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Il lavoro dell’infermiere: oltre la professione
L’intervista a Barbara Mangiacavalli, Presidente FNOPI – Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche
Una delle immagini simbolo della lotta al virus SARS-CoV-2 è stato quello di Alessia Bonari, infermiera dell’ospedale di Milano che ha postato una sua foto su Instagram con evidenti lividi sul viso, naso, fronte e gote, a causa della mascherina indossata nel corso delle tante ore di lavoro in reparto. “Sono stanca psicologicamente, e come me lo sono tutti i miei colleghi che da settimane si trovano nella mia stessa condizione, ma questo non ci impedirà di svolgere il nostro lavoro come abbiamo sempre fatto. Continuerò a curare e prendermi cura dei miei pazienti, perché sono fiera e innamorata del mio lavoro”. Il messaggio della Bonari. Sotto gli occhi di tutti il sacrificio di tanti infermieri impegnati in prima linea e senza sosta nella lotta alla pandemia da Covid-19.
Un lavoro bellissimo e straordinario quello dell’infermiere che lo mette a stretto contatto con la vita. Cosa significa essere infermieri? Quanto è importante valorizzare l’eccellenza della professione infermieristica? Qual è stato il ruolo degli infermieri durante la pandemia da Covid-19? Lo abbiamo chiesto Barbara Mangiacavalli, Presidente FNOPI – Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche.
Qual è la principale attività di FNOPI?
FNOPI è un ente di diritto pubblico non economico, sussidiario dello Stato, istituito con legge 29 ottobre 1954, n. 1049, e regolamentato dal Dlgs 13 settembre 1946, n. 233, e successivo Dpr 5 aprile 1950, n. 221. Da Federazione dei Collegi è diventato Federazione degli Ordini con la legge 3/2018. Lo Stato delega alla Federazione la funzione, a livello nazionale, di tutela e rappresentanza della professione infermieristica nell’interesse degli iscritti e dei cittadini fruitori delle competenze che l’appartenenza a un Ordine di per sé certifica. L’organo di vigilanza della Federazione è il Ministero della Salute. La Federazione Nazionale, oltre a coordinare gli Ordini provinciali, che tra i loro compiti istituzionali hanno quello della tenuta degli albi dei professionisti, emana il Codice Deontologico e vigila sull’iscrizione che è obbligatoria per svolgere la professione.
Quanti sono gli infermieri in Italia?
Gli infermieri occupati sono 395mila su oltre 456mila iscritti alla Federazione attraverso i 102 ordini provinciali e rappresentano quasi la metà di tutti i professionisti che lavorano in sanità. La quasi totalità degli infermieri lavora nella Sanità e di questi circa 270.000 sono alle dipendenze del Servizio Sanitario Nazionale. Solo una piccola minoranza, 4000 per l’esattezza, in classi di attività economiche diverse.
Qual è il percorso di formazione e quali sono le competenze?
La formazione, dalla fine degli anni ’90, è universitaria e segue le regole delle lauree 3+2. Il Profilo professionale attribuisce all’infermiere la responsabilità dell’assistenza generale infermieristica e la natura dei suoi interventi, gli ambiti operativi, la metodologia di lavoro, le interrelazioni con gli altri operatori, gli ambiti professionali di approfondimento culturale operativo. Tuttavia, non vi sono elencate competenze esclusive. La direttiva europea 2013/55/UE conferma di fatto i contenuti del profilo professionale. Il campo proprio dell’attività dell’infermiere, secondo l’art. 1 comma 2 della legge 42/99 è determinato dal profilo professionale, dal codice deontologico e dagli ordinamenti didattici della formazione di base e post base e si caratterizza come professione intellettuale ai sensi dell’art.2229 del Codice civile svolgendo una professione al servizio della salute del singolo, della famiglia e della collettività. Quindi la gestione degli interventi infermieristici è garantita attraverso la pianificazione di attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione. La natura di tali attività di assistenza infermieristica è tecnica, educativa e relazionale.
Qual è esattamente il ruolo dell’infermiere?
L’infermiere ha diverse funzioni: partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività; identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi; pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico; garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche; agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali; si avvale, per l’espletamento delle funzioni se necessario, dell’opera del personale di supporto rispetto al quale contribuisce alla relativa formazione; svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale.
Perché è importante la formazione infermieristica post-base per la pratica specialistica?
Perché fornisce agli infermieri di assistenza generale delle conoscenze cliniche avanzate e delle capacità che permettano loro di provvedere a specifiche prestazioni infermieristiche nelle aree di sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica; infermiere pediatrico (pediatria); infermiere psichiatrico (salute mentale-psichiatria); infermiere geriatrico (geriatria); infermiere di area critica (area critica). Proprio in questa ottica è necessario concretizzare ancora più operativamente le specializzazioni infermieristiche grazie alla crescita della formazione, con il continuo aggiornamento, che rappresenta una delle strade imprescindibili della professione e di tutto il sistema sanitario. I limiti derivanti da modelli organizzativi obsoleti ed inappropriati e la carenza di personale (in Italia mancano oltre 60mila infermieri) non devono ridurre l’impegno e il valore della formazione e dell’aggiornamento, ma, anzi, sono proprio la carenza di professionisti e le conseguenze che ne derivano che impongono, prima di tutto, di garantire elevati e significativi livelli di qualità della formazione.
Il lavoro dell’infermiere va oltre la professione…
Il lavoro dell’infermiere non ha effetti positivi soltanto sui pazienti, ma anche sui loro cari, soprattutto quando le patologie di una persona sono tali da impattare sulle condizioni di vita dell’intera famiglia. Se la passione e la curiosità fornisce la motivazione di base per intraprendere e per continuare a svolgere un lavoro impegnativo come quello di infermiere, altrettanto importante è la preparazione che viene conseguita con molti anni di studi universitari e con la continua formazione. Ognuno di questi contesti richiede specifiche attitudini e competenze, la giusta dose di empatia e competenze relazionali, di qualità umane e professionali. Coordinare l’intervento, gestire le relazioni con il paziente, i suoi familiari e i presenti, scegliere il codice di urgenza/emergenza e la struttura di riferimento a cui affidare il paziente: la vita e la salute delle persone dipendono spesso dalla capacità degli infermieri di compiere scelte rapide e corrette in ogni situazione.
Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare?
Assume tutti i contorni di una vera e propria “alleanza” con il paziente. L’infermiere diventa punto di riferimento anche per i familiari, che in questi casi rappresentano una grande e indispensabile risorsa. Deve saper far fronte anche da solo a situazioni critiche e avere la sensibilità necessaria per muoversi in un ambiente domestico, favorendo l’equilibrio e la serenità anche nel momento difficile della malattia. Tutto questo perché quando ci prendiamo cura di un anziano, senza una laurea sarebbe solo assistenza. Quando ascoltiamo ii cuore di un bambino, senza competenze sarebbe solo un gioco. Quando garantiamo somministrazioni farmacologiche a un paziente, senza responsabilità sarebbe solo un aiuto. Quella che indossiamo noi infermieri senza un cuore sarebbe solo una divisa. Gli infermieri sono sempre i primi quando c’è in gioco la vita di un paziente. Prendersi cura di loro, in ospedale come a casa, con le giuste competenze, è fondamentale. Questa è la professione dell’infermiere.
Cosa significa oggi essere infermiere?
Non è facile essere infermiere in questo momento e, in generale, in assoluto. La nostra professione, perché possa esaltare tutti quei valori in cui crediamo, ha bisogno di un impegno particolare in un contesto in rapida evoluzione a fronte anche di molti ostacoli. Ci occupiamo di prevenzione, cura, assistenza. E ancora, di educazione, formazione, organizzazione e ricerca. Siamo preparati per affrontare ogni fase della vita delle persone, compresa quella più difficile che precede la loro fine. Il progressivo invecchiamento della popolazione fa sì che nel nostro Paese gran parte dei pazienti è affetto da patologie croniche e richiede di essere periodicamente o costantemente seguito da personale sanitario competente e preparato. Questa situazione rende gli infermieri sempre più indispensabili, non solo negli ospedali e nelle strutture sanitarie private, ma anche presso strutture residenziali e diurne, a domicilio, nei luoghi di lavoro e di vacanza, sia come dipendenti che come liberi professionisti. E di questo, purtroppo, la pandemia è un’evidenza che stiamo tutti toccando con mano.
Quanto è importante valorizzare l’eccellenza della professione infermieristica?
Direi che è essenziale non solo per i professionisti – che restano comunque i più presenti in ogni servizio in cui operano, ma anche tra i meno pagati d’Europa purtroppo – ma soprattutto per i cittadini, le loro famiglie e per gli assistiti. Oggi è richiesto un modello assistenziale orientato verso un’offerta territoriale, che valorizzi un approccio più focalizzato sul contesto di vita quotidiana della persona. L’assistenza sanitaria territoriale diventa luogo elettivo per attività di prevenzione e promozione della salute, percorsi di presa in carico della cronicità e della personalizzazione dell’assistenza.
In che modo?
Facendo coincidere quanto più possibile professionisti diversi e popolazione di riferimento. È importante il passaggio da una sanità reattiva ad una proattiva, da una sanità prescrittiva a una sanità preventiva. Indispensabile è anche potenziare la telemedicina e l’HTA a supporto delle famiglie e dei professionisti puntando a documenti clinici assistenziali condivisi su piattaforme digitali. La frammentazione dei flussi informativi è anch’esso un ostacolo da superare.
A suo giudizio, come è possibile superare gli ostacoli?
Innanzitutto, dovrebbe essere previsto un modello di rete territoriale, basato su competenze multidisciplinari che abbiano ognuna le proprie responsabilità e agiscano in autonomia di gestione della persona assistita in modo di consentire l’educazione alla salute, la prevenzione, l’assistenza e il soddisfacimento dei bisogni, il controllo celle condizioni dell’individuo. Questo consentirebbe di evitare processi di malattia, aggravamento e/o complicanze rispetto a situazioni di fragilità e far fronte alle emergenze della pandemia. È anche necessario riformare il percorso di formazione, contestualmente a un graduale ampliamento dei numeri programmati per le lauree in infermieristica e in particolare per l’accesso alle lauree magistrali, per garantire flussi costanti di infermieri in relazione alle esigenze dei servizi nei prossimi anni. Per raggiungere la qualificazione delle competenze del personale infermieristico è essenziale porsi come obiettivo minimo, da realizzarsi entro un decennio, la disponibilità di un 20% dei professionisti a elevata specializzazione nelle diverse aree dell’assistenza. In questa prospettiva professionale futura il riferimento più diretto è dunque quello del Case Manager, che di norma è un infermiere, il quale si fa carico del paziente in ogni fase del percorso terapeutico facendo da raccordo tra le diverse specialità, tra i diversi dipartimenti e tra esami diagnostici visite e programmazioni di terapie che si prolungano nel tempo.
Quali sono le altre prospettive future?
Il Recovery Plan mette a disposizione, dopo anni di razionalizzazioni, risorse importanti che se ben indirizzate e utilizzate possono essere la prima pietra dello sviluppo dell’assistenza post Covid e della crescita che questa comporta per le professioni sanitarie. Nella stesura del nuovo Recovery Plan, inoltre, l’infermiere assume un ruolo di protagonista proprio per l’assistenza sul territorio: è lui che va dal paziente e non più il contrario.
Il 2020 è stato definito dall’OMS l’anno internazionale dell’infermiere e dell’ostetrica. La Federazione aveva progettato una serie di iniziative e invece…?
Avevamo previsto a Firenze dei convegni per onorare questo anno nella città natale di Florence Nightingale, fondatrice della moderna professione infermieristica. Ogni anno il 12 maggio, sua data di nascita, viene celebrata la nostra Giornata internazionale. Tutto annullato.
E invece per il 2021?
Lo spirito è stato diverso. La campagna vaccinale in corso ci fa guardare al futuro con un po’ più di ottimismo. A distanza di un anno e mezzo dal lockdown completo iniziamo a vedere dei segnali di ritorno a una vita normale. Il 12 maggio di quest’anno, sebbene con tutte le precauzioni del caso, è partito un congresso “itinerante”, nel pieno rispetto delle norme anticovid, per riscoprire e mostrare al Paese quanto svolto dagli infermieri.
Ha accennato al 2° Congresso Nazionale FNOPI: “OVUNQUE PER IL BENE DI TUTTI – Infermieristica di prossimità per un sistema salute più giusto ed efficace”, in corso fino a dicembre, il primo in modalità itinerante. Quali sono le finalità?
È partito da Firenze per rendere omaggio a Florence Nightingale e ‘ripartire’ da dove avremmo dovuto essere lo scorso anno. Un congresso nuovo che ha come obiettivo fotografare lo stato di attuazione dell’infermieristica di prossimità, chiave di volta per un sistema salute più equo, giusto ed efficace. Anche per questo abbiamo scelto lo slogan “Ovunque per il bene di tutti” proprio per sottolineare la presenza degli infermieri su tutto il territorio e il peso e l’importanza della loro professionalità. Il filo rosso che legherà le esperienze che contraddistingueranno le tappe del Congresso sarà l’Infermieristica di prossimità, a partire dall’infermiere di famiglia e comunità, figura presente in Toscana dal 2018 e che, col decreto Rilancio del maggio 2020, è stata istituita per legge e dovrebbe essere presente in tutte le Regioni.
IL RUOLO DELL’INFERMIERE DURANTE LA PANDEMIA DA COVID-19
Dare una maggiore rilevanza alla professione infermieristica nell’ambito dell’assistenza territoriale che “si è rivelata il tallone d’Achille del Paese al cospetto della pandemia da Covid-19” è stato il messaggio della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche in occasione della Giornata Internazionale dell’infermiere che si è svolta lo scorso 12 maggio, data che ha dato anche il via al 2° Congresso Nazionale FNOPI.
Qual è stato il ruolo dell’infermiere in questo periodo di emergenza sanitaria da Covid-19?
Non è cambiato durante la pandemia è stato solo reso più evidente il lavoro degli infermieri, cosa di cui prima erano coscienti solo i cittadini che per motivi di salute li hanno incontrati nella loro vita. La miglior definizione – che vale sempre e da sempre e non solo con o post pandemia – è quella che molte associazioni di cittadini-pazienti danno degli infermieri: “L’infermiere è la figura che ci permette di gestire al meglio la terapia e spesso ci supporta in alcune scelte terapeutiche e sostiene la nostra qualità di vita“. Sappiamo bene che senza l’apporto della nostra professione l’emergenza avrebbe assunto ben altri toni, ben altri contorni e le persone che ne sono state purtroppo coinvolte sarebbero rimaste, non solo senza un’assistenza adeguata dal punto di vista clinico, ma soprattutto sole in uno dei momenti probabilmente più difficili della loro vita. Gli infermieri non hanno mai lasciato solo nessuno e a loro va il ringraziamento delle Istituzioni, della società, dei cittadini. Emergenza e paura sono le parole chiave: emergenza per far fronte a qualcosa di nuovo e purtroppo imprevedibile e paura non solo di chi è ed è stato in prima linea, perché gli infermieri prima di tutto sono persone, ma dei nostri assistiti, dei nostri concittadini ai quali spesso solo noi abbiamo dato aiuto e supporto.
Come si è attivata la Federazione e in che modo è stata organizzata l’attività straordinaria con quella ordinaria?
La Federazione ha coordinato l’attività istituzionale degli infermieri, intervenendo in tutte le situazioni in cui si sarebbero fatte scelte senza che la voce della professione avesse avuto il suo peso. Mi riferisco alle prime task force di infermieri che sono, assieme a quelle dei medici, intervenute a supporto delle Regioni in difficoltà durante la prima ondata di Covid e che sono state messe sullo stesso piano degli altri professionisti. Ciò significa guardare con un altro occhio alla unicità dell’attività professionale degli infermieri; all’affermazione per legge dell’infermiere di famiglia e comunità come elemento essenziale per l’assistenza di prossimità al cittadino – cosa che sta riconoscendo ora anche il Recovery Plan -; all’allentamento del vincolo di esclusività per gli infermieri dipendenti del Sistema Sanitario Nazionale e poter così lasciare loro la possibilità di dare supporto attivo anche in strutture diverse da quelle che fanno capo all’azienda da cui dipendono. E così altri interventi che sullo sfondo dell’altissimo livello raggiunto dall’infermiere per la sua attività verso i cittadini, hanno consentito di affermare la singolarità e le linee identificative della professione.
Quanti sono stati gli infermieri impegnati in prima linea nella lotta al virus?
Sono stati circa il 65-70% di quelli attivi. Noi consideriamo che tra i dipendenti almeno 180mila sono stati sempre in prima linea contro Covid. A questo numero si deve aggiungere anche la stragrande maggioranza dei liberi professionisti, intervenuti soprattutto nelle strutture del territorio, e gli infermieri che pur avendo intrapreso altre attività hanno scelto di tornare e combattere in prima linea.
Quali sono state le conseguenze della prima fase di pandemia per la categoria?
Abbiamo pagato un conto salato in termini di colleghi contagiati e deceduti. Per questo è nato il fondo di solidarietà “Noi con gli infermieri“, che offre sostegno alle famiglie dei colleghi deceduti o ridotti in stato vegetativo. Inoltre, abbiamo sostenuto molti che si sono dovuti allontanare dalla famiglia per l’isolamento. Abbiamo cercato di dare sostegno a colleghi in situazioni particolari come, ad esempio, a chi per la malattia ha dovuto rinunciare a lavorare e si è trovato senza risorse. Ad influire sui molti contagi della prima ondata, oltre alla poca conoscenza dell’epidemia, anche l’inadeguatezza e la poca disponibilità delle protezioni individuali. Al termine della prima ondata l’attività sanitaria ha dovuto dare un nuovo impulso sulle altre patologie per recuperare quanto si era perso durante l’emergenza. Quando diciamo che il personale sanitario non si ferma da oltre un anno e mezzo, è un dato oggettivo con tutto quello che ne consegue in termini di stress psicofisico e psicologico.
Da dicembre 2020 è partita in Italia la campagna di vaccinazione contro il Covid-19. Qual è la figura dell’infermiere in questo processo?
Le vaccinazioni sono una delle attività della nostra professione. Nella normativa 42/99, che regolamenta l’esercizio professionale infermieristico, la pratica vaccinale, come atto sanitario e di prevenzione, rientra a pieno titolo nelle attribuzioni autonome dell’infermiere. Il ruolo dell’infermiere è parte integrante di questo processo sia nelle strutture pubbliche e private che a domicilio. L’infermiere è vaccinatore nell’ambito dell’assistenza domiciliare integrata, ma questa attività è anche una di quelle proprie dell’infermiere di famiglia e comunità nel momento in cui sarà dato il massimo sviluppo alla figura specializzata. L’infermiere assume anche un ruolo di tutor per i farmacisti che aderiscono alle attività vaccinali. Il farmacista procede a fare la vaccinazione per un minimo di 5 volte a un massimo di 15 sotto controllo diretto dell’infermiere che, rilevata la raggiunta corretta manualità di inoculazione, rilascia l’attestato di compiuta esercitazione pratica in cui si dimostra l’acquisizione delle conoscenze. Il farmacista sarà quindi in grado autonomamente di effettuare la tecnica di inoculazione e riconoscere eventuali segni e sintomi di effetti avversi.
Non solo capacità di inoculare un vaccino ma anche una presa in carico del soggetto e una gestione post-vaccinazione. È previsto un percorso di formazione aggiuntivo a quello tradizionale?
Il percorso di formazione pre-vaccinale è previsto dal punto di vista tecnico per tutti quegli operatori sanitari che solitamente non effettuano questo tipo di attività. Quindi anche per una parte di infermieri che non sono sempre attivi nelle unità vaccinali.
Per quanto riguarda la presa in carico del soggetto post-vaccinazione, questa è un’attività già propria degli infermieri che svolgono anche un’attività di farmacovigilanza sugli eventuali effetti collaterali. Non dobbiamo dimenticare che nella sicurezza delle cure l’infermiere riveste un ruolo fondamentale in quanto corollario fondamentale della responsabilità assistenziale e dell’autonomia, positivamente riconosciute dall’ordinamento giuridico in linea con la ratio della Legge n. 24/2017 sulla responsabilità sanitaria e dei principi posti alla base del governo del rischio clinico.
Quanti sono gli infermieri a disposizione del SSN nella campagna di vaccinazione?
Grazie anche all’intervento di FNOPI per l’allentamento del vincolo dell’esclusività, gli infermieri potenzialmente coinvolti nelle attività vaccinali sono pressoché tutti. Sia gli infermieri dipendenti che i liberi professionisti sono attivi sul territorio nelle strutture, nelle residenze assistenziali e anche a domicilio. Un numero esatto non è quantificabile, ma credo si possa ragionevolmente ritenere che ben oltre il 60% degli infermieri sia anche vaccinatore. D’altra parte, l’accelerazione alla campagna vaccinale avuta in questo ultimo periodo è legata anche a un aumento consistente dei vaccinatori oltre che dei vaccini.
Alla luce di quanto detto, qual è il suo messaggio?
L’evidenza che ha dato la pandemia e soprattutto l’attività svolta ogni giorno dagli infermieri hanno portato le Istituzioni a condividere la possibilità di implementare e rafforzare la figura dell’infermiere, in particolare quello di famiglia. L’infermieristica è fondamentale per rendere più forte il servizio sanitario e questo è il momento giusto per questa nuova consapevolezza. Per farlo abbiamo bisogno di lavorare insieme, risolvendo la carenza di organici che sta minando l’assistenza, aumentando la specializzazione degli infermieri e dando loro sempre maggiore specificità. Gli infermieri dovranno essere anche più presenti nelle Istituzioni in tutte le scelte preventive legate alla tutela della salute. Proprio per questo si deve dar forza al nuovo modello di lavoro che prevede la creazione di una rete di servizi in cui le professioni operano in team senza subordinazioni tra loro e soprattutto senza invasioni di campo. È indispensabile abbandonare i modelli obsoleti di rapporti interprofessionali e abbattere le disuguaglianze contrattuali, di posizione e, perché no, anche economiche, che oggi caratterizzano le professioni sanitarie. Il messaggio è: disegniamo insieme un nuovo Sistema Sanitario Nazionale a misura di cittadino, gli infermieri ci sono e sono pronti a farlo, accanto alle Istituzioni e alle persone. Massima professionalità e sinergia per un unico obiettivo: essere in primo piano per la tutela della salute di tutti.