video psichedelici, la terza tagliarsi il braccio lungo la vena, non troppo in fondo, fare 3 tagli e inviare la foto al curatore. Disegnarsi sul braccio una balena e inviare la foto al curatore è la quarta regola, la quinta invece è incidersi “yes” sulla gamba se si è pronti a essere una balena, altrimenti bisogna punirsi con alcuni tagli. Più si va avanti nei giorni e più le regole del gioco dell’orrore diventano allucinanti: la quattordicesima regola, ad esempio, prevede il taglio sul labbro, alla sedicesima giornata bisogna procurarsi tanto dolore. il 26 esimo giorno il “tutor” comunicherà all’adolescente il giorno in cui dovrà morire, che avverrà allo scattare del 50esimo giorno. Chi arriva all’ultimo giorno viene celebrato dagli altri membri della comunità.
È stato diffuso in rete il servizio choc del programma televisivo “Le Iene”, andato in onda lo scorso 14 maggio, dove l’inviato Matteo Viviani è volato in Russia e ha realizzato un reportage, ripercorrendo le tappe agghiaccianti di questo fenomeno che tiene alta l’attenzione pubblica.
Uno dei tutor, tale Philips Budeikin, ventiduenne che per tre anni ha frequentato la facoltà di psicologia, è stato arrestato, grazie all’abilità degli investigatori russi che si sono finti teenagers, con l’accusa di aver causato il suicidio di 16 ragazzine. Al momento dell’arresto Budeikin non ha battuto ciglio e non è apparso pentito, anzi ha affermato, come è stato riportato da Metro.co.uk, di aver pulito la società e che le ragazzine, da lui definite materiale organico di scarto, erano felici di morire perché per la prima volta aveva dato loro tutto quello che non avevano avuto nelle loro vite: calore, comprensione, importanza.
“Ci sono le persone e gli scarti biologici – ha detto nel corso dell’interrogatorio – Io selezionavo gli scarti biologici, quelli più facilmente manipolabili, che avrebbero fatto solo danni a loro stessi e alla società. Li ho spinti al suicidio per purificare la nostra società”.
Cosa spinge gli adolescenti di oggi a seguire rituali con un tragico finale senza possibilità di ritorno? E com’è possibile manipolare le menti degli adolescenti tanto da spingerli per 50 giorni a sottoporsi a torture continue fino alla morte?
Health Online ha chiesto il parere dello psicologo clinico e psicoterapeuta Roberta Fedele.
Gli adolescenti e le loro fragilità. Far parte di una comunità agghiacciante denominata “club dei suicidi”, fa sì che i ragazzini si sentano compresi, amati e importanti, come ha detto Budeikin?
“Il fenomeno del Blue Whale sembra cavalcare alcuni degli aspetti propri dell’adolescenza esistenti da sempre, con l’aggiunta però di elementi che sono assolutamente figli del periodo storico in cui viviamo. Le caratteristiche dell’adolescenza sono quelle di sempre, ma si dispiegano in un mondo contemporaneo così profondamente diverso per gli strumenti di conoscenza e di comunicazione che vanno a generare il formarsi di nuovi sistemi di significato.
L’adolescenza è un periodo di forte crisi dello spazio mentale e della sua integrazione, che vede l’adolescente impegnato in vari compiti evolutivi, quali il conflitto tra la dipendenza e l’indipendenza, il processo di individuazione, la chiusura in se stessi e l’isolamento, l’importanza che riveste l’appartenenza ad un gruppo ed i movimenti identitari ad esso collegati.
Sembra in particolare che questi due ultimi aspetti siano coinvolti nel fenomeno del blue whale. Infatti, il partecipare al “gioco” prevede l’entrare a far parte di un certo gruppo ed esso, come la maggior parte dei gruppi adolescenziali, scatena al suo interno dinamiche molto intese, è caratterizzato da rigidità e chiusura agli adulti e spesso chi vi appartiene ne accetta le regole e le modalità comunicative. Il gruppo soddisfa spesso un bisogno di sicurezza che il giovane vive in relazione alla propria confusione emotiva.
Spesso il gruppo di pari si contrappone al nucleo familiare, in particolare alle figure genitoriali, le quali tendono a conservare una visione del giovane ancora associata a quella di un bambino; esso soddisfa bisogni di orientamento, di elaborazione di valori diversi da quelli degli adulti, e dà vita ad intensi processi di identificazione su cui si basa la coesione e l’organizzazione del gruppo stesso. Tali movimenti identificatori sono ancora più significativi se il giovane vive una situazione di isolamento e di ritiro in se stesso, percependosi come l’unico garante della propria assoluta autonomia. Ecco quindi che il senso di appartenenza e il sentirsi compreso svolgono un importante peso”.
Il gioco macabro prevede prove fisiche di autolesionismo di difficile comprensione. Cosa spinge un ragazzino a compiere gesti di questo tipo?
“In adolescenza il suicidio o il tentativo di suicidio si identifica come un passaggio all’atto, o acting out, che è una modalità difensiva di cui si serve l’individuo per affrontare i conflitti e le angosce caratteristici della fase di vita che sta attraversando. È bene ricordare che i passaggi all’atto sono comportamenti presenti non solo negli adolescenti che presentano disturbi psicologici ma in ogni adolescente e che assumono le forme più disparate quali fughe, il vagabondaggio, il furto e le manifestazioni di etero e autoaggressività. Si tratta di un arresto o un disturbo delle capacità simboliche e rappresentative, una confusione fra la dimensione interna e quella esterna, tra quella soggettiva e quella oggettiva. Il disagio non avrebbe parole per essere rappresentato, cosa che lo inquadra come il meccanismo prelogico e preverbale per eccellenza, senza alcuna possibilità di pensiero introspettivo o basato sulla internalizzazione e sul pensiero verbale.
Rispetto alla domanda su cosa li spinge, andrebbero presi in considerazione una molteplicità di fattori ed il significato va comunque sempre ricercato nella specificità di ogni singola situazione; tuttavia è possibile individuare alcune situazioni ricorrenti: ci potrebbe essere una difficoltà a tollerare i sentimenti di solitudine e isolamento che accompagnano il processo di separazione dalle figure parentali e di individuazione della propria nuova identità. Questa difficoltà potrebbe non essere adeguatamente controbilanciata dal sentimento di acquisizione della propria nuova identità, delle proprie personali capacità e responsabilità, ma invece sfociare in depressione che, in certi casi, aumenta a dismisura soprattutto perché ha a che fare con un sentimento di scarsa stima di Sé ed un vissuto di inadeguatezza a nuovi compiti. Ancora il fisiologico bisogno di sfidare, che resta sempre una delle maggiori difese in adolescenza.
La trasformazione del corpo nell’adolescenza: il tentato suicidio è un attacco al corpo che a tratti è percepito come estraneo, sconosciuto ed incontrollabile, non appartenente al Sé psichico. Il corpo è allora oggetto di odio e non più fonte potenziale di piacere. L’idea del suicidio permette di compensare l’impotenza che assale l’adolescente che, a differenza dello spazio mentale, non esercita alcun controllo su quello corporeo. Ma questo è un conflitto che deve assolutamente rimanere nella testa, a livello psichico.
Ancora la fantasia di essere salvati dalla morte, la speranza di poter trovare o ritrovare una condizione di pace attraverso il suicidio, di sollievo rispetto alle difficoltà che si stanno attraversando. A questa fantasia se ne aggiunge spesso un’altra, e cioè che mediante la morte si attesti la propria onnipotenza ed il trionfo di Sé sulla realtà.
In molti casi di suicidio c’è il bisogno di trasformare in azione attiva ciò che dovrà essere subìto passivamente, ancora una volta, esercitare una certa dose di controllo su se stessi e su quello che, anche se in un futuro, accadrà.
Va inoltre considerato il fatto che le condotte suicidarie hanno una profonda valenza relazionale. Il suicidio, atto solitario per eccellenza, è sempre anche rivolto mentalmente a qualcuno in particolare o “agli altri” in generale. Secondo Pietropolli Charmet (2009) l’adolescente suicidario lancia una sfida prepotente all’adulto: il genitore è chiamato a fare i conti con l’estrema impotenza e l’enorme distanza che lo separa dall’adolescente e con i sentimenti di paura, disperazione e sgomento per qualcosa che è impensabile e che si palesa violentemente. Il gesto suicidale, sempre secondo l’autore, è un gesto violento perché, seppur rappresentativo dell’estrema impossibilità di pensare ed elaborare rabbia e delusione, vissuti annichilenti e di umiliazione, è un attacco dell’adolescente al senso della relazione con i genitori e imprigiona tutti nella alternanza colpa/espiazione”.
Alla base di questo perverso meccanismo c’è una forte conoscenza degli elementi psicologici da parte dei creatori del gioco?
“Potrebbe esserci sicuramente una profonda conoscenza dei meccanismi psicologici propri della adolescenza e di come questi si incastrino e si amplifichino con i mezzi e gli strumenti moderni, quali la tecnologia, internet, i videogiochi, ecc. Il computer diventa spesso una specie di versione altra di se stessi, senza di esso ci si sente persi e si è fuori dal mondo; lo psichiatra e psicoanalista statunitense Glen O’ Gabbard ha parlato di “Cyber-Se’”. Esso può fornire in pochi secondi così tante informazioni e così tanti contatti e relazioni, che però spesso hanno più il sapore di una non relazione, in quanto si tratta di rapporti che potrebbero non concretizzarsi mai, rimanendo nel limbo del cyberspazio. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione consentono all’adolescente di oggi di ridurre il confronto faccia a faccia e di sostituire l’esperienza diretta con una percezione mediata.
Ci sarebbe da chiedersi se essere sempre connessi, attraverso smartphone, internet, Facebook, ecc. muta il modo di rappresentarsi, se permette di ammorbidire il senso di solitudine che nasce in adolescenza, e se quindi questo vada considerato come una nuova forma di gruppalità, oppure lascia l’adolescente più che mai isolato e chiuso in un suo mondo illusorio”.
Sono state raccolte delle testimonianze di mamme che hanno perso i loro figli a causa del “rituale psicologico”. “Sembravano tranquille – hanno detto – anche il giorno in cui hanno deciso di suicidarsi hanno fatto quello che facevano tutte le mattine. Ci sono persone che garantiscono ai ragazzi di ‘salvarli’ dai problemi che li affliggono, ma i nostri figli non soffrivano di depressione, erano giovani, solari e pieni di vita. Partecipare a quel ‘gioco’ li ha cambiati e portati alla morte”.
Dottoressa Fedele, la regola fondamentale per chi partecipa al gioco è quella di non dire nulla ai genitori e non lasciare tracce in giro. Quali sono i campanelli d’allarme da non sottovalutare per i genitori?
“Sicuramente sarebbe molto importante prestare attenzione ai cambi di umore, ragazzi che sono solari e che invece improvvisamente diventano cupi e silenziosi, agli scatti di ira, alle manifestazioni di ritiro e di isolamento, alle espressioni di irritabilità, al cambiamento improvviso delle abitudini cosi’ come alle manifestazioni ossessive”.
Dopo il servizio andato in onda in televisione, diverse sono state le reazioni da parte dell’opinione pubblica: c’è chi si è sentito angosciato e chi non ha trovato parole per descrivere il fenomeno rifiutandosi di capire il motivo. Secondo lei, mettere la testa sotto la sabbia è uno degli elementi che permette a fenomeni come Blue Whale di svilupparsi?
“La mia opinione su questo è che ci sia una sorta di corresponsabilita’ da parte della società allargata e che si potrebbe fare molto di più in termini di prevenzione, informazione e azione rispetto al fenomeno; sarebbe necessario infatti creare degli sportelli di ascolto, divulgare il più possibile informazioni circa il cyberbullismo, supportare i genitori, soprattutto con approfondimenti che riguardano un uso perverso del mezzo mediatico e di internet. Più che mettere la testa sotto la sabbia, credo che questi fenomeni abbiano trovato terreno fertile in una società totalmente impreparata ad affrontarli e che ancora non è riuscita a reagire; credo inoltre che internet non sia la causa ma il mezzo attraverso il quale la problematica prende forma”.
La Russia, luogo dove è nato il gioco e dove ci sono state maggiori vittime, si sta mobilitando e sta prendendo dei seri provvedimenti per arginare il fenomeno sfuggito al controllo della rete. È stata istituita, insieme con un team di psicologi ed esperti, un’associazione di assistenza ai famigliari e un numero verde di ascolto e denuncia.
Può davvero un gioco cambiare un ragazzino fino a portarlo alla morte? E com’è possibile fingersi tranquilli davanti gli occhi di un genitore?
Ai genitori spetta il compito più importante quello cioè di vigilare sui propri figli affinché non decidano di togliersi la vita a causa di una sofferenza covata nel silenzio e nell’indifferenza.
In che modo i genitori possono vigilare sulla vita sociale dei propri figli senza entrare in contrasto?
Health Online l’ha chiesto a Elisabetta Scala, vice presidente del MOIGE, Movimento Italiano Genitori Onlus, che da anni svolge la sua attività a sostengo delle famiglie per una maggiore tutela dei diritti dei minori e dei genitori.
Quanto è preoccupante questo fenomeno? Qual è la vostra posizione?
È molto preoccupante e noi come Movimento Italiano Genitori in questi giorni stiamo cercando di campire l’ampiezza del fenomeno proprio per parlarne con i nostri figli. Inoltre, stiamo dando delle informazioni ai nostri volontari, i quali daranno a loro volta delle risposte. La nostra raccomandazione è quella di parlare del fenomeno ai ragazzi, spiegare loro quanto sia terribile questo gioco macabro, in modo tale che se sono venuti a contatto con qualcuno coinvolto possano reagire”.
Spesso i genitori degli adolescenti sono all’oscuro di alcuni aspetti della vita sociale dei propri figli. Uno sguardo attento potrebbe aiutare i genitori a comprendere in tempo eventuali comportamenti anomali dei figli, specie se pre-adolescenti?
“Innanzitutto tanto più sono piccoli i bambini tanto più non devono navigare sui social da soli, non bisogna lasciare in mano a un pre- adolescente un telefonino con la connessione h24. È dovere di ogni genitore prestare sempre grande attenzione e parlare con i figli. Parlare con i figli per noi è la prima regola.”
Come controllare i figli senza entrare in conflitto con loro?
“L’utilizzo della rete e di conseguenza i social oggi ci costringono ad entrare nel privato dei nostri figli, è nostro dovere guidarli e anche controllarli chiedendo loro l’amicizia su Facebook”.
Oggi tutto è a portata di click. Se da una parte l’avvento dell’era digitale e la portabilità dei dispositivi hanno dato dei grandi benefici alla società, dall’altra però hanno provocato, e continuano a provocare, seri danni soprattutto se questi strumenti vengono utilizzarti in maniera errata dagli adolescenti, sempre più dipendenti dalla rete.
Secondo il rapporto “Benessere dei quindicenni”, pubblicato da Ocse, è emerso che quasi un quarto degli adolescenti italiani dichiara di trascorrere oltre 6 ore al giorno su internet al di fuori della scuola. Un’abitudine che, si trasforma quindi in vera e propria dipendenza: 47 alunni italiani su cento dichiarano infatti di “sentirsi male se non c’è una connessione a internet”.
Le relazioni attraverso uno schermo escludono la comunicazione verbale fondamentale per relazionarsi con gli altri e a nascondere le emotività, ecco quindi che internet, come ha affermato nel corso di un’intervista a La Repubblica, Federico Tonioni, Ricercatore all’Università cattolica e direttore dell’ambulatorio sulle dipendenze da internet al Policlinico Gemelli di Roma, “è diventato non la causa ma la risposta ad un disagio profondo. Le relazioni online sono spesso le uniche rimaste all’adolescente sempre più orientato ad un ritiro sociale”.
Dottoressa Scala, cosa ne pensa? L’educazione all’utilizzo di internet e della tecnologia resta fondamentale. Il Moige e la Polizia di Stato hanno promosso il progetto “Giovani ambasciatori contro il bullismo e il cyberbullismo per un web sicuro”, con l’obiettivo proprio di fornire a ragazzi, genitori e insegnanti tutte le informazioni necessarie per un corretto e responsabile uso della rete. Quanto sono importanti iniziative volte alla sensibilizzazione e informazione in un periodo storico come quello che stiamo vivendo?
“Il rapporto pubblicato da Ocse ha un fondamento, i nostri ragazzi sono eternamente connessi: ascoltano la musica, vedono programmi televisivi e video con i loro cellulari, anche quando sono impegnati nello studio devono verificare se c’è connessione e nel caso arriva un messaggio devono vederlo e rispondere immediatamente, vivono i social in maniera ansiogena, Questo è un atteggiamento sbagliato e noi dobbiamo dare loro delle regole, quando si sta a tavola o quando si studia il telefonino deve essere messo in disparte. Dobbiamo coinvolgere i nostri figli in attività sportive, creargli delle situazioni da fare nella vita reale e invitarli ad incontrarsi personalmente non attraverso la rete. Occorre educarli. E proprio per questo motivo che la nostra iniziativa “per un web più sicuro” è ormai diventata un appuntamento annuale. Quest’anno c’è stata una novità che ha avuto un grande successo: abbiamo formato dei ragazzi, “gli ambasciatori”, che a loro volta insegnano ai loro coetanei, questo ha funzionato molto perché i giovani sono più predisposti ad ascoltare i loro coetanei che gli adulti. In questo periodo storico occorre cambiare la mentalità, è prioritaria la prevenzione, non si può arrivare ad affrontare il problema a quando c’è l’emergenza”.
Dottoressa Fedele, quanto è importante ristabilire un rapporto tra genitori e figli in età adolescenziale? Quali sono i suoi consigli?
“Il giusto investimento di tempo e di energie durante l’infanzia e la fanciullezza aiuta a prevenire il trasformarsi dei piccoli problemi di queste fasi, nei grandi problemi dell’adolescenza, ed è importante pensare a questo come un processo che va costruito nel tempo. Rispetto proprio all’utilizzo dei dispositivi elettronici quali smartphone, ipad, ecc., sarebbe importante stabilire delle regole e delle limitazioni in maniera precoce; diventa molto complicato infatti, soprattutto con l’adolescenza, ridurre l’uso del computer se per anni il bimbo a tavola ha mangiato con l’ipad acceso oppure gli è stato permesso di giocare al cellulare durante le cene tra amici per “distrarlo”. Questa infatti diventa una realtà abituale e conosciuta per il bambino che, ora adolescente, non si spiega e non accetta il perché non può continuare a fare quello che in sostanza faceva anche prima.
Ritornando alla domanda, durante la adolescenza la parola chiave è osservare i ragazzi, ma una osservazione che li veda, che li guardi veramente, cogliendone i segnali, sia positivi che di disagio, senza però trasformarli immediatamente in scoppi di ansia da parte dei genitori.
Nel caso del fenomeno di cui stiamo parlando, per esempio, sarebbe stato importante destinare una certa quota di attenzione al ritiro dei ragazzi nelle loro stanze per periodi prolungati, oppure al fatto che uscivano di casa alle prime ore del mattino. Spesso il nucleo familiare tollera l’autoreclusione del ragazzo, agevolandolo implicitamente o esplicitamente nel suo rintanarsi nella sua stanza.
In generale è importante adottare un atteggiamento empatico, di comprensione, mostrarsi supportivi nei momenti di difficoltà e anche consolarli se è necessario; stabilire sempre regole chiare, non troppo restrittive, da concordare in anticipo con i ragazzi e che prevedano sanzioni realmente applicabili; notare non solo i comportamenti disfunzionali ma anche quelli adattivi, rinforzandoli positivamente; favorire l’autonomia e l’affermazione di sentimenti e delle aspirazioni (nei limiti consentiti dall’età) da parte del figlio, anche se non sono in linea con quelle che si aspettano i genitori. La capacità educativa dei genitori sta proprio nel permettere l’attuazione di questa separazione del figlio dalle proprie figure e insieme nella capacità di offrire sostegno, comprensione e disponibilità comunicativa in questo momento difficile per il giovane”.
Felicità e gioia di vivere. Questo è lo scopo di Pink Whale, un’iniziativa nata in Brasile lo scorso aprile come risposta al macabro gioco Blue Whale.
La vita è un bene prezioso e va vissuta fino in fondo.
“Sono troppo convinta che la vita sia bella anche quando è brutta, che nascere sia il miracolo dei miracoli, vivere: il regalo dei regali”. Oriana Fallaci.