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Dalla misoginia al femminicidio verbale: uomini che “uccidono” le donne.
Ogni giorno in Italia 88 donne sono vittime di atti di violenza, una ogni 15 minuti. Più di 90 i femminicidi nel 2019. È questo il dato che lascia riflettere e che al contempo fa paura. Pur evidenziando un calo rispetto al 2017, la mappa tracciata sull’intero territorio nazionale preoccupa l’opinione pubblica e non meno il mondo della politica che annuncia misure precise per arginare questo triste fenomeno sempre più dilagante tra le mura domestiche. Restando sul fronte delle cifre, elaborate sulla base dei dati forniti dalla polizia per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne celebrata domenica 25 novembre, in calo risultano anche i cosiddetti reati-spia: maltrattamenti in famiglia, stalking, percosse, violenze sessuali. E, parallelamente, aumentano denunce e arresti per violenza sessuale (+5,4%), stalking (+4,4%) e maltrattamenti in famiglia (+11,7%). Pochi mesi fa era stato l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini ad annunciare un intervento “il prima possibile” in Consiglio dei ministri per l’introduzione di un codice rosso “perché – aveva commentato – sui fascicoli dei magistrati le denunce di stalking e di violenza contro le donne non finiscano all’ultimo posto”. Promessa condivisa, anzi anticipata, dall’ex guardasigilli Alfonso Bonafede e dall’allora ministro per la Pubblica amministrazione, Giulia Bongiorno.
Allargando lo sguardo allo scorso anno, i dati del 2019 sono parziali, nei primi nove mesi del 2018 il numero delle donne uccise è calato solo di 3 unità (da 97 a 94 casi), ma solo in 32 casi si può parlare effettivamente di femminicidio, nel senso di uccisioni di donne in ragione del proprio genere. Anche se generalmente il “femminicidio”” è ricondotto cronologicamente a questi ultimi anni, già nel 1992 se ne è parlato in letteratura. A farlo è stata Diana Russell che nel libro “Femicide: The Politics of woman killing” ha introdotto questa nuova categoria criminologica per definire la violenza estrema perpetrata dall’uomo ai danni della donna “perché donna”. Certo, questo non vuol dire che prima del 1992 non si siano mai verificati reati di genere, anzi. La Russell dal canto suo ha dato vita a una campagna di informazione scientifica, antropologica, oltre che giornalistica. Fino ad allora si era parlato di misoginia che per sua origine e natura induce l’uomo a pensare alla controparte femminile come un oggetto di poco valore che non merita attenzioni di nessun tipo. Un pensiero che ha prodotto fiumi di inchiostro in ambito scientifico e che ha indotto lo stesso Sigmund Freud a ritenere che questa stereotipizzazione della donna nasca da un complesso omosessuale insito nell’uomo o, molto più semplicemente, scaturisca da un “non-risolto” che provoca rabbia e violenza. Pertanto, alla misoginia, spesso definita in legge come “delitto d’onore” e “lesbicidio”, terminologie cadute in disuso da decenni almeno per la legge italiana, con l’intuizione della Russell si è cominciato a parlare di “femminicidio” gradualmente allargatosi a ogni forma di violenza e discriminazione contro la donna “in quanto donna”, anche verbale.
Un altro aspetto importante non trascurabile riguarda il contesto in cui avviene la violenza. Di per sé se si parla di femminicidio non si fa riferimento solo all’atto violento dell’uomo sulla donna ma anche al contesto sociale, lavorativo, familiare e domestico in cui esso si rende possibile. Inoltre, presuppone un’escalation di atti, verbali e non, che hanno prodotto come risultato l’aggressione finale, si pensi ai casi – poi diventati mediatici – di Gessica Notaro e Lucia Annibali, entrambe sfigurate in viso con dell’acido. Ad esempio: nell’80% dei casi un marito che uccide la moglie l’ha vessata per anni e dopo, a monte della separazione, ha deciso di ucciderla per gelosia. Uno degli aspetti finora poco approfonditi del femminicidio riguarda il durante, ossia la fase che intercorre tra “la relazione standard tra un uomo e una donna” e il “drammatico epilogo”. Il durante infatti rappresenta la fase più dura da superare ma al contempo quella più decisiva: se la donna denuncia è salva, se non confessa ad alcuni, familiari o amici, quello che le sta accadendo allora è in trappola.
La testimonianza.
Abbiamo raccolto l’esperienza di Maria (nome di fantasia), donna del sud Italia sposata da trentadue anni e maltrattata da oltre dieci.
Sposata con il suo attuale marito, la cinquantenne ha dato alla luce tre figli, i quali oggi studiano e lavorano lontano da casa. Pur non essendo legata sentimentalmente al marito da qualche anno, Maria non riesce a chiedere la separazione da quel compagno oggi, a suo dire, “indifferente, silenzioso e violento”. Una violenza che non necessariamente si concretizza tramite una sberla o uno spintone ma in gran parte fatta di accuse, ingiurie, bestemmie. “Sono stati i suoi modi – ci racconta la donna – a indurmi in uno stato di autodifesa e alla solitudine completa. Ho un rapporto debole con i miei figli che sanno ma non possono aiutarmi come vorrebbero essendo distanti da casa. Con gli anni – confessa – mi sono trasformata: sorrido sempre di meno, parlo molto poco e perdo peso a vista d’occhio. Sono certa che un altro uomo non troverebbe in me la sensualità che ogni donna conserva”. La difficoltà incontrata da Maria in questi anni di “depressione di coppia” è dovuta – stando a quanto dice – a una mancanza di autostima venuta meno dal momento in cui il dialogo con il marito, suo coetaneo, ha assunto toni violenti e aspri non idonei ad accogliere un confronto. A monte delle loro discussioni un’altra donna, o meglio il tentativo del marito di avvicinarsi a un’altra donna. “Questo il motivo che ha innescato nella mia mente – racconta – un meccanismo di sfiducia nei suoi confronti: pertanto non mi fido dei suoi racconti, dei suoi ritardi e persino degli abiti che indossa a lavoro o fuori casa”. Secondo gli esperti i problemi di fiducia nascono dall’assenza di autostima, come in questo caso, o da complessi irrisolti della persona singola. Per esempio, i soggetti molto gelosi e possessivi possono faticare a concedere fiducia perché subentrano dinamiche inconsce che impediscono loro di lasciarsi andare completamente o, come ancora nel caso di Maria, di riuscire ad andare avanti. Il tradimento, o presunto tale, è infatti la ragione che porta molte coppie a frantumarsi: da una parte ci sono coloro che optano per la separazione consensuale, dall’altra invece in molti per ragioni sociali (spesso vivono in piccoli centri abitati), l’unica strada è insabbiare i problemi di coppia sfociando in litigi che generalmente diventano violenti. Anche questo è dunque il femminicidio, inteso come annientamento verbale della donna che il più delle volte, a dimostrarlo sono i dati ufficiali, si trasforma in possesso e in una relazione dalle tonalità mortificanti.