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I rischi della rete: come riconoscerli e proteggersi.
Italiani, popolo di Santi, poeti e …navigatori del web. Secondo un’indagine del 2019 condotta da Digital, il 92% degli italiani è connesso a internet. YouTube è la piattaforma social più attiva in assoluto, utilizzata dall’87% dei 35 milioni di Italiani che usano i social ogni giorno. Nella top 3 seguono a breve distanza WhatsApp (84%) e Facebook (81%). Si calcola che ciascun Italiano in media trascorra quasi sei ore al giorno connesso e di queste sei ore due ore sono trascorse sui social. Indubbiamente le tecnologie digitali offrono tante opportunità di apprendere, scambiare, partecipare e creare contenuti. Ma Internet non è scevro da rischi per i suoi utenti, in particolare quelli più vulnerabili, come i bambini e gli “analfabeti digitali”. Per questo motivo, proteggerci dai rischi dei new media diventa di vitale importanza. Ne abbiamo parlato con il dr. Giuseppe Iannone, psicologo e psicoterapeuta.
Dr. Iannone, a quali minacce ci esponiamo ogni volta che siamo connessi alla rete?
Dalla violazione della privacy al cyberbullismo, dalla disinformazione al rischio di essere esposti a contenuti potenzialmente dannosi e comportamenti predatori, di rischi ce ne sono per tutti i gusti. Per non parlare di virus, trojan, rootkit, worm, spyware, tutti programmi malevoli (in inglese malware) che non solo possono impedire un normale funzionamento dei nostri apparati elettronici, ma possono anche costituire una minaccia alla nostra privacy e sicurezza. I virus, per esempio, sono applicazioni che modificano il corretto funzionamento di altre applicazioni. I trojan, proprio come il celebre cavallo usato da Ulisse per espugnare la città greca, si inseriscono in un programma assumendone il pieno controllo. I worm (in italiano verme), a differenza dei virus, non hanno bisogno di programmi per diffondersi ma possono infettare il computer attraverso l’email o una chiavetta USB. I key logger sono in grado di rubare password e altri dati, perché memorizzano quanto viene scritto sulla tastiera oppure scattando screenshot del desktop. Ci sono poi i dialer, programmi in grado di far partire telefonate a numeri a tariffe elevate e che il malcapitato di turno, ignaro di tutto, si ritroverà in bolletta come costi aggiuntivi. Gli exploit poi sono in grado di prendere il pieno controllo dei propri dispositivi elettronici, mentre gli spyware agiscono come 007 per spiare la nostra attività online. Infine, il ransomware dopo averti bloccato il pc, chiede un riscatto per lo sblocco. Insomma, di rischi il web è pieno. Per questo motivo, è importante essere saggi nocchieri delle nostre navi virtuali quando ci accingiamo a navigare nell’universo di internet.
Come navigare allora in acque sicure, al riparo da Sirene ammaliatrici e tempeste?
Naturalmente, gran parte dei rischi che si corrono derivano da una mancata o parziale informazione su come utilizzare internet. Per questo motivo, le campagne di informazione rappresentano un primo, utilissimo, strumento per proteggerci da rischi inutili. Per esempio, la giornata dell’Internet sicuro (in inglese Safer Internet Day) iniziata e promossa dal progetto Safe Borders dell’Unione Europea nel 2004, e ricordata in circa 160 Paesi in tutto il mondo, ha lo scopo di sensibilizzare gli utenti sulle problematiche online emergenti legate alla sicurezza sul web. Dal cyberbullismo al corretto utilizzo dei social network, sono diversi i temi che ogni anno il Safer Internet Day sceglie per combattere i rischi che si corrono quando si naviga.
Esistono categorie di persone che sono più vulnerabili e quindi maggiormente esposti ai rischi della rete?
Sì. Pensiamo, per esempio, ai bambini: l’utilizzo di internet tra i più piccoli è cresciuto notevolmente negli ultimi 50 anni. Se, negli anni ‘70, i bambini iniziavano a guardare la televisione quando avevano circa quattro anni, oggi i bambini in genere iniziano ad avvicinarsi a Internet già all’età di quattro mesi (Chassiakos et al., 2016). Anche l’utilizzo dei dispositivi mobili tra i bambini è aumentato di molto. Mentre nel 2011 “solo” il 38% dei bambini da 0 a 8 anni accedeva ai dispositivi mobili, in soli due anni questo numero è quasi raddoppiato, salendo al 72%, con un tempo medio di presenza in rete di quasi due ore al giorno (Rideout, 2013).
Altra popolazione a rischio sono i cosiddetti “analfabeti digitali”, ossia persone la cui conoscenza e competenza di base sull’utilizzo di internet non è sufficiente. L´ Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ha avviato un’indagine sul livello delle competenze digitali delle persone di 29 Paesi europei e non. I risultati evidenziano che “in Italia solo il 21% degli individui in età compresa tra i 16 e i 65 anni possiede un buon livello di alfabetizzazione e capacità di calcolo. Si tratta del terzo peggior risultato tra i Paesi esaminati”. Siamo al terzultimo posto, dopo di noi solo la Turchia e il Cile hanno fatto peggio. L’indagine ha anche indicato che solo il 36% del campione italiano è in grado di utilizzare Internet in maniera complessa e diversificata.
Cosa fare allora per proteggerci dai rischi della rete? E come promuovere un utilizzo efficace di tale strumento?
Tanto passa da una formazione che deve essere continua. Le tecnologie cambiano così rapidamente che diventa necessario aggiornarsi sulle nuove possibilità che la rete offre. Conoscere come funzionano le impostazioni sulla privacy di ciascun social o sito, essere consapevoli di quali informazioni possiamo tenere nascoste con gli altri utenti ci protegge dal condividere immotivatamente tanti dati sensibili, come la propria data di nascita, l’indirizzo, l’e-mail o il numero di telefono. Occhio anche a condividere la posizione sul proprio telefono. E mi rivolgo qui soprattutto ai genitori. Sapere dove si trovino i propri figli durante la giornata è indubbiamente rassicurante. Ma allo stesso tempo bisogna essere consapevoli che questa informazione potrebbe essere di dominio pubblico e che altre persone potrebbero usare questa informazione per seguire i loro movimenti. Preferite, piuttosto, un sms o una telefonata per monitorare i vostri ragazzi. Sempre più social offrono la possibilità di decidere con chi condividere o come impedire alle persone di vedere determinati tipi di commenti, foto, di commentare il loro stato o i contenuti o chiedere l’autorizzazione prima di consentire la pubblicazione di foto di sé stessi. Anche prima di pubblicare un post o una foto online, chiediamoci: chi lo vedrà? Cosa sto comunicando di me stesso pubblicando questo stato, foto o commento? E cosa potrei suscitare nella persona che lo vedrà? Potrei pentirmene in un secondo momento?
Sia i bambini che gli adolescenti vanno coinvolti in questo processo, per dar loro la possibilità di confrontarsi e capire quanto sia facile per un estraneo entrare nella propria vita attraverso le informazioni che si pubblicano in rete, nonché delle conseguenze che possono derivare dal non essere sicuri online. Difendersi da questi rischi si può, per esempio bloccando persone sospette o sconosciute o evitando di condividere con persone conosciute in rete contenuti personali.
Un’ultima domanda: si fa un gran parlare di cyberbullismo. Quando dobbiamo preoccuparci?
Per cyberbullismo si intendono tutti quei tipi di attacco offensivi, ripetuti sistematicamente, mediante gli strumenti della rete a danno di una o più vittime. Gli attacchi possono avvenire tramite telefonate, sms, mail, chat, social network, forum online, siti di giochi. È un fenomeno in costante aumento che può portare conseguenze anche gravi per chi lo subisce. A differenza del bullismo, dove il bullo è identificabile e la cui azione può essere efficacemente contenuta dal contesto (docenti, compagni di classe e personale scolastico), l’identità del cyberbullo è nella maggior parte dei casi sconosciuta e il cyberbullo agisce in piena libertà. Esistono diverse forme di cyberbullismo, tra cui il Flaming, in cui la vittima riceve messaggi offensivi e/o volgari su forum, blog o social; la Masquerade, che consiste nel rubare l’identità della vittima con l’obiettivo di pubblicare a suo nome contenuti. Infine, l’Exposure, in cui una terza persona rende pubbliche le informazioni private della vittima. Infine, ma non ultimo per gravità, l’Happy slapping, una forma ibrida di bullismo e cyberbullismo, in cui una o più persone molestano fisicamente la vittima con lo scopo di riprendere l’aggressione e pubblicare il video sul web. L’invisibilità “fisica” sia del cyberbullo che della vittima che subisce l´angheria sono spesso legate a una percezione di minore gravità di quello che sta succedendo ma gli effetti sulla vittima sono paragonabili al subire le vessazioni in presenza. La peggiore giustificazione per minimizzare il fenomeno del cyberbullismo è di etichettarlo come “ragazzata”. Gli effetti del cyberbullismo sull’autostima e sulla fiducia delle persone non devono essere sottovalutati, soprattutto tra i giovani. Anzi, secondo quanto riportato da Telefono Azzurro, il cyberbullismo è ancor più psicologicamente devastante del bullismo. Le emozioni che si accompagnano all’essere vittima di cyberbullismo vanno dall´imbarazzo alla vergogna e possono produrre nella vittima isolamento sociale. Possono nel tempo poi comparire anche diverse forme psicopatologiche, tra cui depressione, attacchi di panico e, in casi estremi, tentativi di suicidio.
Proprio come proteggiamo i nostri dispositivi dai malware, chiedere aiuto diventa un atto obbligato per proteggersi e difendersi dal cyberbullismo. La famiglia, la scuola, lo psicologo, gli amici, le forze dell’ordine, sono tutte risorse che vanno informate e coinvolte e che possono aiutare la vittima ad uscire dal dramma che sta vivendo. E se non ci si dovesse sentire a proprio agio a toccare l’argomento con qualcuno che si conosce, si può sempre cercare aiuto per telefono (per esempio contattando il Telefono Azzurro) oppure contattando il Centro Nazionale Anti Cyberbullismo (CNAC).