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Censis: in 50 anni cambia il volto della sanità italiana. Dal boom delle vaccinazioni alla prevenzione femminile
In giorni in cui gli italiani sono chiamati alle urne per decidere se modificare oppure no la Carta Costituzionale posta dai padri costituenti nel 1946 alla base della Repubblica italiana, il Censis – Istituto di ricerca socio-economica italiano fondato nel 1964 – rivela che la popolazione è molto più longeva rispetto a cinquant’anni fa ma che è fortemente scontenta della sanità regionale. Il Belpaese, dunque, non è solo culla di anziani e pensionati, che sembrano voler dare sempre meno spazio e occasioni alle nuove generazioni, ma viene presentato innanzitutto come una delle nazioni in cui alla salute è garantito il primo posto, dato che ha agevolato chiaramente l’evoluzione antropologica della popolazione dal secondo dopoguerra al 2016.
Con la conclusione della seconda guerra mondiale e con il Piano Marshall, che ha risollevato economicamente e socialmente l’Italia, molte delle malattie infettive che procuravano la morte nei primi del ‘900 sono state del tutto debellate e nei cittadini è accresciuta l’attenzione per gli esami di screening e controlli preventivi (soprattutto nelle donne). Tuttavia, se da una parte, la sanità compare tra i primi posti della terna delle priorità, dall’altra, gli italiani appartenenti alla classe media sembrano trovarsi in difficoltà a causa dei costi a volte troppo alti della spesa pubblica e, quelli delle Isole e del Sud, si dicono scontenti dal trattamento sanitario loro riservato. Questo e molto altro viene fuori dal Rapporto Censis intitolato “Gli italiani e la salute” realizzato grazie al contributo di Farmindustria.
Prendendo avvio dagli anni ’60, anni del boom economico e dello sviluppo industriale (soprattutto nell’Italia settentrionale), la ricerca dimostra che complessivamente la popolazione aumenta dai 47 milioni del 1950 ai 54 milioni alla fine degli anni ’60. Si riduce la mortalità infantile, da 43,9 per 1.000 nati vivi nel 1960 a 30,8 nel 1969 e si assiste a una transizione epidemiologica: le morti causate da malattie infettive si riducono drasticamente (dal 15,2% nel 1930 al 2,9% nel 1960), anche se aumentano quelle causate da tumori (dal 5,1% al 16%) e da problemi del sistema cardio-circolatorio (dal 12,3% al 30%).
A tal proposito, la sanità delle mutue conta un numero di assicurati che cresce sempre più, si passa infatti dal 33% della popolazione nel 1950 all’82% nel 1966. La prevenzione attraverso la vaccinazione acquisisce sempre più rilevanza. Inoltre, sono introdotte le principali vaccinazioni dell’infanzia: pertosse (1961), poliomielite (obbligatoria dal 1966), antitetanica (prima garantita a talune categorie professionali, dopo ampliata a tutti).
Con il progredire dello sviluppo e l’accrescere esponenziale del Pil, l’Italia è tra i Paesi europei caratterizzati da una crescita demografica esponenziale. Gli italiani diventano 56 milioni alla vigilia del 1980 e, conseguentemente, aumenta la speranza di vita alla nascita (70,5 anni per gli uomini e 77,3 per le donne nel 1979). Ancora una volta, la sanità delle mutue ottiene sempre più soci, per raggiungere nel 1976 i 54 milioni. Dal momento che quasi l’intera popolazione era “assicurata” lo Stato decide così di istituire il Servizio sanitario nazionale fino ad allora basato su numerosi “enti mutualistici” o “casse mutue”. Dal sistema frammentato delle mutue si passa a una rete universalistica e pubblica, dunque per tutti i cittadini, che si dirama di regione in regione.
Quasi in contemporanea, prima del 1980, viene introdotto il vaccino contro il morbillo, dal momento che l’obbligatorietà di tutti gli altri aveva ridotto di molto le malattie. Su questa base affondano le loro radici gli anni ’80, anni della buona musica, del teatro, del varietà televisivo, anni in cui le mode e i costumi prendono il sopravvento per influire – in alcuni casi – persino nella politica del paese. Tuttavia, in questa cornice, il ruolo della vaccinazione continua a essere centrale nelle politiche pubbliche di prevenzione: si introducono nuove vaccinazioni (nel 1982 la quarta obbligatoria, quella contro l’epatite B) e la copertura contro la poliomielite raggiunge il 95% nel 1986.
Con l’arrivo degli anni ’90, invece, la crescita demografica ottiene un rallentamento e aumentano gli anziani, e cosa non meno importante si registra il primo significativo incremento dei cittadini stranieri che chiedono asilo in Italia. Al censimento del 1981 erano 210.937, nel 1991 356.159, nel 2001 se ne conteranno 1.334.889. Il Rapporto del Censis rileva che se nel 1987 il 50,2% della popolazione riteneva che le abitudini e gli stili di vita giocano un ruolo decisivo nel favorire la buona salute, nel 1998 tale quota sale al 62,7%. La ricerca farmaceutica compie grandi passi avanti nel settore dell’oncologia e nella diminuzione della mortalità per Aids.
Con l’arrivo del terzo millennio le cose cambiano drasticamente a livello internazionale. Se gli anni ‘60/’70 e ‘80 erano stati caratterizzati da una spinta economica che aveva investito tutti i settori della vita pubblica, fra questi quello della sanità, adesso per la prima volta il reddito netto delle famiglie registra un andamento negativo: -0,7% nel decennio. E se nel 1998 solo il 12,8% della popolazione era convinto che sulla buona salute giocano un ruolo decisivo anche le condizioni dell’ambiente, nel 2008 la percentuale sale al 22,2%. La popolazione raggiunge la soglia dei 65 anni e per quanto concerne l’informazione sanitaria, l’accesso rapido al web, presente in tutte le case degli italiani, contribuisce ad aumentare l’incertezza. Nel 2014 il 54,5% della popolazione ritiene che troppe informazioni sulla salute creano confusione e molti ritengono che nelle proprie regioni si riduca la qualità dell’assistenza sanitaria: il 49,2% giudica inadeguati i servizi sanitari (al Sud si arriva al 72,2%). Uno dei dati più interessanti, inoltre, riguarda l’attenzione delle donne alla prevenzione. Dal 2013, difatti, il 67,4% delle donne over 30 si è sottoposto alla mammografia, il 73,4% degli over 25 al pap-test.