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Bello da impazzire: la Sindrome di Stendhal
Il 22 gennaio 1817, dopo aver visitato la chiesa francescana di Santa Croce, Stendhal annotò nel suo diario: “Là, seduto sul gradino di un inginocchiatoio, la testa riversa e appoggiata allo schienale per poter contemplare il soffitto, le Sibille del Volterrano mi diedero forse il più grande piacere che qualunque dipinto mi avesse mai dato. […] Ero giunto a quel punto d’emozione dove s’incontrano le sensazioni celesti date dalle belle arti e dai sentimenti appassionati. Nell’uscire da Santa Croce, il mio cuore batteva in modo irregolare […], la vita era spossata in me, camminavo temendo di svenire”.
Nel diario tenuto dalla moglie di Dostoevskij – Anna Grigor’evana – invece si legge: “Durante il viaggio a Ginevra, ci fermammo a Basilea per visitare il museo, dove c’era un quadro di cui mio marito aveva sentito parlare. Questo era una pittura di Hans Holbein, rappresentante Cristo dopo il suo inumano martirio, ora tolto dalla croce e nel processo della decomposizione. La visione del volto tumefatto, pieno di ferite sanguinolente, era terribile. Il quadro ebbe un effetto opprimente su Fëdor Michailovic. Rimase in piedi davanti ad esso, come stordito. E io non avevo la forza di guardarlo – era molto doloroso per me, specialmente nelle mie condizioni [era incinta] – e andai in altre stanze. Quando tornai, dopo quindici o venti minuti, lo trovai conficcato allo stesso posto, di fronte al quadro. Il suo volto agitato mostrava una specie di paura, qualcosa che avevo notato più di una volta in precedenza, nei primi momenti di un attacco epilettico. Con calma presi mio marito per il braccio, lo portai in un’altra stanza e lo feci sedere su una panca, aspettandomi un attacco in ogni momento. Grazie al cielo, questo non arrivò. Si calmò un poco alla volta e lasciò il museo, ma insistette di tornare di nuovo là, a vedere questo quadro, che l’aveva impressionato tanto”.
Lo stesso Dostoevskij narra l’episodio nel proprio romanzo “L’Idiota”, sottolineando come “osservando quel quadro, c’è da perdere ogni fede”.
Nel 1997, la psichiatra Graziella Magherini, diede un nome alla sindrome che aveva colpito gli autori citati (e non solo) chiamandola, appunto, Sindrome di Stendhal.
Essa si caratterizza per essere un disturbo psicosomatico transitorio che si può manifestare, principalmente, con tre differenti modalità: 1. disturbi cognitivi (la percezione alterata di suoni e colori); 2. disturbi dell’affettività (euforia, eccitamento) e 3. attacchi di panico, con conseguente tachicardia e sensazione di angoscia.
Si tratta, quindi, di un complesso di manifestazioni di disagio e sperdimento psichico che sono determinati da una forte esperienza emozionale subita e, nella sua prima modalità, essa ha un’incidenza piuttosto bassa colpendo, secondo alcuni studi, principalmente turisti europei e giapponesi, laddove gli italiani ne sarebbero sostanzialmente immuni per affinità culturale.
Nella Sindrome di Stendhal si verifica la congiunzione di tre elementi – il viaggio, la bellezza dell’arte e la storia personale – che produce un disequilibrio all’interno della persona; citando la dott.ssa Magherini “durante la crisi si animano vicende profonde della realtà psichica e si riattiva la vitalità della sfera simbolica personale. Il viaggio diventa così, nelle sue soste tanto attese nelle città sognate, un’occasione di conoscenza di sé”.
Di fatto, il soggetto che ne è affetto non riesce a godere della bellezza del capolavoro artistico, ma è vittima della angoscia; il cd. “turismo dell’anima” (John Ruskin), se da un lato denota l’ambizione al viaggio, dall’altro comporta una profonda conoscenza di sé stesso con contestuale turbamento psichico.
Le opere che possono generare la Sindrome di Stendhal sono ovviamente diverse in base a colui che le contempla, anche se è evidente come sia più probabile che il disturbo si verifichi innanzi ad opere cariche di significati simbolici, ambivalenti, sessuali e perturbanti che possono andare a sollecitare aspetti dell’inconscio inesplorati o rimossi.
La dott.ssa Magherini, con i propri studi, è giunta ad individuare una formula matematica che si pone l’obiettivo di spiegare il rapporto tra l’osservatore e l’opera d’arte:
Fruizione artistica=esperienza estetica primaria madre-bambino+Perturbante+Opera scelta
ove con “esperienza estetica primaria” si intende il primo incontro di un bambino con il viso, il seno ed il volto della madre quale prima esperienza di bellezza mentre il perturbante (concetto già esplorato da Sigmund Freud) consiste in un’esperienza conflittuale appartenente al passato e che è stata rimossa per riattivarsi nel momento di contatto con l’opera scelta e/o un suo particolare che conferisce all’opera stessa un rilevante carico emozionale.
Diversi sono i riferimenti cinematografici a questo disturbo; uno su tutti è il film di Dario Argento “La Sindrome di Stendhal” dove la giovane poliziotta Anna Manni (interpretata da Asia Argento), nel seguire le tracce di un serial killer all’interno degli Uffizi, dinnanzi a determinate opere d’arte perde i sensi diventando così prigioniera dell’assassino che ne rinviene il corpo svenuto.
In età contemporanea è stato poi scoperto che anche la musica, di forte impatto psicologico ed emotivo, può essere causa di stati simili a deliri e allucinazioni che potrebbero essere assimilati alle manifestazioni della Sindrome di Stendhal.
Anche il giuoco del calcio non è rimasto escluso dalle cause che provocano detta Sindrome. Infatti, ha fatto molto parlare di sé il tifoso romanista che, a seguito della doppietta del capitano giallorosso contro il Torino F.C. ha dichiarato “Sono stato colto dalla sindrome di Stendhal: davanti ai capolavori mi commuovo e d’altra parte Totti è un’opera d’arte di ingegneria umana”.