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Aumentano in Italia i ritirati sociali, gli adolescenti che vivono nel web
Esistono ma non si vedono, spesso infatti sono silenziosi e assenti, a se stessi e agli altri. Vivono però un mondo del tutto parallelo, virtuale, nel quale comunicano, giocano, inventano e si trasmettono stimoli tramite la connessione.
Si tratta degli “hikikomori”, un termine giapponese coniato proprio nel Paese in cui questa patologia ha cominciato a diffondersi anni fa e che oggi conta 500 mila ragazzi che ne soffrono.
In Italia si parla di loro definendoli ‘ritirati sociali’.
Stando ai dati elaborati e diffusi dall’associazione “Hikikomori Italia Genitori Onlus”, nata nel 2017, non ci sono numeri certi sul numero degli adolescenti italiani in ritiro sociale e pochi sarebbero ancora gli studi ufficiali, ma si presume che siano circa 100 mila soprattutto tra i 16 e i 20 anni.
Sull’argomento è tornato lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini che nel suo ultimo libro “Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa” traccia il profilo di una generazione cresciuta “nella rete”, inducendo gli adulti a interrogarsi su come distinguere un uso adattivo dei social e dei videogiochi da un sintomo di malessere o dipendenza.
Cyberbullismo, sexting, gioco d’azzardo e, in modo particolare, il ritiro sociale sono alcuni dei comportamenti affrontati da Lancini.
La rivoluzione digitale ha creato ambienti espressivi nei quali gli adolescenti non solo sperimentano nuove possibilità di realizzazione ma si rifugiano in occasione di gravi crisi evolutive, in una forma di autoricovero che esprime sia il dolore sia un tentativo di risolverlo, come avviene nel ritiro sociale, la più significativa manifestazione del disagio giovanile odierno. A partire dall’esperienza maturata negli ultimi quindici anni, gli autori inquadrano la psicodinamica del ritiro sociale e presentano gli orientamenti clinici che guidano la presa in carico dell’adolescente in una prospettiva evolutiva.
Non è facile comprendere la ragione per cui adolescenti che di fatto sono in salute, spesso con un livello intellettivo molto alto e ottimi risultati scolastici e soprattutto una profonda sensibilità, si isolino. Senso di inadeguatezza, bassa autostima, panico. “Gli Hikikomori si isolano per fuggire dalla pressione di realizzazione sociale, dalla paura di essere giudicati per le loro debolezze”, ha spiegato Marco Crepaldi, presidente e fondatore di Hikikomori Italia, aggiungendo che non si identificano in questo modello di società ipercompetitivo e basato sul successo personale, sull’immagine e decidono di smettere di farne parte. Questi ragazzi risultano invisibili.
Loro stessi fanno di tutto per esserlo rispetto al mondo esterno. Per questo, nonostante siano tantissimi e ogni scuola abbia dei banchi che improvvisamente diventano vuoti, se ne sa molto poco.
In questa piaga sociale degli ultimi anni la scuola ha un ruolo fondamentale molto di più della famiglia che spesso risulta esserne quasi vittima.
L’autoesclusione dalla realtà e l’inserimento graduale in una realtà 4.0 coincide quasi per tutti gli adolescenti con il passaggio dalle scuole medie alle superiori. E’ il momento in cui professori e compagni possono avere una funzione significativa, in accordo e collaborazione con la famiglia, che altrimenti si sente persa, abbandonata, incapace di affrontare il dolore, la situazione che mina nel profondo la vita famigliare, la vergogna per un malessere di cui ci si sente responsabili.
I professori dunque devono poter essere più consapevoli della condizione di ciascuno dei propri studenti essendo la scuola il luogo per eccellenza in cui gli adolescenti incontrano l’altro e nel quale possono comprendere come i rapporti reali siano di gran lunga preferibili a una realtà virtuale. Scuola, terapeuti, genitori devono lavorare insieme e porsi il problema di come riattivare il fascino della relazione con l’altro ed eliminare la dimensione del non umano, dove tutto è arido e prevedibile, dimensione in cui si rinchiudono per evitare la sofferenza. Quasi sempre infatti il ritiro si abbina a un uso morboso della rete, che diventa l’unico luogo per loro frequentabile.
Si rifugiano lì, in un mondo virtuale, che loro ritengono senza rischi ma che invece è più pericoloso di quanto non possa apparire in un primo momento.