Questo sito Web utilizza i cookie in modo che possiamo fornirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito Web e aiutare il nostro team a capire quali sezioni del sito Web trovi più interessanti e utili.
Impianto di protesi di emibacino in titanio con rivestimenti in tantalio. Intervista esclusiva al Dr. Raimondo Piana
L’ITALIA SI AGGIUDICA IL PRIMATO IN CAMPO INTERNAZIONALE. INTERVISTA ESCLUSIVA AL DOTTOR RAIMONDO PIANA.
Oltre a sostenere il nostro corpo, le ossa sono un indispensabile aiuto per la protezione degli organi vitali, come il cranio per il cervello o lo sterno e la gabbia toracica per cuore e polmoni.
L’osso nelle articolazioni è coperto dalla cartilagine, tessuto altamente specializzato, liscio e con alta capacità di resistere al carico, che ci permette di compiere i movimenti articolari senza attrito. Le ossa sono costituite da cellule vitali che lavorano in un delicato equilibrio, quando il tessuto osseo invecchia viene riassorbito dagli osteoclasti e le zone di riassorbimento vengono, per così dire, sostituite con osso nuovo grazie agli osteoblasti. Da qualsiasi cellula di cui è costituito l’osso può originare, purtroppo, un tumore. Tra quelli maligni il più diffuso è sicuramente l’Osteosarcoma.
Si tratta di un tumore particolarmente aggressivo con una rapida diffusione ematica e si manifesta in età pediatrica e adolescenziale, soprattutto nella fase di massimo sviluppo osseo. Le zone più colpite sono femore e braccio, ma anche il bacino e l’anca.
I sintomi principali sono il dolore e il gonfiore con varie gradazioni a seconda di dov’è localizzato il tumore e dalla sua grandezza. Spesso purtroppo questi tumori vengono scoperti casualmente da indagini eseguite per altri motivi, ad esempio una radiografia eseguita a seguito di un banale trauma. Sintomi quali una perdita improvvisa di peso o un affaticamento possono essere dei campanelli di allarme che dovranno essere accompagnati da una visita specialistica.
L’iter diagnostico per questo tipo di tumore dell’osso di solito è il seguente: generalmente si parte da una semplice radiografia della parte del corpo dolente o tumefatta che già consente di capire molte caratteristiche del tumore con diagnosi quasi certa. Il secondo step diagnostico prevede l’utilizzo di apparecchiature più sofisticate quali la scintigrafia ossea, la Tac o la risonanza magnetica, che sicuramente aiutano a classificare meglio il tumore e soprattutto a rilevare la presenza di metastasi a distanza.
Ad ogni modo, nonostante l’accuratezza di tutti questi esami, la biopsia ossea resta l’unico esame che permette di dare la diagnosi certa sul tipo di tumore e sul suo stadio di maturazione.
Qual è l’incidenza in Italia? I dati a disposizione dichiarano che ogni anno in Italia si verificano circa 350 nuovi casi di tumori primitivi dell’osso con un’incidenza pari a circa 1 caso su 100 mila. La percentuale degli osteosarcomi si aggira intorno al 20/25% di tutti i tumori maligni. Negli ultimi anni questa patologia è quella che ha di più tratto beneficio dai trattamenti integrati, permettendo così una sopravvivenza da meno del 20% a più del 60%.
Essendo una patologia rara richiede un approccio multidisciplinare con il coinvolgimento di diverse figure di specialisti che operano presso i centri di eccellenza oncologici, come ad esempio l’azienda ospedaliera dell’Università della Città della Salute di Torino che in questi giorni è stata al centro della cronaca perché ha raggiunto un grande traguardo riuscendo in un’impresa unica, la prima al mondo: l’impianto di una protesi di emibacino “custom made” (costruita su misura) fatta di titanio e tantalio in grado di integrarsi e fondersi molto bene con l’osso umano.
Il paziente, un giovane di 18 anni, da un anno affetto da osteosarcoma al bacino e considerato da tutti inoperabile. Nel pieno della sua giovinezza cercava di combattere questo brutto male sottoponendosi a cicli di chemioterapia, rispondendo anche piuttosto bene a tale cura, presso il reparto di oncoemotologia dell’ospedale Regina Margherita diretto dalla dottoressa Franca Fagioli. La chemioterapia sembrava essere l’unica soluzione. Fortunatamente però non è stato così perché i chirurghi ortopedici dell’ospedale Cto di Torino hanno chiesto la collaborazione di un’equipe americana per la costruzione di una protesi ricreata su misura per il paziente, grazie all’ acquisizione delle immagini TAC. La struttura utilizzata è in titanio con rivestimenti in tantalio, materiale che ha un’ottima capacità di integrarsi solidamente con l’osso residuo del giovane paziente.
Il lungo e delicato intervento, primo e unico al mondo nel suo genere, è durato 12 ore nel totale, compresa la fase di preparazione, che ha visto la collaborazione di diverse unità dell’ospedale Cto di Torino. La prima fase, quella anestesiologica è stata seguita dal dottor Maurizio Berardino, Direttore di Anestesia e Rianimazione del centro. Successivamente il team guidato dal dottor Raimondo Piana, Responsabile del Reparto di Oncologia Ortopedica ha proceduto alla rimozione dell’emibacino destro e dell’anca dove era localizzato l’osteosarcoma e l’equipe del professor Alessandro Massè, Direttore della Clinica Universitaria Ortopedica ha disposto l’impianto della protesi.
A distanza di qualche giorno dall’intervento, il dottor Piana, ha rilasciato a Mutua Basis Assistance, Società di Mutuo Soccorso abbonata a Health Online, un’intervista esclusiva per spiegare com’è nata l’idea della protesi e la sua realizzazione. Dato l’interesse dell’intervista, Mutua MBA concede la pubblicazione della stessa in esclusiva e per la prima volta, proprio su Health Online:
“Innanzitutto ci tengo a precisare che l’intervento tecnicamente è durato circa 7 ore – ha dichiarato il dottor Piana – e non 12 come ho letto sui giornali, le 12 ore sono state il tempo totale dell’intervento che comprende anche tutta la fase di preparazione. La novità non è stata l’intervento in sé perché già in passato abbiamo eseguito dei trapianti di emibacino utilizzando le ossa di un donatore, ma la costruzione di una protesi con rivestimenti in tantalio e lo studio e il lavoro di squadra che ha coinvolto anche ingegneri di una ditta americana che materialmente hanno costruito la struttura. Ci siamo confrontati in video conferenza per una valutazione più attenta possibile nonostante la lontananza. Da parte nostra abbiamo analizzato come resecare l’emibacino malato attraverso la tac tridimensionale e abbiamo poi inviato il progetto agli ingegneri americani che si sono impegnati, seguendo le nostre indicazioni, alla costruzione della protesi. Inoltre abbiamo fatto rivestire tutti i punti di contatto della protesi con l’osso ricevente con del tantalio in modo da poter ottenere la migliore integrazione/fusione possibile. Abbiamo calcolato precisamente dove far passare le viti che solidarizzano la protesi con l’osso in modo da dare il maggior supporto possibile al processo biologico di integrazione. L’altra novità è stata quella di far predisporre sulla protesi dei fori dedicati dove abbiamo inserito i tendini dei muscoli che si inseriscono nel bacino”.
In passato sono stati effettuati trapianti di bacino utilizzando le ossa di banca, cioè di un donatore. La novità e l’innovazione di questo intervento è stata la costruzione di una protesi ad hoc. Ci spiega qual è la differenza e quali sono i vantaggi delle leghe utilizzate?
“Le ossa di banca del donatore non avranno mai le dimensioni precise del ricevente, non essendo vascolarizzate negli anni tendono a riassorbirsi, invece queste leghe sono molto porose a maglie larghe e si fondono nell’organismo come se fossero un osso nuovo. L’innovazione di queste leghe sono il presente e il futuro per la costruzione di protesi come quella utilizzata da noi, quello su cui puntare è proprio lo sviluppo dell’utilizzo del materiale perché, come già spiegato, si fonde con l’osso umano. Noi non ci fermiamo, andiamo avanti, per arrivare a raggiungere altri risultati, tenendo sempre i piedi per terra per evitare di creare false speranze.”
Dottor Piana, cosa ha provato in quei momenti?
“La sensazione che ho avuto è stata quella di avercela fatta, grazie alla collaborazione di un grande gruppo di lavoro che ha creduto fino in fondo nella riuscita e dell’intervento. È stato un meraviglioso lavoro di equipe, abbiamo anche utilizzato una tecnica innovativa per la riduzione del sanguinamento. La cosa più importante in quei momenti, però, era la stabilità del paziente, siamo contenti di com’è andato l’intervento e siamo ottimisti, ma solo tra 40 giorni quando vedrò il ragazzo in piedi le saprò dire quali sono stati i primi risultati. L’osteosarcoma è una patologia molto grave e oggi con questo intervento innovativo il giovane paziente tendenzialmente è libero da malattie, non presenta lesioni, ma dovrà fare controlli per almeno i prossimi 10 anni. Ci auspichiamo che abbia una buona deambulazione con il ritorno ad attività quotidiana normale, questa è la nostra scommessa, qualsiasi ulteriore risultato è solo a vantaggio del paziente”.
“Un gran lavoro di squadra” come ha voluto sottolineare anche il Professor Alessandro Massè, Direttore della Clinica Universitaria ortopedica CTO, che ha collaborato alla riuscita dell’intervento.
“L’intervento fortunatamente non ha avuto intoppi – ha detto il professor Massè – c’è stato un grande lavoro di preparazione anestesiologica per ridurre al minimo il sanguinamento. Ad oggi non ci sono complicanze e il ragazzo già la mattina stessa dell’intervento è stato estubato e svegliato.Tra qualche giorno verrà dimesso e tornerà tra 40 giorni per le prime valutazioni funzionali e verificheremo come l’osso si è integrato nella protesi. La novità è stata la tipologia dell’impianto e una chirurgia eseguita da un team completo. Il mio consiglio è quello di rivolgersi sempre a dei centri specializzati che mettono a disposizione del paziente un’equipe. Il risultato raggiunto è frutto di un lavoro che parte da lontano. Questo tipo di chirurgia italiana è un’eccellenza internazionale in campo oncologico, è nata con il professor Rizzoli e grazie ai suoi insegnamenti molti chirurghi italiani sono riusciti a portare avanti una chirurgia oncologica di alta rilevanza internazionale”.
L’intervento è riuscito non ha lasciato nessun deficit e il ragazzo è stato salvato grazie ad un gran lavoro di squadra da parte di tutta la Città della Salute di Torino.
L’auspicio è quello che il giovane, nel tempo, abbia la possibilità di tornare ad una vita normale e noi gli facciamo i migliori auguri.