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Esame del DNA fetale: di cosa si tratta?
Quando si scopre di essere in dolce attesa ci si chiede subito quali esami fare per scoprire eventuali malattie genetiche e quando farli. Negli ultimi anni si parla molto di Esame del DNA fetale, ma poche donne si sottopongono a questo esame perché risulta essere un esame molto costoso e non passato dal Servizio Sanitario Nazionale.
Vediamo di cosa si tratta.
Il test del DNA fetale analizza il DNA del feto presente nel sangue della mamma. Infatti ormai da tempo si sa che nel sangue materno circolano cellule della placenta che contengono lo stesso corredo genetico del feto.
Da alcuni anni, con strumenti e procedure sofisticate si possono isolare queste cellule del DNA, che vengono poi replicate in laboratorio per ottenere una quantità idonea alle analisi.
Il prelievo di sangue alla madre deve essere fatto intorno alla 12 settimana e i risultati vengono consegnati in circa 2 settimane.
Cosa rileva il test
Il test, eseguito sul sangue della mamma, non è invasivo e non comporta rischi per lei o per il bambino. Serve per valutare il rischio che il feto sia affetto da alcune malattie date da anomalia cromosomica, come la Sindrome di Down.
Questo tipo di test non può essere considerato sostitutivo di villocentesi e amniocentesi che invece sono esami invasivi.
Oltre a valutare il rischio di sindrome di Down, con questo tipo di test è possibile valutare:
- il fattore Rh fetale per valutare l’eventuale incompatibilità fra madre e feto;
- il sesso del nascituro, spesso importante per stabilire predisposizioni legate al sesso. Malattie come la distrofia muscolare di Duchenne, si manifestano in genere solo nei maschi. In questo caso sarebbe poi utile quindi fare un esame invasivo se il feto e maschio ma non se è femmina.
Negli ultimi anni, il test del DNA fetale si è diffuso maggiormente per lo screening per le anomalie cromosomiche come la trisomia 21 – 13 e 18.
Parlare di screening significa che l’esame non certifica la presenza o assenza della patologia ma ne valuta il rischio che il feto ne sia affetto.
Attendibilità
Questo tipo di test è risultato attendibile al 99% nel caso della sindrome di Down, con falsi positivi molti rari. I dati scientifici sono stati pubblicati dal gruppo di Kypros Nicolaides del King’s College Hospital di Londra, uno dei massimi esperti mondiali di screening prenatale.
Gli esperti raccomandano in caso di risultato positivo di confermarlo con un esame tradizionale, come amniocentesi o villocentesi.
Inoltre, l’esame è risultato più attendibile in caso di gravidanza con singolo feto. Nel caso di gravidanza gemellare, il test può identificare comunque eventuale anomalia ma non è possibile attribuirla a un feto o all’altro.
A chi è consigliato effettuare questo esame
Non ci sono indicazioni particolari su chi deve o non deve effettuare questo tipo di test è una scelta della donna in gravidanza.
Sicuramente potrebbe essere consigliato dal medico curante in caso ci siano state precedenti gravidanze con figli affetti da qualche patologia o famigliari.
Gli altri esami normalmente consigliati sono:
Villocentesi: procedura invasiva che permette di prelevare frammenti di tessuto coriale, una componente della placenta che possono essere esaminati in laboratorio per valutare la presenza di eventuali malattie cromosomiche o genetiche presenti nel feto.
Amniocentesi: esame invasivo di diagnostica prenatale che permette di determinare con certezza se il feto è portatore di un’alterazione cromosomica oppure di una specifica malattia genetica.
Bitest: combinazione di due esami con misurazione mediante ecografia dello spessore della translucenza nucale del feto, cioè di un’area che si trova nella nuca del bambino e che permette di definire un’ampiezza, l’altro esame è un prelievo di sangue eseguito alla madre, che permette di dosare due ormoni che sono indicativi della funzione placentare.