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Il welfare visto da un consulente del lavoro
Si parla sempre di più di Welfare, ma che ruolo hanno i Consulenti del Lavoro e come vivono il loro ruolo su questo argomento così caldo ed importante per le aziende?
Abbiamo intervistato Massimiliano Scorza, Consulente del Lavoro e titolare dello studio SDS Associati il quale crea piani di welfare per tutti i tipi di aziende in tutta Italia.
Qual è la tua definizione di welfare aziendale e come può migliorare il benessere dei dipendenti e l’efficacia dell’azienda?
Mi piace definire il welfare aziendale un modo di concepire l’azienda orientato alle persone, che mette al centro il benessere delle stesse. A livello normativo è definito come quell’insieme di beni e servizi messi a disposizione dei lavoratori al fine di generare benessere aziendale.
Io preferisco la mia definizione perché l’imprenditore che approccia al welfare è un illuminato capace di vedere dove altri non vedono, di comprendere che senza le persone non esisterebbe alcuna azienda e sa che deve creare un clima ideale e mettere nelle condizioni tutti i lavoratori di dare il massimo e di trarne benefici in termini economici ed organizzativi.
Sul come possa migliorare il benessere in azienda direi che le risposte ci vengono fornite dalla vita reale e non per forza aziendale. Quando le persone stanno bene fanno le cose in modo migliore e lo fanno senza che ciò rappresenti un peso, troppo spesso in passato gli ambienti di lavoro erano luoghi dove raramente regnava l’armonia ed il benessere, ambienti basati su ruoli gerarchici e privi di gratificazione. Le persone lavoravano quasi sempre per necessità nella speranza della fine del turno. Le cose oggi sono cambiate! C’è molto da lavorare ancora ma oggi sempre più persone non sono più disposte a passare la maggior parte della propria giornata in un ambiente nocivo, le alternative ci sono e rappresentano la desiderata dei più, ecco perché l’obiettivo delle imprese oggi dovrebbe essere quella desiderata, quel posto dove le persone sognano di lavorare PER condividere tempo ed energie.
Le aziende che hanno già puntato sul welfare aziendale in modo serio ne stanno raccogliendo i frutti, non hanno problemi a trovare persone competenti e vedono aumentare la produttività globale.
Come hai sviluppato le tue competenze come consulente del lavoro nel campo del welfare e quali sono le principali sfide che hai incontrato nel corso del tuo lavoro?
Diversi anni fa ho frequentato un master specialistico tramite la fondazione studi di noi Consulenti del Lavoro e sono rimasto colpito dalla potenzialità dello strumento che permette di avere vantaggi enormi per aziende e lavoratori.
All’epoca la normativa non aveva una portata ampia come quella di oggi in termini di paniere di beni e servizi ma nel tempo lo strumento è divenuto sempre più appetibile e utile.
Le sfide le affrontiamo tutti i giorni perché il welfare è ancora ad appannaggio di pochi, lo cominciano a conoscere sempre più aziende ma sono poche ancora quelle che lo realizzano. I dati crescono e questo mi fa ben sperare, noi facciamo la nostra parte di divulgazione e sensibilizzazione all’argomento e possiamo testimoniare che la realizzazione di piani welfare cresce sempre di più.
Quali sono gli elementi chiave di un buon piano di welfare?
L’elemento fondamentale è rappresentato dai fabbisogni dei lavoratori, se non si costruisce un piano mettendo loro al centro, si rischia di creare un qualcosa di poco utile o, peggio ancora, non apprezzato, vanificando anche eventuali sforzi economici messi in atto per la realizzazione.
Il secondo elemento chiave per un buon piano welfare ritengo che sia quello dell’utilità vera dei beni e dei servizi messi a disposizione. Le aziende dovrebbero curare i propri lavoratori un po’ come lo stato fa (o dovrebbe fare) con i propri cittadini. Mi riferisco a quei servizi essenziali come la sanità e la previdenza. Un’azienda che ha a cuore i propri lavoratori, quando ne ricorrano i presupposti, dovrebbe pensare al loro presente, attraverso una copertura sanitaria integrativa ed al loro futuro, con un piano di previdenza complementare.
Il piano ideale, per me, parte da questi due pilastri, per poi passare a beni, servizi e modalità lavorative orientate al benessere atteso dai lavoratori, alla loro soddisfazione personale e familiare.
Come lavori con le aziende per sviluppare ed implementare un piano di welfare aziendale e quali sono i fattori che devono essere considerati durante questo processo?
Abbiamo creato un processo lavorativo che ci permette di dare un quadro chiaro ai nostri clienti e futuri tali, un programma di lavoro che in 7 settimane ci permette di realizzare un piano su misura che parte da un questionario anonimo che somministriamo ai lavoratori, passa per un questionario aziendale per comprenderne disponibilità ed intenzioni e che ci permette di passare all’azione. Il nostro obiettivo è quello di creare un regolamento che si cali perfettamente nella realtà aziendale a cui è destinato, tenendo in considerazione le volontà aziendali ed anche, e soprattutto, le esigenze dei lavoratori. Dopo uno o due incontri con chi ha il potere DECISIONALE in azienda, realizziamo una bozza di REGOLAMENTO, lo condividiamo con il cliente, apportiamo eventuali modifiche e poi lo condividiamo con i lavoratori.
La condivisione con i lavoratori viene spesso gestita in autonomia dall’azienda. A volte, invece, il cliente chiede il nostro supporto per illustrare ai propri dipendenti il regolamento Welfare realizzato. Questo è uno dei momenti più gratificanti del percorso perché hai la possibilità di vedere le reazioni dei lavoratori che, essendo i principali destinatari del regolamento Welfare, apprezzano con entusiasmo quello che l’azienda ha creato per loro, manifestando il loro interesse e partecipazione in quello che stai spiegando loro.
Quali sono i principali vantaggi e le sfide di implementare un piano di welfare?
I vantaggi sono molteplici ma ritengo che il principale sia quello del benessere interno e della fidelizzazione dei lavoratori in essere: far parte di una realtà aziendale che è attenta ai propri dipendenti e che sceglie di gratificarli, porta il benessere aziendale ad un altro livello, eleva il valore percepito dell’azienda in modo inevitabile. C’è poi il vantaggio di poter dire di avere un piano welfare aziendale quando si fa una proposta di assunzione, quando si mette un annuncio di lavoro e non ci si limita ad offrire solo una condizione contrattuale ma si comunica in modo chiaro che esiste un piano aziendale di welfare, le cose cambiano perché si diventa imparagonabili rispetto ai competitors, rende unica la propria azienda rispetto alle altre.
Questo vale per tutte le cose: quando si offrono le stesse condizioni, le persone le paragonano in base ad un parametro oggettivo (RAL, CCNL, Livello, mansione, ecc.), ma quando l’offerta è impreziosita da elementi imparagonabili e volti al benessere del lavoratore, si diventa unici e probabilmente più attrattivi.
Come misuri il successo di un piano di welfare aziendale?
Per misurare qualcosa devi avere dei parametri misurabili, se parliamo di welfare dobbiamo capire qual è l’obiettivo finale. Noi lo chiediamo nel primo incontro che abbiamo con l’azienda. Ci sono aziende che vogliono migliorare il clima aziendale e la fidelizzazione dei propri lavoratori, altre che vogliono risultare più attrattive verso l’esterno perché hanno difficoltà a trovare talenti.
In entrambi i casi ci sono modalità per capire se il piano sta avendo successo o meno e, in base all’obiettivo, ci sono modi diversi per misurarlo. Alcuni degli indicatori potrebbero essere il calo di turnover, il successo in fase di selezione ed assunzione, la qualità del benessere dei lavoratori in essere, ecc.
Noi forniamo dei questionari da somministrare ai lavoratori in seguito alla realizzazione di un piano welfare e certamente comprendiamo il livello di benessere che c’è in azienda.
Ogni realtà è a sé ed ogni caso è unico, generalizzare non porta risultati veri o tangibili.
Quali sono le tendenze attuali nel campo del welfare e come pensi che il tuo ruolo di consulente del lavoro stia evolvendo in relazione a queste tendenze?
Il ruolo di noi consulenti del lavoro è fondamentale per lo sviluppo del welfare. Noi conosciamo le aziende dall’interno ed abbiamo il dovere di divulgare una cultura di benessere anche attraverso lo sviluppo di un welfare sano, che renda le aziende un luogo dove lavorare con professionalità e serenità facendo sentire ogni lavoratore apprezzato per il suo apporto lavorativo.
Nell’ultimo anno vedo che l’attenzione si sta spostando in modo importante verso strumenti come le coperture sanitarie integrative, forse a causa del post pandemia, oppure verso il godimento di beni e servizi riconducibili ad attività ludiche o al tempo libero. Le persone hanno compreso la potenzialità dello strumento e scelgono di godere di viaggi e di corsi di formazione.
Sono convinto che nel prossimo futuro, non oltre i 5 anni, la tendenza si ribalterà e assisteremo ad uno scenario opposto in cui saranno proprio le aziende senza un regolamento welfare ad essere in minoranza. Tale cambio di mentalità è necessario e inevitabile perché i lavoratori sono e saranno sempre più attenti ai benefits che un datore di lavoro offre loro rispetto alla mera retribuzione spettante da contratto. Affermo questo perché ho la consapevolezza che esistono mercati del lavoro che hanno già affrontato questo cambiamento prima dell’Italia e la direzione è proprio quella della gratificazione dei propri dipendenti attraverso i benefits. Negli Stati uniti, per esempio, offrire benefici non economici come viaggi, coperture sanitarie, abbonamenti alle palestre, ecc. è ormai una prassi consolidata e di conseguenza rappresenta un’aspettativa per la maggior parte dei lavoratori.