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Attenzione ai farmaci antireflusso: un uso indiscriminato può aumentare il rischio di ictus
Gli inibitori di pompa protonica (IPP) sono una categoria di farmaci molto diffusa ed utilizzata per il trattamento di acidità di stomaco e reflusso gastroesofageo.
Gli inibitori della pompa protonica sono farmaci che curano solamente la sintomatologia, perché agiscono direttamente sulle cellule che secernono acido nello stomaco, esattamente a livello della loro pompa protonica, inibendola e riducendola. Erano nati per brevi periodi di cura, ma oggi vengono prescritti da molti medici e specialisti per cure di mesi, di anni o per un trattamento a vita.
In quali casi si possono prescrivere gli inibitori di pompa protonica?
Sono davvero pochi. In presenza di ulcera gastrica o duodenale; in alcune malattie ipersecretorie ben definite; in associazione con antinfiammatori non steroidei, però in soggetti a rischio; in alcuni tipi di malattie da reflusso gastroesofageo; come coadiuvante nella terapia contro l’Helicobacter pylori, il batterio che trova un ambiente ideale di sopravvivenza e riproduzione all’interno dello stomaco umano.
Secondo dati elaborati con la Società italiana di farmacologia e la Federazione italiana medici di medicina generale sulla base di statistiche dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), oltre 1.289.000 persone, pari al 46,5% dei pazienti, utilizzano gli antisecretori in maniera non appropriata, cioè senza che per loro rappresentino la terapia più efficace.
Nel corso dell’ultimo meeting annuale dell’American Heart Association, uno studio danese ha osservato gli effetti collaterali di questi farmaci, analizzando le informazioni di quasi 250mila pazienti nel corso di quasi sei anni.
Secondo i ricercatori che hanno condotto lo studio1, gli inibitori di pompa protonica sono già noti per i loro effetti potenzialmente negativi sulle funzioni vascolari. Quando si attivano sopprimono l’enzima DDAH, dimetilamino-idrolasi. Questo causa un aumento dei livelli ematici di ADMA (dimetilarginina asimmetrica), un importante messaggero chimico. Hanno scoperto che ADMA a sua volta ha soppresso la produzione di un altro messaggero chimico, ossido di azoto, che influenza la funzione cardiovascolare, come dimostrato dai vincitori del Nobel 1998 Furchgott, Ignarro e Murad. Studi quantitativi sui modelli di topi mostravano che gli animali alimentati da IPP avevano più probabilità di avere tessuto vascolare teso.
Gli scienziati hanno voluto verificare se esistesse un’associazione con l’ictus ischemico, causato dalla formazione di coaguli che bloccano il flusso di sangue verso il cervello.
I ricercatori hanno potuto osservare le cartelle cliniche di pazienti (età media 57 anni) sottoposti a endoscopia. Fra i 250mila partecipanti allo studio, quasi 9500 di loro sono stati colpiti da un ictus ischemico per la prima volta nella loro vita nel corso dei sei anni di osservazione: gli scienziati hanno quindi determinato se, al momento dell’attacco, i pazienti stessero assumendo almeno un farmaco fra quelli appartenenti alla categoria degli inibitori di pompa protonica (omeprazolo, pantoprazolo, lansoprazolo o esomeprazolo). Il rischio di ictus è, in generale, del 21% più alto fra i pazienti che assumevano inibitori di pompa protonica, percentuale che varia in base al dosaggio: a quello minimo, non sono state registrate variazioni significative mentre al dosaggio massimo, il rischio varia dal 30% in più per il lansoprazolo fino al 94% del pantoprazolo. Gli utilizzatori di IPP sono in media più anziani e maggiormente colpiti da altre patologie, fra cui la fibrillazione atriale. Lo studio ha tenuto conto di età, genere e alcuni fattori medici come la presenza di ipertensione, fibrillazione atriale, cardiopatia e l’eventuale uso di alcune categorie di antidolorifici associate a ictus e attacchi cardiaci. Gli H2 bloccanti (o acido-riduttori, per es ranitidina), un’altra famiglia di farmaci usati contro l’acidità di stomaco, non sembrano invece mostrare rischi di questo tipo, ma gli autori della ricerca spingono alla prudenza: si tratta di uno studio osservazionale, non in grado di stabilire relazioni causali, di conseguenza non è possibile affermare che gli H2 bloccanti siano meglio degli inibitori di pompa protonica in assoluto.
Per chiarire questi punti, occorrerà uno “studio controllato con placebo e randomizzato”, come raccomandano gli autori.
I ricercatori invitano più che altro alla prudenza nell’utilizzo indiscriminato di questi farmaci: “un tempo si credeva che gli inibitori di pompa protonica fossero sicuri e privi di grossi effetti collaterali”.
? FONTE:
- T. Ghebremariam, P. LePendu, J. C. Lee, D. A. Erlanson, A. Slaviero, N. H. Shah, J. Leiper, J. P. Cooke. An Unexpected Effect of Proton Pump Inhibitors: Elevation of the Cardiovascular Risk Factor ADMA. Circulation, 2013; DOI: 10.1161/CIRCULATIONAHA.113.003602