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Diabete: ricerca medica e staminali
Il diabete insulino-dipendente (tipo 1), detto anche “giovanile” a causa del suo prevalente manifestarsi in età adolescenziale, è una patologia di tipo autoimmune: l’organismo non è infatti in grado di riconoscere le cellule β pancreatiche destinate alla produzione dell’insulina ed anzi le attacca, danneggiandole o distruggendole, andando a provocare una mancanza assoluta dell’ormone che deve essere integrato dal malato (insulino-dipendenza).
Le cause di questo processo sono da riscontrarsi talvolta nella predisposizione genetica, talvolta nell’esposizione ad alcune infezioni virali.
Sebbene non vi sia ancora una cura definitiva per questo tipo di diabete, la ricerca, mossa anche dall’ingente e in crescendo numero di affetti da diabete, è attiva e costante.
Allo stato attuale, non è stata trovata una soluzione definitiva per contrastare questa patologia che affligge, nelle sue diverse forme, 350 milioni di persone nel mondo, di cui 3 solo in Italia, e che è purtroppo destinata quasi a raddoppiare nel giro di 20 anni.
Nel diabete di tipo 1, la maggior parte delle terapie adottate è incentrata sulla somministrazione costante di insulina: una tecnica che muove i suoi primi passi già nel gennaio del 1922, quando Leonard Thompson, un giovane 14enne, venne sottoposto in Canada alla prima iniezione di insulina e che diede risultati eccezionali per l’epoca, pur riscontrando qualche fisiologico effetto collaterale.
La ricerca, oggi come allora, è un connubio di studi, analisi e tentativi, alcuni destinati ad avere successo e a cambiare la storia della medicina, altri a rimanere tali, in attesa di essere perfezionati o scartati definitivamente.
Dopo quasi un secolo da quella prima iniezione di insulina, la ricerca per la cura del diabete non si è certo arrestata e, almeno per quanto riguarda il tipo 1, si prospettano nuovi orizzonti rappresentati dall’utilizzo delle cellule staminali, dalle quali sarebbe infatti possibile generare nuove cellule β. Sono state, quindi, strutturate diverse ipotesi sul tipo di cellule da utilizzare e il loro eventuale impiego futuro:
Cellule Staminali Embrionali Umane (ES)
Da questo tipo di cellule staminali si ottengono in cultura cellule β che verranno poi trapiantate nei pazienti, con la speranza che queste cellule producano poi insulina in modo autonomo all’interno dell’organismo. La ricerca ha dimostrato la possibile realizzazione di questo processo su topi da laboratorio, dove le cellule impiantante che riescono a differenziarsi, attivano il processo atto a monitorare i livelli di glucosio e il conseguente rilascio di insulina.
D’altro canto, le cellule che rimangono primitive e indifferenziate sembra aumentino la capacità di generare masse tumorali, per cui saranno necessarie ulteriori sperimentazioni e verifiche.
Cellule Riprogrammate (iPS)
Un’altra ipotesi di trattamento potrebbe essere l’utilizzo di cellule indotte pluripotenti (iPS) che si ottengono dalle cellule adulte del paziente stesso e permetterebbero la rigenerazione di cellule β che poi verranno trapiantate nuovamente all’interno dell’organismo. È stata dimostrata la fattibilità di questo processo nelle cellule iPS di alcuni primati e topi da laboratorio, riscontrando una minore efficienza nella produzione di insulina rispetto alle embrionali, ma risolvendo il problema del rigetto tissutale, data la provenienza autologa. Ferma restando la possibilità che anche le nuove cellule β possano sempre essere riconosciute e attaccate dal sistema immunitario.
Altre ipotesi considerano la possibilità di attivare cellule staminali già presenti nel pancreas del paziente per dare origine a nuove cellule β, ma la ricerca medica sembra ancora farraginosa sull’argomento.
Il cammino intrapreso dovrebbe portare i risultati sperati, anche se quantificare tempi e modi non è impresa semplice; i ricercatori si stanno orientando alla produzione di cellule che riescano a “sopravvivere” al trapianto, attivando una corretta produzione dell’ormone insulina e scongiurando quelli che sono gli effetti collaterali finora riscontrati: a tal fine sono stati avviati processi di sperimentazione umana in aree del corpo, come la spina dorsale, con una bassa concentrazione di difese immunitarie in modo da contenere la percentuale di rigetti.
“Poche risorse bastano per scongiurare le complicanze, disastrose per le persone e le famiglie con diabete” afferma Diabete Italia in occasione della Giornata Mondiale del Diabete. “Non mettiamo all’asta la salute delle persone rovinando la spesa sanitaria che si voleva riequilibrare. Non tagliamo il ramo su cui sono sedute milioni di persone ‘sane con diabete’ impegnate ogni giorno nella prevenzione delle complicanze”.
La soluzione quindi, anche in questo caso, passa per la capacità di ricerca e prevenzione e non per l’applicazione di metodologie dispendiose e spesso inutili.