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Covid-19, in Cina stop alle restrizioni e aumento dei casi
In Italia quanto spaventa l’emergenza coronavirus?
Il 7 dicembre la Cina ha annunciato un allentamento generale delle rigide misure sanitarie della politica “zero Covid” riducendo i requisiti obbligatori e la frequenza dei test e consentendo ad alcuni casi positivi di mettersi in quarantena a casa propria. Secondo le nuove linee guida presentate dalla Commissione nazionale per la salute (Nhc) di Pechino, “le persone infette asintomatiche e i casi lievi che possono essere isolati a casa vengono ora generalmente isolati al domicilio” e il Paese “ridurrà ulteriormente la portata dei test sugli acidi nucleici e ridurrà la frequenza dei test”. Le conseguenze dell’abbandono delle restrizioni hanno portato nel giro di 20 giorni ad un aumento dei casi di contagio nel paese da dove è partita la pandemia nel 2020.
Il balzo di infezioni da Covid 19 in Cina, che si sta diffondendo dalle città più grandi alle vaste aree rurali, spaventa l’Organizzazione mondiale della sanità che si è detta “molto preoccupata” per l’ondata di contagi senza precedenti. Ma Pechino da parte sua minimizza e assicura di non aver registrato decessi dovuti al virus dopo aver modificato i criteri di conteggio.
Il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, nel corso della conferenza stampa settimanale a Ginevra, ha chiesto a Pechino informazioni dettagliate sulla gravità della situazione. “Per effettuare una valutazione completa del rischio, l’Oms ha bisogno di informazioni più dettagliate sulla gravità della situazione, malattia, ricoveri ospedalieri e unità di terapia intensiva”, ha precisato. Il dottor Michael Ryan, capo delle emergenze sanitarie dell’Oms, ha a lungo sottolineato la necessità di più vaccinazioni. “Diciamo da settimane che questo virus altamente contagioso è sempre stato molto difficile da arrestare completamente con le sole misure di salute pubblica e sociali – ha ricordato -. Dobbiamo davvero concentrarci sulla vaccinazione”.
In tutta risposta il 26 dicembre la commissione sanitaria nazionale cinese, che funge da ministero, ha annunciato che non pubblicherà più i dati giornalieri sui casi e sui decessi di Covid, come aveva fatto dall’inizio del 2020. La stessa commissione non ha fornito alcuna spiegazione in merito.
Cosa ne pensano gli esperti italiani?
Il tema finisce sotto i riflettori e cattura l’attenzione anche degli esperti in Italia.
“La situazione Covid in Cina non è assolutamente chiara, per la continua non trasparenza nella trasmissione dei dati” da parte del Paese asiatico. Per questo “è necessario poter controllare l’ingresso di nuove varianti” di Sars-CoV-2, “anche se non è evitabile” considerando che i virus non conoscono confini. Lo sottolinea all’Adnkronos Salute Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’Ospedale Sacco di Milano.
Dopo la cancellazione delle restrizioni per i viaggi da parte di Pechino malgrado l’epidemia stia provocando almeno 5.000 morti e oltre un milione di contagi al giorno, la regione Lombardia è stata la prima, in Italia, a richiedere il tampone molecolare per i passeggeri in arrivo dalla Cina. Si tratta di una misura di prevenzione – al momento non obbligatoria – che serve anche ad accertare il tipo di variante Covid di chi arriva dal Paese asiatico. Ieri, 27 dicembre, sono stati eseguiti 90 tamponi, oggi 120 e domani si avranno i primi risultati sul sequenziamento.
“La Regione Lombardia sta già procedendo con la sorveglianza e il sequenziamento, che viene fatto anche nel nostro laboratorio del Sacco”, evidenzia Maria Rita Gismondo. Uno screening non obbligatorio ma pensato come misura di prevenzione utile anche a intercettare eventuali nuovi mutanti provenienti dal gigante asiatico. “In questo momento il controllo delle varianti in arrivo dalla Cina è auspicabile e secondo me – precisa Gismondo – è allargabile anche ad altre aree se dovessero essere interessate da una circolazione virale analoga a quella cinese”.
Per il virologo Fabrizio Pregliasco “È necessario non farsi trovare impreparati rispetto a quello che potrebbe succedere”. “È giusto il potenziamento dei controlli rispetto ai viaggiatori in arrivo dalle aree interessate”, afferma il docente dell’Università Statale di Milano, che sollecita anche “l’incremento della sorveglianza virologica, con monitoraggio e sequenziamento virale”. Perché la situazione cinese “magari è qualcosa che non avrà conseguenze – afferma Pregliasco – però una diffusione così ampia e veloce, in un contesto in cui tante nuove varianti possono emergere, va tenuta assolutamente a bada con interventi istituzionali e internazionali”. Il suo invito è a “mantenere alta l’attenzione, con un ruolo che deve essere anche dell’Europa e dell’Organizzazione mondiale della sanità”.
Molto preoccupato della situazione Covid in Cina è Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive del policlinico San Martino di Genova, il quale ha sottolineato che “sono un miliardo e mezzo di persone e, con un virus che contagerà probabilmente il 50% circa della popolazione, si pensi a quanti giri farà questo patogeno. Il rischio è di avere un ‘fuoco di ritorno’ delle persone che viaggeranno e arriveranno qua e che magari potranno portare delle varianti più contagiose, anche se speriamo non più pericolose. Del resto, però, se una variante è resistente alle vaccinazioni è automaticamente più pericolosa e mi auguro che tutto questo non succeda”. “Ci vuole, a mio avviso – ha precisato l’esperto – un intervento urgente da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e di tutto il mondo per dare una mano alla Cina in questo momento, mandare dei vaccini che funzionano e dei farmaci, degli antivirali. Credo sia arrivato il momento di farlo, perché il mondo è globale e, se le cose vanno male in una parte del globo, rischiano di ritornarci indietro in forma anche peggiore”.
“Il problema della Cina è che è tutto un po’ sfumato dal fatto che non capiamo bene la situazione”, ha detto il virologo Massimo Clementi. “Perché prima c’è questa volontà draconiana di perseguire Zero Covid e adesso, improvvisamente con uno schiocco di dita, tutti liberi. Questo oggettivamente sembra un po’ singolare. Ci sono delle motivazioni, ovviamente: si sono accorti che l’approccio ha isolato la Cina, anche economicamente. Tutto questo, però, non è avvenuto in un momento soltanto, è avvenuto nel tempo. Ed è un po’ singolare – conclude Clementi – che per un Paese così grande ci sia una decisione così improvvisa” di virare le politiche anti-Covid dalla chiusura totale all’apertura.
Se per gli esperti la situazione in Cina è preoccupante e potrebbe avere ripercussioni in Italia e nel resto del mondo, il 41% degli italiani pensa che il peggio sia passato e il 49% ritiene che oggi Covid-19 sia meno pericoloso di prima. Lo rende noto l’ultima indagine di EngageMinds Hub.