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Avanzamenti sulla gestione del detenuto con disagio psichico
Forse non tutti ancora sanno o ci pensano ma vi è un’elevata quantità di stranieri, in prossimità di aumento, all’interno degli Istituti Penitenziari di Rebibbia dove opera l’Unità Operativa Salute Mentale Penitenziaria della Asl RM2 con tantissimi operatori sociosanitari impegnati assiduamente in attività di valutazione sulla cura e riabilitazione dei detenuti portatori di patologie psichiatriche.
È stato riscontrato, in particolare, un mancato reinserimento dei carcerati nella cosiddetta sezione “Minorati Psichici” della Casa di Reclusione.
Grazie alla collaborazione con gli istituti sopra citati sono state definite le nazionalità di appartenenza dei detenuti stranieri e i paesi di cittadinanza maggiori sono Romania, Bosnia-Ezregovina, Brasile, Nigeria e Albania.
La frequenza di patologie psichiatriche tra i detenuti stranieri di tre dei quattro istituti è del 18,8%: 0% nella Terza Casa Circondariale, 15,2% nella Casa Circondariale Femminile e 29,7% nella Casa di Reclusione (fonte: Osservatorio romano sulle migrazioni).
Dopo varie osservazioni, si è riscontrato che la scarcerazione degli stranieri con patologie psichiatriche siano risultate molto problematiche.
L’impossibilità di assicurare un’assistenza sanitaria a questi pazienti rappresenta un rischio non solamente per la loro salute, ma anche in termini di sicurezza sociale a causa della possibilità di scompensi comportamentali.
Inoltre, Il disagio mentale per un detenuto determina anche delle difficoltà serie legate prettamente all’integrazione nella comunità carceraria ed è essenziale, perciò, rendersene conto in tempistiche brevi al fine di individuare un’efficace azione amministrativa.
Solamente la conoscenza dello stato di salute dei reclusi permette una diversificazione delle strategie dell’amministrazione penitenziaria con interventi strutturali sugli ambienti e sui regimi carcerari e con l’intensificazione dei rapporti tra servizi sanitari dentro e fuori del carcere.
Garantire condizioni di vita quotidiana dignitose all’interno del carcere risulta essere, sicuramente, la prima importante misura per il controllo del disagio psichico dei carcerati e, un’azione di questo tipo, è in grado di coinvolgere tutti gli operatori che compongono l’universo carcerario.
Il Ministero della Giustizia sta prendendo in considerazione, già da tempo, il progetto MEDICS secondo cui per intercettare ogni forma di disagio mentale della persona detenuta è necessario collegare il trattamento penitenziario con i servizi del territorio.
È importante, a tal proposito, evidenziare che il disagio mentale non coincide necessariamente con la patologia, come stabilito dall’Organizzazione mondiale della Sanità che, riferendosi allo stato di salute di qualsiasi individuo, parla essenzialmente di uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non di una semplice assenza di malattia o infermità.
In Italia la percentuale di detenuti con disagio psichiatrico è nettamente maggiore rispetto a quella della popolazione in generale e, spesso, la maniera con la quale vengono trattati è causa scatenante della stessa malattia mentale.
La presenza dei Dipartimenti di Salute mentale negli istituti di pena consente di attivare tempestivamente il percorso diagnostico e terapeutico, assicurare un costante sostegno psichiatrico e psicologico e predisporre specifici programmi riabilitativi che dovrebbero svolgersi in spazi adeguati presso i reparti detentivi.
Pur essendo demandata al Servizio Sanitario Nazionale, la prevenzione, la cura e l’assistenza ai detenuti con disagio mentale comporta una stretta correlazione tra le ASL, l’Amministrazione penitenziaria e le strutture esterne del territorio.
Lo scopo principale da perseguire consiste nell’assicurare, fin da subito, la presa in carico del malato attraverso il coordinamento e l’intervento integrato del servizio sanitario territoriale di competenza, degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna e dei servizi sociali comunali. Tutto ciò è fondamentale per un buon funzionamento del percorso terapeutico e del contenimento della recidiva.
La sola custodia, infatti, non crea a lungo termine effetti evolutivi e responsabilizzanti per il detenuto ed è necessario, a tal proposito, che questa consapevolezza sia diffusa tra tutti coloro che hanno il compito di prendersi cura dei soggetti con problematiche psichiatriche.
In questo senso il potenziamento della formazione professionale (anche nella magistratura ordinaria e di sorveglianza) è uno dei pilastri su cui fondare la prevenzione.