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La Cassazione apre la telemedicina agli investimenti dei privati: ecco perchè
articolo di Sergio Pillon, pubblicato su Agenda Digitale il 30/09/2019
Una sentenza chiave ha stabilito che la telemedicina non richiede autorizzazione quando non implica attività sanitaria. E così dà via libera a un’azienda che aveva installato apparati in centri commerciali. Ecco che succede ora.
Una sentenza della Corte di Cassazione potrebbe cambiare il futuro della telemedicina in Italia, finora ostacolato in ogni modo. Ha stabilito infatti che la telemedicina non richiede autorizzazione quando non implica attività sanitaria.
Già, oggi voglio raccontare una storia che, come le favole di Esopo, contiene una lezione importante. C’era una volta (così iniziano sempre le favole) una azienda, di più, una azienda quotata in borsa, molto attiva nel settore della salute, Health Italia S.P.A. Questa azienda decide che la Telemedicina è uno strumento importante per la sua attività, perché consente di migliorare lo stile di vita dei propri assistiti, permette di fare semplici controlli e dunque di intervenire nella prima fase delle principali patologie croniche, prima che il ricorso al medico diventi urgente, permette di portare questi controlli vicino ai luoghi di lavoro e dove i cittadini vanno abitualmente, nei centri commerciali, nei centri “pulsanti” delle città o nelle aziende per loro dipendenti.
Questa azienda legge ed analizza con grande attenzione le Linee di indirizzo Nazionali sulla Telemedicina, prende atto delle delibere di recepimento dal 2015 presenti nella maggior parte delle regioni italiani, acquisisce il parere di illustri clinici e di uno studio legale e realizza un grande investimento in strutture dedicate alla telemedicina, gli Health Point, con delle “Station” da installare in centri commerciali ed in zone centrali delle maggiori città italiane, collegati ad un centro sanitario che offre prestazioni sanitarie in telemedicina in tutt’Italia.
La teleassistenza
In queste strutture, in accordo con le linee di indirizzo nazionali, approvate al Ministero della Salute, dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le provincie autonome, e recepite dalle Regioni, si fa Teleassistenza e Telemedicina Specialistica, con prestazioni di Telesalute, di Televisita specialistica e di Telecooperazione sanitaria. Per i meno esperti che la Teleassistenza, secondo le linee di indirizzo nazionali viene intesa come “un sistema socio-assistenziale per la presa in carico della persona anziana o fragile a domicilio, tramite la gestione di allarmi, di attivazione dei servizi di emergenza, di chiamate di “supporto” da parte di un centro servizi. La Teleassistenza ha un contenuto prevalentemente sociale, con confini sfumati verso quello sanitario, con il quale dovrebbe connettersi al fine di garantire la continuità assistenziale. Non rivolgendosi all’ambito sanitario, ma a quello socio-assistenziale, non sarà oggetto di queste Linee di Indirizzo” dunque dove si fa anche educazione agli stili di vita corretti o si gestiscono allarmi, non si esegue una prestazione sanitaria propriamente detta.
La telemedicina specialistica, secondo le linee di indirizzo viene definita: “La categoria della Telemedicina specialistica comprende le varie modalità con cui si forniscono servizi medici a distanza all’interno di una specifica disciplina medica. Può avvenire tra medico e paziente oppure tra medici e altri operatori sanitari. Dipendentemente dal tipo di relazione tra gli attori coinvolti, le prestazioni della Telemedicina Specialistica si possono realizzare secondo le seguenti modalità:
La televisita
La Televisita è un atto sanitario in cui il medico interagisce a distanza con il paziente. L’atto sanitario di diagnosi che scaturisce dalla visita può dar luogo alla prescrizione di farmaci o di cure. Durante la Televisita un operatore sanitario che si trovi vicino al paziente, può assistere il medico. Il collegamento deve consentire di vedere e interagire con il paziente e deve avvenire in tempo reale o differito.
Il teleconsulto
Il Teleconsulto è un’indicazione di diagnosi e/o di scelta di una terapia senza la presenza fisica del paziente. Si tratta di un’attività di consulenza a distanza fra medici che permette a un medico di chiedere il consiglio di uno o più medici, in ragione di specifica formazione e competenza, sulla base di informazioni mediche legate alla presa in carico del paziente.
Telecooperazione sanitaria
La Telecooperazione sanitaria è un atto consistente nell’assistenza fornita da un medico o altro operatore sanitario ad un altro medico o altro operatore sanitario impegnato in un atto sanitario. Il termine viene anche utilizzato per la consulenza fornita a quanti prestano un soccorso d’urgenza.
Telesalute
Infine rimane la telesalute, che, sempre secondo le linee già citate, “attiene principalmente al dominio della assistenza primaria. Riguarda i sistemi e i servizi che collegano i pazienti, in particolar modo i cronici, con i medici per assistere nella diagnosi, monitoraggio, gestione, responsabilizzazione degli stessi. Permette a un medico (spesso un medico di medicina generale in collaborazione con uno specialista) di interpretare a distanza i dati necessari al Telemonitoraggio di un paziente, e, in quel caso, alla presa in carico del paziente stesso. La registrazione e trasmissione dei dati può essere automatizzata o realizzata da parte del paziente stesso o di un operatore sanitario. La Telesalute prevede un ruolo attivo del medico (presa in carico del paziente) e un ruolo attivo del paziente (autocura), prevalentemente pazienti affetti da patologie croniche, e in questo si differenzia dal Telemonitoraggio. La Telesalute comprende il Telemonitoraggio, ma lo scambio di dati (parametri vitali) tra il paziente (a casa, in farmacia, in strutture assistenziali dedicate,…) e una postazione di monitoraggio non avviene solo per l’interpretazione dei dati, ma anche per supportare i programmi di gestione della terapia e per migliorare la informazione e formazione (knowledge and behaviour) del paziente.
Telemedicina sequestrata dai Carabinieri
Torniamo alla nostra storia, l’Azienda decide che in questi Health Point ci sarà un infermiere per aiutare i pazienti nella raccolta dei parametri, raccoglierne i dati anagrafici ed anche alcuni parametri clinici. Le Station saranno collegate in telemedicina con il centro sanitario dove i medici, qualora richiesto, valuteranno i parametri acquisiti, saranno disponibili per Televisite e Teleconsulti o per una Telecooperazione: naturalmente tutti gli apparati usati sono certificati per uso medico e non sono “invasivi”, la maggior parte sono addirittura di autodiagnosi, utilizzabili anche dal paziente.
Come ogni favola che si rispetti arriva il colpo di scena, impersonificato dai Carabinieri dei NAS e dalle autorità regionali, che sequestrano le Station in una regione e multano severamente in un’altra gli Health Point, segnalando espressamente che nel caso delle Station degli Health Point si debba parlare di “centro sanitario non autorizzato”. Una denuncia di rilevanza penale per il management dell’azienda Health Point. A poco valgono le rimostranze di Health Point, che segnala al Tribunale del riesame ed alle regioni coinvolte che, nel caso della Station, non si tratta di un centro sanitario, ma semplicemente di un centro servizi collegato con un centro sanitario privato, regolarmente autorizzato. I NAS controllano anche il centro in questione, Eugheia, trovandolo corrispondente alle regole regionali. Infatti, sempre secondo le già troppo citate linee di indirizzo per fare la telemedicina servono un Centro Erogatore ed un Centro Servizi
“Per Centro erogatore si può trattare di:
- strutture del Servizio Sanitario Nazionale, autorizzate o accreditate, pubbliche o private,
- operatori del SSN quali medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, medici specialisti che erogano prestazioni sanitarie attraverso una rete di telecomunicazioni.
Il Centro Erogatore riceve le informazioni sanitarie dall’utente e trasmette all’utente gli esiti della prestazione.
Inoltre, secondo il documento nazionale, può essere necessario un Centro Servizi
“Un Centro Servizi è una struttura che ha le funzione di gestione e manutenzione di un sistema informativo, attraverso il quale il Centro Erogatore svolge la prestazione in Telemedicina, la installazione e manutenzione degli strumenti nei siti remoti (casa del paziente o siti appositamente predisposti), la fornitura, gestione e manutenzione dei mezzi di comunicazione (compresa la gestione dei messaggi di allerta) tra pazienti e medici o altri operatori sanitari, l’addestramento di pazienti e familiari all’uso degli strumenti. Di minima, esemplificando, il Centro Servizi gestisce le informazioni sanitarie generate dall’Utente che devono pervenire al Centro Erogatore della prestazione sanitaria, e gli esiti della prestazione che devono essere trasmessi dal Centro Erogatore all’Utente.”
La sentenza della Cassazione
Come in ogni favola che si rispetti interviene un legale esperto, l’avvocato Vincenzo Ussani d’Escobar, che analizza gli atti e decide di presentare un ricorso alla Corte di Cassazione, perché il sequestro venga giudicato illegittimo. Infatti, sempre secondo la definizione nazionale di Telemedicina: “Per Telemedicina si intende una modalità di erogazione di servizi di assistenza sanitaria, tramite il ricorso a tecnologie innovative, in particolare alle Information and Communication Technologies (ICT), in situazioni in cui il professionista della salute e il paziente (o due professionisti) non si trovano nella stessa località. La Telemedicina comporta la trasmissione sicura di informazioni e dati di carattere medico nella forma di testi, suoni, immagini o altre forme necessarie per la prevenzione, la diagnosi, il trattamento e il successivo controllo dei pazienti. I servizi di Telemedicina vanno assimilati a qualunque servizio sanitario diagnostico/ terapeutico. Tuttavia, la prestazione in Telemedicina non sostituisce la prestazione sanitaria tradizionale nel rapporto personale medico-paziente, ma la integra per potenzialmente migliorare efficacia, efficienza e appropriatezza. La Telemedicina deve altresì ottemperare a tutti i diritti e obblighi propri di qualsiasi atto sanitario. Si precisa che l’utilizzo di strumenti di Information and Communication Technology per il trattamento di informazioni sanitarie o la condivisione on line di dati e/o informazioni sanitarie non costituiscono di per sé servizi di Telemedicina”.
Alla fine, come in ogni favola, arriva il bel finale: la Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza numero Num. 38485 dell’anno 2019 ribadisce che:
“(…) si rileva che un tale requisito (autorizzazione come struttura sanitaria, n.d.r.) necessita che all’interno della detta struttura siano compiuti atti aventi una rilevanza medica, sebbene non necessariamente a contenuto immediatamente terapeutico, quali, ad esempio, gli atti comportanti una valutazione diagnostica di elementi acquisiti in via diretta o attraverso strumenti di vario genere (Corte di cassazione, Sezione III penale 25 maggio 2007, n. 20474), non potendo, invece, qualificarsi tali né gli atti il cui svolgimento è scevro da una qualsivoglia attività organizzativa né gli atti nei quali è lo stesso paziente ad acquisire i dati anamnestici che, eventualmente, egli successivamente trasferirà al personale sanitario (si immagini la rilevazione operata dallo stesso soggetto interessato della propria temperatura corporea ovvero del peso o della pressione arteriosa, sistolica e diastolica), tramite l’utilizzo di strumenti comunemente detti di autodiagnosi (cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 5 febbraio 1998, n. 1345).
E’, secondo quanto emergente dagli atti, sostanzialmente questo secondo il caso in attuale esame; infatti, per come lo stesso Tribunale di Roma ha riconosciuto, la metodica seguita presso il centro Health Point prevedeva che chi intendesse fruire dei servizi da questo offerto era dapprima generalizzato da una persona addetta ed informato da questa di quanto sarebbe di lì a poco avvenuto, quindi sottoposto a taluni esami strumentali, privi secondo quanto risultante dagli atti, di qualsivoglia invasività fisica, i cui dati venivano trasmessi, attraverso canali informatici, ad uno studio medico polispecialistico, denominato Eugheia, regolarmente autorizzato dalla Regione Lazio, ove gli stessi erano esaminati dal personale medico ivi operante che, una volta processati i dati in tal modo pervenuto, eseguiva la relativa diagnosi che era, pertanto, trasmessa all’Heath Point e comunicata al paziente. Si è, in sostanza, di fronte a quel fenomeno, comunemente definito di “telemedicina” come ricordato dallo stesso Tribunale del riesame, il quale si caratterizza in quanto, per la realizzazione di talune pratiche mediche, per lo più diagnostiche, non vi è la necessaria compresenza nel medesimo luogo del paziente e dell’operatore sanitario, operando quest’ultimo sulla esclusiva base di dati a lui pervenuti attraverso tecnologie informatiche il cui utilizzo, appunto, consente lo svolgimento di atti medici anche “fra assenti”.
In una siffatta evenienza, ritiene il Collegio, che presso l’Health Point, ove viene semplicemente raccolto il dato anamnestico, ma lo stesso non viene assolutamente elaborato, non può dirsi che sia stata eseguita alcuna prestazione “tipicamente sanitaria”, posto che l’unica attività sanitaria nella presente occasione realizzatasi – in cui non vi è stato alcun atto medico in senso stretto ai fini della acquisizione del dato anamnestico essendo stato questo assunto attraverso strumenti (non comportanti alcuna invasione della integrità fisica del soggetto interessato) che il paziente avrebbe potuto utilizzare anche autonomamente – è quella diagnostica, consistente nell’esame dei dati pervenuti in via telematica e nel giudizio clinico da essi retraibile, la quale è stata integralmente compiuta presso il ricordato ambulatorio polispecialistico Eugheia, la cui operatività è stata, secondo quanto sostenuto nella stessa ordinanza impugnata i regolarmente autorizzata dagli organi a ciò competenti. (…)”
Non sfugge l’analogia della definizione di Telemedicina adottata dalla Corte di cassazione con quella del documento di indirizzo nazionale, “Per Telemedicina si intende una modalità di erogazione di servizi di assistenza sanitaria, tramite il ricorso a tecnologie innovative, in particolare alle Information and Communication Technologies (ICT), in situazioni in cui il professionista della salute e il paziente (o due professionisti) non si trovano nella stessa località”.
Gli effetti della sentenza
Qual è la morale di questa storia? La telemedicina in Italia è pronta per gli investimenti dei privati.
La Corte di cassazione ha ribadito con una sentenza chiara e dettagliatamente motivata che un centro sanitario può essere un HUB di molte postazioni, dove il paziente viene aiutato nell’esecuzione di esami e dove vengono forniti gli strumenti ed il supporto per la Teleassistenza, la Telesalute, la Televisita, per un Teleconsulto o, attraverso un infermiere o altro professionista sanitario, per una Telecooperazione sanitaria. Queste postazioni non devono avere l’autorizzazione spettante ad un centro sanitario (ovviamente dovranno essere in regola con le norme di sicurezza relative ai luoghi di pubblico accesso).
Cosa manca ancora? Onorevoli Ministri, aggiorniamo le linee di indirizzo nazionali sulla telemedicina, dopo cinque anni qualcosa va messa a punto e ci sono voluti anni di lavoro di una commissione della Conferenza Stato-Regioni per essere pronti alle proposte normativa necessarie.
E tutti vissero felici e contenti.