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“La bici? Un mezzo necessario senza il quale non potremmo vivere”. Parola all’esperto Alessandro Tursi di FIAB
Se negli anni passati era un modo per staccare dal contesto urbano per addentrarsi nella natura e viverla pienamente, oggi è di fatto un mezzo necessario per i piccoli spostamenti, casa-scuola e casa-lavoro. Protagonista indiscussa della mobilità europea e particolarmente apprezzata in Italia nel corso dei mesi condizionati dalla pandemia, la bicicletta assume sempre più centralità nell’ambito cittadino e aumentano a vista d’occhio gli italiani che ne prediligono l’utilizzo a svantaggio dell’automobile privata. Crescono anche nel nostro Paese le città bike friendly e i frequent biker, le persone cioè che utilizzano sistematicamente la bici per coprire il tragitto casa-lavoro, con o senza incentivi comunali e regionali. Sono 743.000, con percentuali significative nella provincia autonoma di Bolzano (il 13,2% degli occupati raggiunge il luogo di lavoro in bici), in Emilia-Romagna (7,8%) e in Veneto (7,7%). Mentre 12 città italiane raggiungono performance di ciclabilità qualitativamente analoghe a quelle di altre realtà europee. In quattro di queste in particolare – Bolzano, Pesaro, Ferrara e Treviso – più di un quarto della popolazione pedala per i propri spostamenti quotidiani per motivi di studio, lavoro e svago. Dati questi confermati da Alessandro Tursi, Presidente della Federazione Italiana Ambiente e bicicletta, che parla di “una risposta a un bisogno reale”.
Presidente Tursi, l’emergenza sanitaria da COVID-19 ha certamente modificato le abitudini di ognuno con particolare attenzione al sistema dei trasporti pubblici, che è stato riorganizzato. Aspettavamo un evento di queste dimensioni per dare avvio a un cambio di cultura relativo alla mobilità oppure qualcosa era già in atto?
Era un fenomeno senza dubbio già in corso. In riferimento a quest’ultimo anno parliamo di rivoluzione bici perché lo shock della pandemia, pur nella sua immensa drammaticità dovuta a un contesto inedito ed emergenziale, ci ha anche fornito un’occasione per rimettere in discussione certe abitudini che sembravano immutabili. Restare in casa a riflettere ci ha portato a realizzare quello che ci si sentiva dire da tempo. Abbiamo appurato inoltre che era vero. Dopo mesi di crisi sanitaria siamo testimoni di un’esplosione di abitudini nella mobilità attiva. È una risposta a un bisogno reale. C’è stata una presa di coscienza di cittadini e di amministratori che insieme hanno finalmente compreso che oggi è quanto mai necessario mutare il modello di mobilità: se non puoi usare i mezzi pubblici devi necessariamente utilizzare la bici per gli spostamenti che si coprono benissimo sulle due ruote.
Camminare e pedalare ma anche raggiungere la propria destinazione a bordo di un monopattino elettrico. La micromobilità elettrica sostituirà gradualmente le due ruote oppure convivranno avendo come punti di riferimento target anagrafici differenti?
La micromobilità si sta ritagliando un suo spazio eludendolo da altre forme di mobilità. Ha accolto quote di persone che prima usavano i mezzi pubblici. Lo spostamento principale ha interessato la bicicletta, qualcuno ha scelto l’auto e una fetta di popolazione ha investito sulla micromobilità elettrica, che possiamo definirla quasi come una forma complementare alla bici. Sicuramente siamo di fronte a qualcosa che può cambiare il nostro modo di vivere, sia le città, sia gli ambienti meno urbanizzati, e il boom di richieste che si è registrato in questi mesi ce lo dimostra.
Tutto procede dunque nella stessa direzione: depotenziare l’utilizzo dell’automobile.
L’aspettativa è proprio questa: ci si attende un ridimensionamento del parco auto. Il rapporto in Italia è 5 auto per ogni bambino. Negli ultimi tempi abbiamo invertito la tendenza e anche gli incentivi statali hanno consentito agli italiani di acquistare biciclette di un certo livello, che si portano anche a bordo dei mezzi pubblici fino in ufficio. In questo senso il Governo ha dato una forte accelerata. Il bonus mobilità ha spinto verso l’acquisto di bici di qualità che hanno caratteristiche di distanza e di dislivello che possono sostituire l’auto, soprattutto nei casi in cui in una famiglia ce ne sono due.
Quando si parla di mobilità si è soliti attuare un paragone tra il modello europeo e quanto accade in Italia, e in particolare al Sud Italia. Parigi è ritenuta tra le metropoli europee più adatte per chi ama andare in bicicletta. La città, infatti, sta portando avanti una serie di grossi investimenti nel sistema di bike sharing. Qual è la città italiana maggiormente europea su questo fronte?
Il Caso Parigi è molto interessante. L’Amministrazione cittadina ha dato avvio a questo processo legato alla mobilità leggera con il bike sharing ma ha spinto con la restituzione dello spazio pubblico eliminando il 15% dei parcheggi e auspicandone una rimozione di ulteriori 65 mila. L’intenzione infatti è quella di mettere a disposizione delle persone maggiore spazio grazie all’istituzione di zone 30, di una rete di ciclabili ampie oltre 4 metri. Si pensi solo alla chiusura del lungo Senna dove transitavano giornalmente decine di migliaia di auto. Tuttavia, la vera svolta Parigi l’ha vissuta nel settembre 2019 con lo sciopero dei mezzi pubblici. In quella occasione, ovvero quando la città è stata salvata letteralmente dalla rete ciclabile, ancora in costruzione, Amministrazione e cittadini hanno compreso che si tratta di una infrastruttura fondamentale. Le città italiane invece, pur essendo a un buon livello, hanno ancora molto da lavorare. Registriamo una discreta reazione delle grandi come Roma, che ha finalmente ingranato la marcia, Milano, con i diversi progetti introdotti come risposta all’emergenza, Torino, Firenze e Bologna.
Quale, a suo giudizio, la città italiana più europea, in questo senso?
Le città più europee le abbiamo tra i medi centri: Bolzano, Cesena, Pesaro. Tutte realtà che hanno applicato il concetto della condivisione dello spazio. Non dimentichiamo inoltre Ferrara che ha una tradizione storica fortissima con un’ampia zona ZTL in centro e una discreta rete ciclabile che collega il centro alla periferia. Allo stato attuale, scattando una fotografia al nostro Paese, capiamo che il Nord-Est è più avanti, segue il Nord-Ovest e ancora il Centro-Est. Al Sud, pur con tutti i ritardi, capofila è la regione Puglia. Timide le avanzate di Genova, molto poco ciclabile, Napoli e Bari. Alla base manca una vera e propria presa di coscienza da parte degli amministratori. Il caso di Parigi lo dimostra.
La mission di FIAB è coniugare mobilità a tutela per l’ambiente. In questo senso, negli anni si è sviluppato sempre di più il cicloturismo. Un buon modo per vivere e conoscere il nostro Paese nel corso dell’anno?
Assolutamente, si. Da sempre il turismo sulle due ruote vive un boom senza precedenti che nulla – o quasi – ha a che vedere con la pandemia. Lo consideravano anche il cavallo di Troia per la mobilità quotidiana tanto che le prime ciclabili sono nate con il turismo. Trova tutti d’accordo: il sindaco è incoraggiato a farlo, i cittadini sono invogliati dal cambio della abitudini e i cicloturisti hanno maggiore possibilità di conoscere il territorio spostandosi con facilità. Con l’insorgere della pandemia la voglia di vacanze all’aperto e il contatto diretto con il paesaggio hanno incrementato questa tendenza. Non esiste il cicloturista dovremmo invece parlare dei cicloturismi. Tutto il comparto turistico non è più pensabile senza la bici come complemento. È un elemento senza il quale i turismi tradizionali di massa non potrebbero esistere.