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Aumentano le neomamme che si dimettono. Lo Stato interviene con il congedo papà
Qualche tempo fa si è fatto un gran parlare sul caso delle 43 neomamme di una nota azienda costrette a doversi trasferire per lavoro da Roma a Cosenza. Un trasferimento che se non accettato avrebbe garantito alle stesse, e al termine della dovuta maternità, la perdita dell’impiego. Sulla questione è intervenuto il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, il quale ha assicurato che l’azienda ritirerà i trasferimenti. “Ci siamo visti anche con l’Eni – ha spiegato in quell’occasione Calenda – che si è detta disponibile a dare lavoro al call center di Almaviva e dunque la situazione dovrebbe essere risolta”. Il caso era scoppiato dopo che l’azienda di call center aveva perso una commessa con Eni e quindi aveva annunciato il trasferimento in Calabria di 65 suoi dipendenti. I sindacati avevano attaccato il gruppo parlando di “licenziamenti mascherati”.
Dal caso romano-calabrese è sorta una questione nazionale che riguarda il rapporto lavoro-maternità sempre più minato e incerto. Da Nord a Sud, infatti, le donne che hanno affrontato una gravidanza riscontrano non poche difficoltà a fare ritorno nel mondo del lavoro. Per dirla in altri termini, la nascita di un figlio per quanto desiderato per un più ampio progetto di famiglia, rende molto complicata la vita professionale di una neomamma. Se da un lato ci sono i problemi di sempre relativi il link che accorda vita professionale e vita privata, dall’altro i giovani genitori devono fare i conti con spese e costi sempre più alti.
In Italia le dimissioni volontarie per genitori con figli fino a 3 anni d’età sono state 37.738. Dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro alla mano, le donne che si sono licenziate sono state 29.879. Tra le mamme, appena 5.261 sono i passaggi ad altra azienda, mentre tutte le altre (24.618) hanno specificato motivazioni legate alla difficoltà di assistere il bambino (costi elevati e mancanza di nidi) o alla difficoltà di conciliare lavoro e famiglia. Per gli uomini la situazione è capovolta: su 7.859 papà che hanno lasciato il lavoro, 5.609 sono passaggi ad altra azienda e solo gli altri hanno deciso di farlo per difficoltà familiari. I dati si riferiscono al 2016, gli ultimi a disposizione di ministero del Lavoro e Ispettorato.
In testa a tutte le regioni c’è la Lombardia con oltre 8.850 dimissioni convalidate. Tra queste 3.757 hanno a che fare con il passaggio a un’altra azienda, ma tutte le altre, più di 5 mila, sono dovute a ragioni esclusivamente familiari. Tra le donne, che sono state 6.767, quasi la metà (3.105) si sono licenziate per mancato accoglimento al nido, assenza di parenti di supporto e elevata incidenza dei costi di assistenza del neonato. Come indica la situazione della Lombardia, dunque, il numero più alto di dimissioni è stato registrato al Nord, 23.117, mentre la situazione non varia di molto al Centro, con 8.562, e al Sud con 6.059, dove – tra le altre cose – si registrano davvero pochi, se non minimi, cambi di azienda.
Quest’anno però ci sono novità che potrebbero alleggerire questa situazione che coinvolge molte quote rosa del nostro paese. Si tratta del congedo papà. Introdotto inizialmente dalla Riforma del Lavoro Fornero nel corso degli ultimi anni ha subito non poche modifiche e ora aumenta da 2 a 4 giorni di assenza retribuita, anche in modo non continuativo, entro 5 mesi dalla nascita del figlio. Inizialmente inserito nell’ordinamento come misura sperimentale per il triennio 2013-2015, è stato poi prorogato per l’anno 2016 dalla Legge di Stabilità 2016 e successivamente prorogato anche per gli anni 2017 e 2018. Il “congedo papà” 2018 interessa i padri naturali, adottivi e affidatari. Per nascita o adozione, intesa anche per l’affidamento, verificatesi dopo il 1° gennaio 2018 e con regole differenti a seconda che si tratti di congedo obbligatorio o facoltativo.
I quattro giorni di congedo papà obbligatorio possono essere goduti anche in contemporanea al congedo di maternità obbligatorio, o facoltativo (congedo parentale), della madre, perché queste assenze non sono alternative tra loro. Chiaramente questa nuova formula che affonda le base nel tanto discusso governo tecnico Monti, non risolverà la questione delle dimissioni a catena delle neomamme ma potrà favorire il nucleo familiare nell’attesa che in Parlamento venga presentata una proposta di legge atta a coniugare interessi professionali a vita privata, e dunque crescita dei figli.