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Epidermolisi Bollosa: la vita dei bambini farfalla
Bambini farfalla li chiamano. È una bella espressione, ma purtroppo nasconde una brutta malattia: l’epidermolisi bollosa. Una patologia di cui si parla poco, ma che purtroppo ha pesantissime ricadute sulla vita di chi ne soffre e di chi se ne prende cura.
Sotto il nome di epidermolisi sono racchiuse diverse genodermatosi, cioè malattie genetiche della cute, rare, caratterizzate da pelle fragilissima e dalla ricorrente formazione di bolle, prodotte da microtraumi.
La nostra pelle è formata da due strati: l’epidermide, lo strato esterno, e il derma, lo strato interno. Il derma è legato all’epidermide dalla giunzione dermoepidermica che garantisce, con un grande numero di filamenti di ancoraggio, un legame sicuro fra i due strati. Le persone affette da EB, per errori genetici, hanno alcuni difetti nelle proteine responsabili dell’aderenza tra epidermide e derma, come il collagene, la laminina, le cheratine e le integrine. Non ci sono i filamenti di ancoraggio, e qualsiasi azione generante attrito tra i due strati (come sfregamento o pressione) provoca piaghe e vesciche. Dolorosissime.
Fino ad oggi, sono stati identificati 13 geni responsabili della maggior parte dei casi di epidermolisi bollosa.
Se presente in forma lieve, consente di condurre una vita normale. Ma le forme più gravi possono essere mortali, anche nei neonati. È una patologia genetica, e può quindi essere ereditata con modalità autosomica dominante o autosomica recessiva. Nel primo caso, un genitore con un gene mutato ha il 50% di probabilità di trasmettere la malattia ad ognuno dei suoi figli; nel secondo caso, entrambi i genitori sono portatori sani di un gene associato alla malattia e la probabilità che la trasmettano ai bambini è del 25% a ogni gravidanza. Nelle coppie in cui è stato tracciato il difetto genetico alla base della EB, è possibile la diagnosi prenatale durante la gravidanza.
In tutto il mondo, l’epidermolisi bollosa colpisce 1 bambino su circa 17.000 nati, circa 500 mila persone, in Italia 1 su 82.000, per un totale di circa 1.500 pazienti sul territorio nazionale.
I bambini con questa malattia vengono chiamati “bambini farfalla”, proprio per la fragilità della loro pelle, paragonabile alle ali di una farfalla. In Sud America, invece, i piccoli malati sono definiti “Bambini Pelle di Cristallo“. Purtroppo, poiché è molto rara, sono pochi gli investimenti nella ricerca.
La pelle di un malato non può guarire completamente e in maniera corretta: le ferite e il processo di cicatrizzazione sono purtroppo cronici. Ogni trauma o danno subito dalla pelle è irreversibile e la disabilità causata dalla malattia si accentuerà nel corso della vita del malato. Nel 2006 è stato effettuato il primo trapianto al mondo di pelle geneticamente modificata in un malato di EB giunzionale. Ma a parte questo, non esistono cure risolutive per la Epidermolisi Bollosa.
Nelle forme gravi possono essere coinvolti anche organi e apparati, come l’esofago, che si può restringere fino ad occludersi, e spesso è necessario ricorrere alla chirurgia, che comporta comunque benefici limitati. A volte ci può essere un’altra, gravissima, complicanza: possono comparire carcinomi squamo cellulari, che si sviluppano generalmente nelle sedi soggette a trauma e a lesioni bollose ricorrenti, in particolare a livello delle estremità del corpo e della lingua. È molto difficile diagnosticare correttamente questi carcinomi, soprattutto se il medico non è esperto e non conosce bene questa patologia. Vengono spesso confusi con lesioni erosive o verrucose croniche, e quindi non vengono adeguatamente e tempestivamente gestiti, fino ad assumere dimensioni notevoli. E a quel punto, può essere necessaria l’amputazione dell’arto o di parte di esso, con tutte le conseguenze anche psicologiche che questo comporta. Il carcinoma squamocellulare può essere trattato anche con sedute di radio o chemioterapia ma ha spesso, in ogni caso, conseguenze letali.
Le forme gravi possono provocare anche la completa chiusura delle mani. Le dita dei bambini si uniscono gradualmente e poi si chiudono, provocando, nei casi più gravi, la completa perdita dell’uso delle mani sin da piccolissimi.
La malattia ha un forte impatto anche per chi convive con il malato. Cambiare le medicazioni può richiedere diverse ore al giorno. E sia malato che famigliari devono purtroppo convivere con la disinformazione che c’è nei confronti di questa malattia, oltre che con la diffidenza della gente.
Per cercare di attirare l’attenzione sulla malattia è stata recentemente realizzata una indagine da parte di Doxa, finanziata da Debra Italia Onlus, una associazione senza scopo di lucro che supporta su tutto il territorio italiano bambini e adulti affetti da Epidermolisi Bollosa (EB).
Fondata nel 1990 su iniziativa di familiari e pazienti, l’associazione ha in particolare l’obiettivo di promuovere attività di assistenza socio sanitaria, di diffondere la conoscenza tra malati, familiari e medici, e di supportare la ricerca su questa grave e sconosciuta malattia.
L’indagine ha coinvolto un campione composto da volontari affetti da epidermolisi bollosa giovani e adulti e alcuni caregivers, per un totale di 33 partecipanti provenienti da tutt’Italia. Venti pazienti su 30 soffrivano di epidermolisi bollosa distrofica recessiva, la forma più grave. Con le loro testimonianze è stato possibile capire le caratteristiche principali della malattia: fragilità e imprevedibilità, impossibilità di acquisire autosufficienza ed emancipazione, dolore fisico e psicologico.
Health Online ha contattato la presidente dell’associazione, Cinzia Pilo: le abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa di più sulla ricerca e sulla vita delle persone affette da questa malattia, ai più sconosciuta.
L’epidermolisi bollosa è una malattia di cui si parla ancora troppo poco. Quanto è difficile assistere un bambino, o anche un adulto, che ne è affetto?
L’assistenza delle persone affette da questa terribile malattia genetica rara è affidata alle famiglie. Come io stessa, da madre di un bambino affetto da questa patologia e da Presidente di Debra Italia ho più volte sottolineato, l’impatto della malattia è decisamente sottovalutato. Non è accettabile che la gestione quotidiana delle medicazioni, che rappresentano attualmente l’unico trattamento esistente, venga gestito dai genitori dei bambini, che sopportano perciò un eccessivo carico sia fisico che psicologico. La ricerca da noi commissionata ha evidenziato come, peraltro, questo meccanismo generi delle distorsioni anche nelle relazioni tra i famigliari: da un lato i genitori si sentono inutili nonostante il loro continuo sforzo per migliorare le condizioni di vita dei propri figli, perché non esiste cura e comunque la malattia degenera con l’età; dall’altro i ragazzi, soprattutto con l’adolescenza, desiderano non dipendere sempre da qualcuno. Questo rapporto di dipendenza reciproca che si crea è perciò deleterio per tutti.
La vostra ricerca è la prima che indaga su questo mondo. Avete raccolto tantissime testimonianze di pazienti, giovani e adulti, e caregivers. Quali sono state le cose che vi hanno colpito di più?
Le affermazioni che ci hanno colpito di più riguadano la diversa percezione del dolore da parte dei pazienti e dei loro caregivers e la necessità di maggiore autonomia denunciata dai malati di EB. Mentre la soffrenza fisica dei propri figli costituisce il primo grande problema denunciato dai caregivers, la mancanza di autonomia e il desiderio di una vita più emancipata è il dato denunciato come primo problema da molti ragazzi farfalla.
Nel nostro Paese è garantita una assistenza adeguata a questi malati? Cosa si potrebbe e si dovrebbe fare in più?
Nel nostro Paese sono presenti due centri multidisciplinari specializzati nella gestione della malattia, la cui nascita è stata peraltro stimolata dalla nostra associazione Debra Italia, presso l’Ospedale Maggiore Policlinico a Milano e l’ospedale Bambino Gesù a Roma, più alcuni centri monodisciplinari per l’odontoiatria a Torino, la chirurgia della mano a Catania e di dermatologia a Bari. Come evidente perciò, abbiamo necessità di spostarci in diverse parti d’Italia per ricevere l’indispensabile assistenza da personale specializzato.
Esistono tre temi sui quali si deve e si può fare di più: diffondere ulteriormente la formazione di personale specializzato in altri centri ospedalieri in Italia, in modo da garantire alle nostre famiglie un accesso più facile alle cure; la concessione ai malati di EB, in maniera non disciminata in relazione al territorio di residenza, di tutto lo specifico materiale indispensabile e insostituibile occorrente per le medicazioni quotidiane, come da prescrizione nei protocolli redatti dai medici specializzati in EB; infine l’assistenza infermieristica domiciliare deve essere concessa da parte delle ASL in tutta Italia.