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Aiuto umanitario, necessario un intervento concreto dell’Unione Europea. La testimonianza di Daniela Pompei

22 Ottobre 2020

20“Sono in viaggio verso Lesbo, forse non mi sentirà bene, ma ci proviamo”. Risponde in questo modo alla nostra telefonata Daniela Pompei, responsabile per i servizi agli immigrati della Comunità di Sant’Egidio, che dopo la ripresa post lockdown ha ripreso la sua attività accompagnando i volontari dell’organizzazione nei viaggi che rappresentano la prima tappa dei corridoi umanitari, modello di accoglienza e integrazione e risposta alle difficili condizioni dei campi profughi. Sono più di 20 mila i rifugiati e i migranti bloccati sull’isola di Lesbo, nel Mediterraneo. Circa 16 mila sono sistemati in condizioni sovraffollate e precarie nelle strutture e tende circostanti del campo profughi di Moria, i rimanenti nell’altro centro di “Kara Tepe” e in appartamenti nella vicina Mitilene. Tanti i minori non accompagnati, circa 4 mila. “Se davvero – racconta Pompei – si vuole cogliere il senso dell’aiuto umanitario bisogna guardare questa gente negli occhi. Oggi, dopo i duri mesi dovuti all’emergenza sanitaria, la tensione nei campi profughi è alle stelle. Noi della Comunità cerchiamo di alleviare il viaggio, creiamo diversivi, ma non basta. Questa gente implora l’inizio di una nuova vita”.

Umanità, imparzialità, neutralità. Sono questi i principi su cui si basa l’aiuto umanitario. Quanto è complesso per un’Organizzazione che opera in questo ambito essere neutrali davanti a situazioni emergenziali dovute a conflitti o ad altre criticità di diversa natura?

Il principio del rispetto dell’umanità è quello che guida le azioni davanti a situazioni di estrema difficoltà, è difficile essere neutrali davanti a coloro che soffrono a causa della guerra, della estrema povertà o per le ragioni più disparate. È proprio qui che subentra la grande macchina dei ‘Corridoi Umanitari’ nati per rispondere al dramma delle morti in mare di molti profughi, per togliere dalle mani dei trafficanti di uomini i rifugiati e per trovare una via sicura per far entrare dei richiedenti asilo.

Pochi giorni fa il primo corridoio umanitario dopo il lockdown. Come è andata?

È andata molto bene, era rimasto un piccolo gruppo di 10 profughi che per motivi burocratici non erano riusciti a partire nel dicembre 2019 dall’isola di Lesbo. Sarebbero dovuti arrivare nel mese di marzo ma il COVID ha bloccato tutto. Appena è stato possibile siamo ritornati ed eccoci in Italia, tutto ciò è stato possibile grazie all’aiuto del Ministero dell’Interno italiano e a quello degli Esteri, attraverso il consolato italiano ad Atene. Inoltre, per questa operazione hanno collaborato le autorità greche e l’Elemosineria apostolica del Vaticano.

Adesso però torna nuovamente a Lesbo?

La Comunità di Sant’Egidio è presente per tutto l’anno sull’isola distante circa 12 miglia dalla costa turca. Il lockdown non ha interrotto del tutto la nostra attività. I nostri volontari saranno presenti anche quest’estate per distribuire beni di prima necessità, cibo e per sostenere percorsi di integrazione, come corsi di lingua: dobbiamo esserci soprattutto per i più piccoli, sia per coloro che hanno la famiglia al proprio fianco sia per gli altri che si ritrovano soli.

Lei da tempo va a prendere dal loro Paese di origine le famiglie e le riaccompagna in Italia dando loro l’augurio di una nuova vita. Come vive le diverse fasi del ‘viaggio della vita’?

Per far giungere in Italia delle persone che chiedono asilo c’è bisogno di tempo, di molti colloqui, di ricostruire la storia ma alla fine viviamo insieme l’emozione di prendere un visto. Si pensi solo che la maggioranza dei profughi che è giunta dalla Grecia non era mai salita su un aereo, pur avendo fatto molti chilometri di strada dai loro Paesi hanno sempre camminato a piedi nella maggior parte dei casi. Emozione, contentezza, paura, sono questi i sentimenti ma quello che vince è la felicità. In Italia inizia

la nuova vita fatta di corsi di lingua, documenti, ricerca di un lavoro che permetta a ciascuna di conquistare una propria autonomia economica.

Al centro di tutto questo c’è il viaggio. Si passa da traversate legali ad altre che invece sono invece veri e propri inferni. Come i flussi immigratori del Mediterraneo, ad esempio, possono essere contenuti?

È necessario che i Paesi europei decidano di aprire dei modi legali affinché tutti coloro che intendo arrivare in Europa possano farlo con i visti rilasciati dai vari consolati. I sistemi possono essere diversi: aumentare le quote di resettlement per i già riconosciuti rifugiati, introdurre un sistema di quote di ingresso programmato che siano però adeguate alla richiesta, aumentare i Corridoi Umanitari In alcuni casi, è questo il caso della Libia, è necessario fare delle evacuazioni veloci umanitarie da parte almeno di alcuni paesi europei, bisogna liberare i profughi dai centri di detenzione. Per altri Paesi della sponda sud del Mediterraneo è invece importante creare e attuare progetti di cooperazione che aiutino i cittadini a rimanere nei loro Paesi, si pensi alla Tunisia. Molti cittadini tunisini lavoravano in Libia ma la guerra ha sconvolto ogni equilibrio ed è per questo che sono tornati nel loro Paese ma la crisi economica non consente loro una ripresa piena e dignitosa.

Tags: aiuti umanitari, solidarietà, unione europea
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Alessandro Notarnicola
Alessandro Notarnicola
Mi occupo di giornalismo e critica cinematografica. Dopo la laurea in Lettere e Filosofia nel 2013, nel 2016 ho conseguito la Laurea Magistrale in "Editoria e Scrittura". Da qualche anno mi sono concentrato sull'attività della Santa Sede e sui principali eventi che coinvolgono la Chiesa cattolica in Italia e nel mondo intero.

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