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AIRC:14 programmi speciali di ricerca sul cancro, 14 sfide
14 sfide, 14 programmi speciali di ricerca sul cancro finanziati dall’Associazione Italiana per la ricerca sul cancro (AIRC), grazie a 10 anni di contributi 5 per mille.
E’ possibile vedere i risultati raggiunti nel nuovo sito, costruito da AIRC, programmi5permille.airc.it.
Il sito presenta sia la parte scientifica, con il dettaglio dei singoli progetti, sia quella legata ai numeri. Ad oggi, i programmi speciali di AIRC, resi possibili grazie alla fiducia di milioni di italiani, coinvolgono oltre 1.000 ricercatori in 119 istituzioni in tutta Italia e hanno prodotto più di 1.600 pubblicazioni internazionali.
“AIRC ha avuto una grande manifestazione di stima e di fiducia dagli italiani. è doveroso da parte di AIRC mettere a disposizione tutto il lavoro che è stato fatto. Uno sforzo che, nel settore dell’oncologia, colloca l’Italia al livello dei grandi paesi stranieri. I risultati sono importanti non solo per le pubblicazioni scientifiche, ma soprattutto perché stanno passando dal banco di laboratorio al letto del paziente. Sono stati già realizzati degli studi clinici e crediamo che questo sforzo, nato dalla fiducia degli italiani, abbia risultati vicini, promettenti e importanti”. Questo il messaggio del Direttore Scientifico AIRC Federico Caligaris Cappio il quale ha spiegato ancora che “Partiti per primi, i programmi speciali di oncologia clinica molecolare hanno prodotto, nei cinque anni di lavoro previsti dal bando, risultati al di sopra di ogni aspettativa. La maggioranza dei gruppi coinvolti ha sviluppato, infatti, qualcosa di importante e applicabile ai pazienti, alcuni sono arrivati fino alla somministrazione delle terapie ai pazienti nell’ambito di iniziali sperimentazioni cliniche. Per poter rafforzare quanto scoperto fino a questo punto, per il 2016 abbiamo deliberato più di 15 milioni di euro per finanziare un bando di estensione rivolto ai coordinatori dei programmi, per consentire loro di proseguire il lavoro, raccogliere ulteriori riscontri per validare i risultati, verificare che le cure individuate non producano effetti tossici e per confermarne l’efficacia anche in un gruppo più ampio di pazienti, prima di richiedere le approvazioni alle autorità competenti”.
Numerosi i risultati che hanno destato interesse scientifico a livello internazionale, tra questi quello inerente alla scoperta dei segreti delle malattie mieloproliferative croniche, che Health Online ha approfondito con il Professor Alessandro Maria Vannucchi, ricercatore AIRC presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica – Università degli Studi di Firenze, nonché coordinatore del progetto.
Le malattie mieloproliferative croniche, rappresentate soprattutto da policitemia vera, trombocitemia essenziale e mielofibrosi primaria, sono disturbi ematologici abbastanza comuni, ma poco conosciuti. Si tratta, infatti, di neoplasie in gran parte sconosciute, dal momento che solo ora si comincia a far luce sui meccanismi molecolari che le generano e ne provocano la progressione da forme tumorali di leucemia mieloide acuta ad andamento prevalentemente cronico, a quadri rapidamente fatali. Alessandro Maria Vannucchi, ematologo dell’Università di Firenze, coordina un programma che coinvolge oltre 80 ricercatori riuniti virtualmente nel gruppo AGIMM (AIRC-Gruppo italiano malattie mieloproliferative).
Professor Vannucchi, quali sono i principali obiettivi del programma dal lei coordinato? Quali sono stati i vostri primi risultati?
“Il programma di ricerca da me coordinato, che abbiamo denominato AGIMM, cioè Gruppo Italiano per le Malattie Mieloproliferative, finanziato da AIRC nell’ambito dei programmi speciali 5 per mille, si è posto come obiettivo generale quello di far avanzare le conoscenze sui meccanismi cellulari e molecolari alla base di questi tumori cronici del sangue, trasferendo i risultati della ricerca di laboratorio al paziente nel minor tempo possibile, così da migliorare i mezzi diagnostici e la terapia. In entrambe queste direzioni abbiamo effettuato passi significativi: abbiamo scoperto nuove mutazioni del DNA per la diagnosi e anomalie aggiuntive del DNA e dell’RNA che condizionano la prognosi; abbiamo compreso che la fibrosi che si sviluppa nelle forme più avanzate è causata da alterazioni dei megacariociti del midollo osseo e che anche i vasi sanguigni possono essere coinvolti, almeno in alcuni casi; inoltre, abbiamo completato studi clinici con nuovi farmaci e definito le strategie più efficaci per ridurre il rischio di trombosi nella policitemia vera. Tutti questi risultati concorrono al miglioramento della gestione globale dei pazienti secondo il principio della medicina personalizzata, per il quale ogni individuo deve essere considerato un unicum dal momento della diagnosi alla scelta della terapia più efficace e meno tossica. Ancora molto resta da fare in questo settore, ma non possiamo negare che gli ultimi dieci anni siano stati esaltanti per i progressi compiuti, ai quali i ricercatori AGIMM hanno dato un contributo ampiamente riconosciuto a livello internazionale”.
Per raggiungere traguardi così ambiziosi serve la piena collaborazione di un’equipe multidisciplinare, in che modo?
“Il successo del progetto AGIMM si è basato, sin dall’inizio, sul concetto della multidisciplinarietà come miglior approccio per decifrare l’intrinseca complessità della malattia tumorale. Oggi sappiamo, da modelli diversi che valgono anche per le neoplasie mieloproliferative croniche, che il tumore è il risultato di una serie di alterazioni che, originate da un danno al DNA, inducono a cascata la compromissione di proteine nelle cellule che ne controllano la normale crescita e maturazione. Il tumore origina, si diffonde e si modifica anche grazie agli abnormi rapporti che le cellule tumorali stabiliscono con l’ambiente circostante. Poi ci sono caratteristiche genetiche individuali che possono influenzare la presentazione clinica, la progressione e la risposta del tumore alla terapia. Per questo il nostro gruppo di ricerca ha incluso professionalità diverse operanti in sette centri italiani di eccellenza: il biologo molecolare per scoprire nuove alterazioni del DNA; il bioinformatico per decifrare le informazioni ottenute con le più complesse analisi genetiche; il biologo cellulare per studiare le alterazioni della cellula e dell’ambiente circostante e il ricercatore clinico, cioè il medico che accompagna il paziente nella sua storia di malattia sin dalla diagnosi e può aiutare a interpretare al meglio i risultati della ricerca di laboratorio riferiti al singolo individuo. Per mettere assieme tutte queste anime diverse, si è compreso che dovevamo parlarci, incontrarci, discutere e progettare assieme, ricercatori più esperti e più giovani, avendo un unico obiettivo condiviso. Le nostre riunioni, a cadenza sempre più ravvicinata nel corso del progetto, sono risultate lo strumento di lavoro più efficace”.
C’è una correlazione tra predisposizione genetica e sviluppo della malattia?
“I tumori mieloproliferativi cronici sono causati da mutazioni del DNA acquisite, cioè mutazioni che compaiono, per motivi che ancora non conosciamo, ad un certo momento della vita di un individuo. Sappiamo che queste mutazioni non vengono trasmesse dal genitore al figlio, come accade per le malattie genetiche ereditarie. Studi degli ultimi anni, ai quali i ricercatori AGIMM hanno contribuito, hanno però dimostrato che esistono delle varianti geniche, relativamente comuni nella popolazione generale, che aumentano il rischio di sviluppare una di queste malattie, ma va sottolineato che, proprio perché comuni, non ha assolutamente senso ricercare tali varianti nel soggetto sano, anche se ha un familiare affetto dalla malattia mieloproliferativa. Questa è una delle domande più comuni che i pazienti, specialmente i più giovani, fanno al medico: posso avere trasmesso la malattia ai miei figli? La risposta è no, si può solo ipotizzare una generica, e non misurabile, predisposizione, come avviene per tante altre malattie, a iniziare dal diabete alle malattie cardiache, a quelle neurologiche”.
Quanto è importante la diagnosi precoce?
“Tra le manifestazioni più comuni dei tumori mieloproliferativi cronici si annoverano le trombosi delle arterie e delle vene e le emorragie. Nel recente passato, la maggior parte dei casi veniva diagnosticata proprio in soggetti che avevano presentato da poco un evento del genere. Grazie alla diffusione dei test ematologici di routine e alla scoperta delle mutazioni del DNA, negli ultimi anni, si è assistito a un numero crescente di diagnosi in fase iniziale, che si riflette anche nell’aumento percentuale di soggetti più giovani nei quali si scopre la malattia. Una diagnosi precoce è di grande importanza per instaurare prontamente una terapia appropriata, spesso con procedure e farmaci come il salasso e l’aspirina, poco costosi, ben tollerati e molto efficaci, e per controllare i fattori di rischio aggiuntivi legati ad esempio al fumo, al sovrappeso, all’errata alimentazione, ad altre malattie croniche trascurate. Gli studi fanno intravedere una riduzione notevole delle trombosi e delle emorragie, quindi siamo sulla buona strada. Purtroppo, la diagnosi precoce non ci aiuta ancora a contrastare efficacemente la più temuta, sia pure relativamente rara, evoluzione della malattia verso una leucemia acuta”.
Quali sono i progetti per il futuro?
“Ad essere sinceri, di progetti ne avremmo ancora molti, ma abbiamo deciso di concentrarci su alcuni aspetti che sono già stati affrontati con successo nella prima parte del progetto e che quindi vorremmo portare a compimento ulteriore. Primo fra tutti, la scoperta di nuove mutazioni del DNA in quei pochi soggetti dei quali ancora non disponiamo un marcatore molecolare. Poi, completare gli studi sulle cellule del midollo e dei vasi, per comprendere meglio quali siano le ragioni della loro alterata crescita e funzione. Infine, lavorare su alcuni farmaci che sono risultati promettenti in laboratorio e in modelli animali, sviluppando studi clinici sia in soggetti con fasi molto precoci della malattia sia in coloro che non hanno risposto soddisfacentemente alle terapie di prima linea. Se, come speriamo, queste ulteriori ricerche saranno fruttuose, faremo un ulteriore passo avanti nella gestione di queste malattie del sangue ancora inguaribili, se non in pochissimi casi”.
L’unione fa la forza. Grazie allo sforzo da parte di molti cittadini che hanno contributo al 5 per mille AIRC, è stato possibile raggiungere dei risultati eccellenti. L’auspicio è quello che in un futuro, non molto lontano, sia possibile guarire tutti i pazienti affetti dalle malattie del sangue.
Noi ci crediamo.
Grazie AIRC che da oltre 50 anni ti impegni nella ricerca oncologica nel nostro Paese con particolare attenzione ai giovani ricercatori, sensibilizzando e informando, come in quest’ultimo caso, l’opinione pubblica.