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L’anoressia non fa paura, è possibile sconfiggerla: il messaggio di speranza di chi ce l’ha fatta e la scoperta di un nuovo metodo in grado di ridurre i sintomi della patologia
Isabelle Caro, la sua immagine, molto forte, è ancora impressa nelle nostre menti.
Quel cartellone pubblicitario di una nota azienda di abbigliamento, apparso nelle più grandi città d’Italia, ha decretato la modella francese il più celebre simbolo dell’anoressia, generando polemiche che ancora oggi, se argomentate, riemergono.
“Mi sono nascosta e coperta per troppo tempo, adesso voglio mostrarmi senza paura, anche se so che il mio corpo mi ripugna”. Queste le dichiarazioni rilasciate in quel periodo dalla modella colpita dalla malattia che l’aveva ridotta a pesare 31 chili.
Nonostante la consapevolezza, la forza di uscire allo scoperto, di mettersi in gioco e di rivelare al mondo le sofferenze che subisce un malato di anoressia, Isabelle purtroppo non è riuscita a vincere il male ed è deceduta nel 2010.
I disordini alimentari, di cui anoressia e bulimia nervosa sono le manifestazioni più frequenti e conosciute, negli anni sono diventati una vera e propria emergenza per gli effetti devastanti che hanno sulla salute e sulla vita di adolescenti e giovani adulti (prevalentemente donne tra i 15 e i 25 anni).
Secondo Epicentro, il portale dell’epidemiologia della sanità pubblica, in Italia, gli studi pubblicati rilevano una prevalenza dello 0.2-0.8% per l’anoressia e dell’1-5% per la bulimia, in linea con i dati forniti dagli altri paesi. Una ricerca condotta su un campione complessivo di 770 persone di età media di 25 anni, tutte con disordini alimentari che si sono rivolte all’Associazione per lo studio e la ricerca sull’anoressia, la bulimia e l’obesità a Roma e Milano dalla dottoressa Anna Maria Speranza, ha rilevato una percentuale del 70,3% di bulimia nervosa e il 23,4% di anoressia nervosa. Nel campione analizzato, la data di esordio del disturbo è mediamente tra i 15 e i 18 anni, con due picchi (15 e 18 anni) che rappresentano i due periodi evolutivi significativi, la pubertà e la cosiddetta ‘autonomia’ ovvero il passaggio alla fase adulta. La diagnosi si ottiene quando la cattiva condotta alimentare determina una riduzione del proprio peso corporeo per sesso, altezza ed età, superiore all’85%. Deperire a vista d’occhio, è questo lo sviluppo della patologia, eppure le pazienti continuano a vedersi grasse e percepiscono alcune parti del loro corpo, come le cosce o la pancia, terribilmente grosse. Hanno un rapporto con lo specchio molto contorto.
Anoressia e bulimia sono quindi malattie complesse, determinate da condizioni di disagio psicologico ed emotivo e che richiedono un trattamento sia del problema alimentare in sé che della sua natura psichica. La componente psicologica, quindi, gioca un ruolo molto importante.
“Purtroppo non ho un bel ricordo di Isabelle Caro. Era una ragazza molto malata, prima nella testa poi nel corpo, perché, come tutte le persone che soffrono di questo disturbo, era anoressica nel cervello”. Sono le parole di allora alla stampa di Oliviero Toscani, autore della contestata campagna fotografica.
Quali sono le cause del disordine alimentare provocato dal fattore psicologico che portano allo sviluppo di comportamenti anoressici e bulimici? Per Health Online risponde la dottoressa Marinella Cozzolino, psichiatra e psicoterapeuta.
“I disturbi del comportamento alimentare nascono in famiglia -ha spiegato la Cozzolino. Il nutrimento è, in linea di massima legato alla figura materna. E’ la mamma che ci nutre, che ci sostiene, che ci accudisce. Anche la figura paterna ha un ruolo fondamentale nello sviluppo di questo tipo di patologia. Si tratta spesso di famiglie in cui la figura materna è algida, severa e “potente” e quella paterna è debole, assente, distante, impotente. Il disagio che si manifesta attraverso il cibo sta ad indicare proprio la non accettazione del “nutrimento” che arriva da questi genitori. Nel caso specifico dell’anoressia è stata spesso riscontrata la cosiddetta “sindrome della figlia perfetta”: si tratta di ragazze, spesso figlie uniche o primogenite, che sentono sulle spalle il peso e la responsabilità, attraverso i loro successi, della realizzazione dei genitori. Sono spesso considerate figlie perfette, programmate per vincere”.
I dati sono allarmanti. In sostanza, una ragazza si sottopone a diete eccessive per corrispondere a un canone estetico che premia la magrezza con conseguenze devastanti per la salute. Il fattore psicologico è molto influente. Quanto spaventa questo fenomeno?
“Purtroppo e paradossalmente, spaventa ancora poco. La linea tra un peso congruo, il mantenersi in buona salute ed essere anoressiche è molto sottile. Molti genitori, mamme soprattutto, incitano le figlie a non mangiare, a non ingrassare o addirittura a dimagrire. Oggi il rapporto con il cibo e quello con il proprio corpo ed eventuali chili di troppo ha sostituito il rapporto che le ragazze avevano con il sesso una trentina di anni fa. Mentre prima, in molte famiglie, si puntava al fatto che la figlia arrivasse vergine al matrimonio e si considerava il contrario una cosa di cui vergognarsi, oggi è divenuto vergognoso avere una figlia con dei chili di troppo. Il cibo e i suoi eccessi sono la cosa di cui vergognarsi”.
Se non trattati in tempo e con metodi adeguati, i disordini alimentari possono diventare una condizione permanente e nei casi gravi portare alla morte come il caso della modella Isabelle Caro?
“Sicuramente sì. Sono vere e proprie patologie che vanno diagnosticate in tempo, seguite e curate. Spesso si risolvono con una terapia familiare, ma solo a patto che la famiglia sia disponibile a mettersi in gioco, cosa però, purtroppo molto rara”.
Più tempo passa prima di intraprendere il giusto percorso di cura, minori sono le possibilità di guarire. C’è chi, fortunatamente riesce a trovare la luce in fondo al tunnel e vince l’anoressia.
Guarire è possibile.
I dati disponibili dicono che di anoressia nervosa si può guarire nel 20-30% dei casi dopo 2-4 anni dalla comparsa del disturbo e nel 70-80% dei casi dopo 8 anni.
Haley Harris, una 23enne inglese, ce l’ha fatta e ha così deciso di pubblicare su Instagram il diario di foto di una lunga e dura battaglia contro l’anoressia che l’aveva ridotta pelle e ossa e quasi uccisa. Haley ha lottato contro il male, passando tanto tempo in ospedale a leggere le più illuminanti storie a favore del ricovero, storie che le hanno dato tanta speranza, libertà e forza. Postando sui social la sua storia, la giovane inglese ha voluto ringraziare chi ha scritto le storie e urlare al mondo intero che farcela è possibile.
Dottoressa Cozzolino, nel corso della sua carriera avrà avuto modo di curare persone con disturbi alimentari. Cosa ne pensa della storia di Haley e di chi come lei ha avuto la consapevolezza e la voglia di guarire? E’ davvero possibile vedere una luce in fondo al tunnel?
“Certo che si può. Haley più o meno consapevolmente lo ha fatto percorrendo la strada giusta: il contatto empatico con l’esterno. Spesso i ragazzi che soffrono di questo tipo di patologia, non sono in grado (perché non abituati in famiglia) di esprimere le emozioni, di condividere i propri stati d’animo soprattutto quelli negativi come l’angoscia, la paura e la rabbia. I social in questo hanno sicuramente aiutato tantissimo permettendo la condivisione, ma nello stesso tempo un certo distacco”.
Qual è l’approccio e l’obiettivo degli specialisti che prendono in carico pazienti colpiti da questa malattia?
“Un approccio empatico, un’alleanza o, addirittura in alcuni casi, una complicità con i pazienti.
L’obiettivo dipende dal tipo di specialista che affronta il problema. I medici tenderanno ad evitare che il paziente rifiuti il cibo e che peso e valori fisici rientrino a livelli vicini alla normalità. Gli psicologi cercheranno di ricostruire l’Io frantumato, vale a dire la struttura psichica ed emotiva del soggetto facendo in modo che ritrovi la forza di cui necessita per affrontare e gestire le tappe della sua vita. E’ inutile dire che questo tipo di patologie, quelle cioè che partono dall’anima, ma arrivano a ferire il corpo, andrebbero trattate in contemporanea da medici e psicologi”.
E’ recente la notizia di un metodo del King’s College di Londra, grazie al quale i sintomi della malattia potrebbero ridursi. Si tratta della stimolazione magnetica transcranica, già testata su pazienti colpiti dalla depressione, in cui il cervello viene stimolato con degli speciali magneti, che assomigliano a delle bobine, applicati in una zona direttamente collegata allo sviluppo della malattia e che si chiama corteccia prefrontale dorsolaterale. Questa tecnica, sperimentata su 49 persone, riduce il bisogno di limitare i cibi, diminuendo il livello di sazietà, facend10i sentire meno grassi e portando anche a prendere decisioni più prudenti. La ricercatrice, la dottoressa Jessica McClelland ha spiegato che non è una tecnica invasiva, il paziente percepisce solo una picchiettatura sul lato della testa interessato e i risultati sembrano promettenti già con una sola sessione. Per arrivare a questa conclusione, ad alcune delle persone coinvolte è stato offerto un trattamento placebo, mentre altre sono state sottoposte a una sessione di stimolazione vera e propria. Non un’osservazione prima del trattamento, dopo venti minuti e dopo 24 ore, i ricercatori del King’s College di Londra hanno rilevato una riduzione dei sintomi principali della malattia, sottoponendo ai partecipanti immagini di cibo appetitoso e chiedendo di dare un punteggio a sapore, aroma e desiderio di mangiarli una volta che li avevano davanti. Gli scienziati hanno anche notato che la stimolazione del cervello portava anche a decisioni più equilibrate, ad esempio, tra una ricompensa in denaro inferiore, ma immediata e una con una cifra più alta, ma per cui occorreva attendere, la scelta è ricaduta più sulla seconda opzione. Ora gli studiosi puntano a un trial più ampio.
“L’anoressia nervosa si stima interessi fino al 4% delle donne nel corso della vita. Con l’aumento della durata della malattia, si radica nel cervello ed è sempre più difficile da trattare. I nostri risultati preliminari supportano le potenzialità di trattamenti di cui c’è disperato bisogno -ha spiegato alla stampa internazionale Ulrike Schmidt, autrice senior dello studio-. Stiamo ora valutando i benefici a lungo termine, in uno studio clinico primo al mondo con 20 sedute su persone con anoressia nervosa”.
Dottoressa Cozzolino, cosa ne pensa di questo metodo? Potrebbe funzionare davvero?
“Non ci sono dubbi sul fatto che le nuove tecniche e la medicina possano in maniera meccanica aiutare i pazienti a migliorare. Questo accade perché è indubbio (per mia personalissima convinzione) che le nostre emozioni e i nostri pensieri abbiano un’influenza potentissima anche sui nostri organi. L’ansia distrugge il colon ad esempio, la paura crea problemi alle ginocchia. E’ naturale quindi che determinati comportamenti patologici vadano a creare scompensi anche a livello cerebrale. Troverei più corretto però associare a questo tipo di terapie una psicologica che tenda a risolvere il dolore che ha causato l’origine del problema”.
Testimonianze, messaggi di speranza e ricerca aiutano a combattere la malattia.
“Le sofferenze fisiche e psicologiche che ho subito hanno un senso solo se possono essere d’aiuto a chi è caduto nella trappola da cui io sto cercando di uscire”. Queste le parole di Isabelle, lei non ce l’ha fatta, ma il brutto e subdolo male, quello che colpisce il cervello, lo stomaco, ma soprattutto l’anima, può essere sconfitto.