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Difesa della Terra e dei mari: sanificare l’ambiente dalla cattiva condotta dell’uomo
La natura si riprende il suo. Tante, troppe, volte nel corso del lockdown abbiamo pensato a questo. Del resto le città spopolate e le strade del tutto deserte hanno fatto credere che il mondo stesse subendo un vero e proprio ridimensionamento della specie umana, garantendo maggior spazio alla flora e alla fauna. Da tempo il biologo Edward Wilson ritiene che metà della Terra debba essere restituita al mondo naturale e al mondo animale, ristabilendo in tal modo equilibri che stiamo perdendo definitivamente. Oggi invece con la nuova ricerca “Covid-19: The conjunction of events leading to the pandemic and lessons to learn for future threats” pubblicata su Frontiers of Medicine, un team di ricercatori europei riconosce nuovamente la pericolosità della distruzione degli habitat naturali e ribadisce che la chiave per scongiurare future epidemie non è temere “il selvaggio”, ma riconoscere che l’attività antropica è responsabile dell’emergere e del propagarsi della zoonosi e delle nuove pandemie. Gli scienziati avvertono anche che lo sfruttamento della natura da parte dell’umanità cambierà, o ci saranno pandemie più mortali rispetto a quella in corso.
Un impegno comune. Emergenze epidemiologiche a parte, la Terra ha bisogno di un impegno corale dei popoli che la abitano: un’esortazione che arriva da più parti e rinnovata – ulteriormente – anche dal Papa che proprio nei giorni scorsi ha rilanciato l’iniziativa dell’Anno speciale indetto dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, in occasione del quinto anniversario della “Laudato si’”, l’enciclica a difesa della “nostra casa comune”, ovvero della Terra. Sarà un tempo di riflessione sui contenuti di un documento con cui — ha detto — «si è cercato di richiamare l’attenzione al grido della Terra e dei poveri», guardando non soltanto alla tutela dell’ambiente ma anche alla difesa «dei nostri fratelli e sorelle più fragili». Una premura sociale che se da un lato è propria di un leader religioso, dall’altro è ben condivisa dalle Nazioni Unite che invitano i diversi Paesi a una cooperazione internazionale nel segno della conservazione della varietà che caratterizza gli ecosistemi della terra: l’agricoltura sostenibile; la desertificazione, il degrado del suolo e la siccità; l’acqua e servizi igienico-sanitari; la salute e sviluppo sostenibile; l’energia, la tecnologia e l’innovazione; la condivisione delle conoscenze, la resilienza e l’adattamento urbano; il trasporto sostenibile; il cambiamento climatico e la riduzione del rischio di catastrofi; la difesa dei popoli indigeni; la sicurezza alimentare.
Cattiva condotta dei popoli. Intanto, proprio su questo versante, l’Unione Europea ha adottato una nuova strategia globale sulla biodiversità per riportare la natura nelle vite degli europei. Una tappa raggiunta a seguito della crisi sanitaria ed economica che ha dimostrato quanto l’essere umano sia vulnerabile e quanto sia importante ristabilire l’equilibrio tra attività umana ed ecosistemi. A fronte di tutto questo però, emerge la cattiva condotta dei popoli. In occasione di un’emergenza senza precedenti come quella ancora in corso, gli uomini si stanno rivelando (nuovamente) poco rispettosi della Terra: è questo l’allarme lanciato dalle diverse realtà ambientalistiche che si schierano in difesa dei mari e delle acque dolci che bagnano i nostri Paesi. John Hocevar, direttore delle campagne oceaniche di Greenpeace USA, ha così affermato: “Giusto fuori da casa mia ci sono guanti abbandonati e mascherine gettate per tutto il vicinato. […] Sta piovendo da due giorni, quindi le mascherine sono state trasportate negli scarichi. Finiranno nei fiumi e poi nell’Oceano Atlantico”. Le fotografie di mascherine e guanti abbandonati sul ciglio delle strade e ondeggianti sul bagnasciuga delle nostre spiagge hanno indotto l’Istituto Superiore di Sanità a pubblicare delle Linee guida per regolarne lo smaltimento, dal momento che contengono materiali di origine sintetica e plastica – dal latex al PPE – dannosi per l’ambiente e la fauna selvatica. L’Iss raccomanda che i dpi vengano gettati nel bidone della raccolta indifferenziata (mai in quello della carta o della plastica) e che vengano chiusi dentro “due o tre sacchetti possibilmente resistenti” messi “uno dentro l’altro all’interno del contenitore che usi abitualmente”. Guanti e mascherine, che se abbandonati nell’ambiente vengono trasportati dal vento e dalle correnti, per poi finire nei corsi d’acqua e negli oceani, devono terminare la loro breve esistenza negli inceneritori (o nei termovalorizzatori, che sono impianti di incenerimento che sfruttano la combustione per produrre energia). Insomma, abbandonare mascherine e guanti laddove capita non è solo questione di decoro urbano o di salvaguardia dell’ambiente, ma ha a che vedere anche con un rischio sanitario, essendo questi rifiuti speciali.
Dallo Spazio. Non è dunque questo il momento di abbassare la guardia, anzi l’intelligenza artificiale corre incontro all’uomo e lo fa direttamente dallo spazio. In occasione della Giornata internazionale degli oceani, che si celebra annualmente l’8 giugno, è stato dimostrato che i satelliti potrebbero essere una risorsa indispensabile per la lotta all’inquinamento degli oceani, soprattutto in merito alla presenza dannosa, per l’ecosistema marino, della plastica. Nello specifico si tratta dei satelliti di Sentinel-2, missione sviluppata dall’European Space Agency nell’ambito del programma Copernicus per monitorare le aree verdi del pianeta, che hanno la capacità di monitorare la presenza di plastiche negli “spazi blu” del pianeta Terra. Un test già concretizzato in quattro aree del mondo, ad Accra in Ghana, nelle isole San Juan in Canada, a Da Nang in Vietnam e nell’est della Scozia.