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Il cannibalismo? Preistorico, ha riguardato nostri antenati
“L’ho guardato negli occhi e in quello sguardo ho visto tutta la ferocia di chi aveva ucciso e mangiato tutti i suoi nemici”. Sono queste le prime confessioni di Luca Bracali, un fotoreporter di fama internazionale che ha intervistato e fotografato l’ultimo cannibale e ritratto, primo al mondo, le “mummie viventi” dell’Indonesia estrema. Il pistoiese 53enne con alle spalle 140 viaggi in tutto il mondo e ben nove premi fotografici internazionali ha trascorso gli ultimi tempi nella West Papua, l’Irian Jaya, a Nord dell’Australia, studiando le ultime etnie della Terra, gli Yali, i Lani e i Dani, grandi guerrieri.
Gli Yali erano cannibali e di loro oggi, nel 2018, ne vive ancora uno. Si tratta di un uomo di 85 anni, si chiama Elia e ha tre figli che lo vorrebbero portare ad abitare in una vera casa, ma lui preferisce la sua capanna di legno, e vivere seminudo, mangiando una patata o una banana al giorno, e bere tanta acqua. Questo il segreto della sua lunga vita. Elia, però, non ha una condotta ottima tanto che è descritto come uno dei più feroci tra i cannibali. Ha ucciso con le frecce, e mangiato, cinquanta nemici, fatti a pezzi e bolliti nei pentoloni e offerti alle loro donne. Le ossa venivano bruciate. Non c’era nessuna motivazione ‘spirituale’. Uccidevano e mangiavano. E questo avveniva negli anni Settanta-Ottanta. Hanno smesso di mangiare uomini quando sono arrivati i missionari, dall’Olanda e dalla Germania, ma i primi sono stati uccisi e mangiati.
Pur essendo una pratica ormai estranea alla nostra cultura Occidentale e con ogni probabilità lontana dai tempi correnti, il cannibalismo – oltre ad essere considerato un rituale, una pratica cinematografica, o un’invenzione di Colombo al cospetto del Nuovo Mondo – è una vera e propria malattia. Nota come antropofagia questa manifestazione rientra in un complesso comportamento psicopatologico come si verifica nel caso di serial killer o di gravi malattie mentali, anche se da qualche anno la scienza sostiene che non solo il cannibalismo non è superstizione o un segno distintivo talune culture indigene, ma è qualcosa di preistorico che ha riguardato gli antenati di tutti noi.
Questa spiegazione andrebbe a sostegno della scoperta dei geni che proteggono dalle malattie da prioni – che possono diffondersi mangiando carne contaminata. I geni, versioni mutanti di quelli del prione, sono presenti in tutta la popolazione come risultato di una selezione naturale. Lo affermano scienziati dell’University College di Londra in un articolo pubblicato sulla rivista “Science”. Mutazioni di questo tipo, chiamate polimorfismi, potrebbero aver indotto i nostri progenitori a sopravvivere alle epidemie di malattie da prioni simili all’odierno morbo di Creutzfeld-Jacob. “Abbiamo la prova – spiega uno dei ricercatori che hanno condotto lo studio – che la selezione per questi polimorfismi si è diffusa o è avvenuta a uno stadio molto antico dell’evoluzione dei moderni esseri umani, prima che gli uomini si distribuissero in tutto il pianeta. Sembra evidente concludere che le malattie da prioni hanno causato la selezione naturale”.
Le malattie neurodegenerative da prioni, termine coniato nel 1982 da Stanley B. Prusiner, sono causate dall’errato ripiegamento della proteina prione. Il Kuru e il morbo di Creutzfeld-Jacob negli umani, così come l’encefalopatia spongiforme bovina, o BSE, nelle mucche, causano la deformazione cerebrale fino ad arrivare al decesso certificato. Il gruppo di Collinge ha studiato la diversità delle variazioni del DNA in popolazioni di tutto il mondo, osservando la prevalenza di mutazioni “M129V” e “E219K”, che hanno effetti protettivi contro le malattie, anche quando altre sequenze di DNA erano molto differenti. Che le popolazioni preistoriche praticassero il cannibalismo sembra provato da tagli e segni di bruciatura su ossa di Neanderthal, oltre che dall’analisi biochimica di feci umane fossilizzate.