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La fisioterapia per combattere acidità e bruciore di stomaco
Acidità e bruciore di stomaco, questi sono i sintomi “tipici” del reflusso gastroesofageo, una malattia che, stando alle stime, colpisce circa il 20% della popolazione europea e che in Italia interessa circa il 30% della popolazione. E’ una patologia, seppur molto diffusa, spesso sottovalutata, tant’è che ci sono persone che ne soffrono senza esserne a conoscenza e altre, invece, che tendono a sottovalutarne i sintomi affrontando il disturbo con il “fai da te”, assumendo dei farmaci antiacido senza nessuna prescrizione medica.
La malattia da reflusso gastroesofageo, invece, merita attenzione e approfondimento.
Il reflusso consiste nella risalita del contenuto gastrico (succhi gastrici, alimenti, bile) dallo stomaco all’esofago.
Quali sono le cause di questa malattia? In generale, si verifica un’alterazione della funzionalità dello sfintere (muscolo circola) che funge da valvola tra esofago e stomaco. L’alterazione può avere origine da tantissimi fattori, quali: congeniti, anatomici, funzionali, meccanici, tensivi, etc. Ansia e stress, anche se difficilmente sono i veri responsabili della malattia da reflusso, possono sicuramente aggravare la sintomatologia.
Le cause determinano un passaggio di materiale acido dallo stomaco all’esofago (nel semplice reflusso) o addirittura di un porzione dello stomaco stesso al di sopra del piano diaframmatico verso l’esofago (ernia iatale).
La presenza di un’ernia iatale potrebbe da sola giustificare il reflusso gastroesofageo, tant’è che da alcuni viene considerata la stessa cosa. In realtà, può essere presente il reflusso gastroesofageo patologico anche in assenza di ernia iatale. E’ importante ricordare che ci sono anche alcune specifiche condizioni che possono favorire il reflusso gastroesofageo come la gravidanza, il diabete e l’obesità.
Oltre ai sintomi tipici si possono verificare anche altre situazioni “atipiche” quali: sensazione di nodo alla gola con difficoltà nella deglutizione, difficoltà digestive, nausea, laringite cronica, tosse, raucedine, abbassamento della voce, singhiozzo, asma, dolore toracico e insonnia.
I sintomi tipici sono già sufficienti per fare una diagnosi. Se dopo un breve periodo di terapia con gastroprotettori non si ottengono risultati, è necessario eseguire alcuni test diagnostici come l’esame radiologico del tubo digerente, attraverso il quale al paziente viene fatta bere una piccola quantità di liquido di contrasto biancastro, che consente di vedere l’anatomia e la funzione dell’esofago, dello stomaco e delle prime parti dell’intestino tenue; la gastroscopia (EGDS) che consente di esaminare l’esofago, lo stomaco e il duodeno, attraverso l’introduzione di uno strumento flessibile nel quale è incorporata una telecamera e un sottile canale, attraverso il quale è possibile far passare la pinza bioptica per eseguire piccoli prelievi di mucosa (biopsie). Un altro strumento utile per la diagnosi è la manometria esofagea: consiste nell’introduzione di una sonda attraverso il naso e la somministrazione di acqua a piccoli sorsi. Può essere utile per valutare se ci sono anomalie della mobilità dell’esofago (peristalsi). La pH-impedenziometria delle 24 ore, invece, è un test in cui un sondino piccolo sottile, passando attraverso il naso, arriva fino all’esofago ed è connesso a un palmare. L’esame dura 24 ore e consente il monitoraggio della quantità di materiale refluito (sia acido che non acido) nell’esofago.
Dopo aver effettuato gli esami e stabilita la diagnosi, la terapia iniziale si basa innanzitutto su un’adeguata educazione alimentare e su un corretto stile di vita, volta a ridurre il peso corporeo (soprattutto la circonferenza addominale), evitare il fumo e gli alimenti che potrebbero peggiorare l’acidità come cioccolata, menta, caffè, alcolici, pomodoro, agrumi. Gli specialisti consigliano di non coricarsi subito dopo i pasti, (sarebbe necessario attendere almeno 3 ore) e di consumare un pasto leggero alla sera. Solo nel caso in cui, nonostante questi accorgimenti, i disturbi persistono, è il caso di intervenire anche con dei farmaci antiacidi.
La chirurgia per il trattamento del reflusso gastroesofageo è considerata una misura “estrema” ed è riservata a pazienti che non rispondono ai farmaci e che presentano contemporanei problemi anatomici, come ernie iatali di grandi dimensioni.
La cura, quindi, del reflusso gastroesofageo si basa essenzialmente sulla correzione dello stile di vita e, nel caso in cui non si trovi nessun giovamento, sulla terapia farmacologica. Negli ultimi anni è stato riscontrato che la fisioterapia è un buon trattamento per combattere la malattia da reflusso. E’ un tipo di trattamento poco conosciuto, ragion per cui, Mutua MBA, che tra gli obiettivi ha quello di garantire una corretta informazione, ha intervistato la dottoressa DANIELA SACCA’ Fisioterapista, Responsabile direttiva del Centro di Fisioterapia FisioClinic di Roma, la quale da diversi anni tratta con la fisioterapia pazienti affetti dalla malattia del reflusso gastroesofageo, riscontrando ottimi risultati.
Dottoressa Saccà, il vostro centro è stato tra i primi in Italia ad approfondire le relazioni tra le patologie gastroesofagee (reflusso, ernia natale), biomeccanica e postura. Com’è nata la collaborazione con il gastroenterologo e in che modo è possibile curare un paziente affetto da alterazioni gastroesofagee con la fisioterapia?
“In questi ultimi 15 anni abbiamo avuto la fortuna di lavorare a stretto contatto con primari gastroenterologi di altissimo livello. Tra questi voglio citare il Prof. Giovanni Gasbarrini ed il Prof. Guido Costamagna che rappresentano l’eccellenza italiana in questo campo e hanno creduto nella nostra proposta terapeutica, valutandone i risultati e le potenzialità. Questa preziosa collaborazione ci ha permesso di mettere a punto un trattamento specifico per queste alterazioni partendo dai fondamenti di trattamento della metodica RPG Souchard, di cui il nostro centro e’ un riferimento. Attraverso manovre specifiche possiamo individuare e quindi trattare la maggior parte delle disfunzioni meccaniche gastroesofagee. Uno dei grandi protagonisti di queste patologie è un muscolo, il diaframma, che come suggerisce il nome, è una valvola tra esofago e stomaco. Un’alterata funzionalità diaframmatica può determinare una non perfetta coordinazione nel passaggio gastroesofageo con conseguente reflusso. Ancor prima di questo malessere, si può avere semplicemente la sensazione di avere la pancia gonfia di aria, essere immediatamente sazi pur avendo mangiato solo un piccolo pasto o addirittura un piccolo boccone etc. Il muscolo diaframma è molto particolare perché ha sia funzioni respiratorie, digestive, è di aiuto sia alla circolazione vascolare che linfatica, ma incide anche sulle funzioni meccaniche della colonna. Detto ciò, se il suo funzionamento viene alterato è necessario un attento studio almeno di queste 4 funzioni.
Quello che possiamo fare noi in collaborazione con il gastroenterologo è analizzare se effettivamente ci sono gli elementi di alterazione in una delle zone su cui possiamo poi agire. Ad esempio, se una problematica vertebrale ha o meno alterato la funzionalità diaframmatica e quindi la funzionalità gastroesofagea, potremo agire direttamente alla base del problema. Il quadro è più semplice se l’alterazione è primaria, a livello del diaframma ovviamente, e si complica enormemente se la storia clinica del paziente e la ‘strada’ di queste alterazioni ha coinvolto più di uno di quei sistemi interconnessi che abbiamo citato. A volte può capitare che, lavorando su una di queste alterazioni, questa si riequilibra a discapito di un’altra. E’ il motivo per cui tutte le correzioni che vengono fatte saranno in globalità (cioè mettendo in relazione ciò che si è alterato in rapporto al problema gastroesofageo), concetto alla base della metodica RPG Souchard, che rappresenta lo strumento perfetto per essere sicuri di riequilibrare contemporaneamente e in maniera coordinata tutto ciò che ha a che vedere con la patologia di quello specifico paziente, senza rischiare, con un trattamento analitico di ‘spostare’ il problema altrove”.
In che modo viene trattato il paziente?
“Per il trattamento, il paziente deve necessariamente essere sottoposto a un esame biomeccanico/posturale, che evidenzi alterazioni strutturali ed eventualmente li metta in relazione con il problema gastroesofageo. Dopo questo esame, lo specialista saprà elaborare il piano di trattamento specifico per la persona che ha di fronte, sia inteso come trattamento globale e scelta delle posture attive di correzione, sia come trattamento locale per mezzo di manovre manuali specifiche.”
La fisioterapia è un trattamento risolutivo? Deve essere associata alle terapie farmacologiche?
“Sicuramente il processo di cura di un paziente ha sempre una base soggettiva, ma in generale i risultati ottenuti con un percorso di correzione delle alterazioni alla base del reflusso, sono ben mantenuti nel tempo proprio perché vanno ad affrontare la causa del problema. In questi 15 anni è capitato più spesso di rivedere lo stesso paziente per altre problematiche non legate al reflusso curato inizialmente, piuttosto che avere delle recidive che comunque possono esserci, ma in generale basta un piccolo richiamo di terapia o a volte anche esercizi che il paziente può fare da solo a casa”.
In media, dopo quante sedute si raggiungono i primi benefici?
“Anche qui non c’è una regola, in alcuni pazienti già dopo la prima seduta i risultati sono evidenti, in altri il percorso è molto più lungo e bisogna attendere anche 10 sedute, tutto dipende da tantissimi fattori e dalla loro interconnessione”.
Ci può fare un esempio?
“Di esempi potremmo farne tanti legati al passato, ma senza andare troppo in là nel tempo mi viene in mente un paziente che stiamo seguendo ora, tutt’ora in trattamento, siamo alla quinta seduta. Un ragazzo giovane che soffriva di reflusso gastrico è arrivato in studio già con tutte le diagnostiche fatte e con alle spalle sei visite al pronto soccorso per sospetti problemi cardiaci. Figlio di medico, è stato attentamente sottoposto a tutti gli screening del caso, compresi monitoraggi sulle 24 ore, questo ha potuto far escludere qualsiasi problematica cardiaca. I sintomi gastroesofagei prima e quelli ‘cardiaci’ soprattutto tachicardici, avevano nel tempo profondamente mutato la qualità della vita del ragazzo che, fra le altre cose, aveva dovuto abbandonare una delle sue passioni e cioè suonare uno strumento a fiato. Il circolo vizioso che questa situazione aveva instaurato lo aveva portato a controllare più volte al giorno i suoi battiti cardiaci che ‘impazzivano’ non appena il sintomo gastroesofageo veniva stimolato (ultimamente anche solo sedersi a sorseggiare con gli amici).
In terapia, abbiamo analizzato la situazione globale, determinato gli obiettivi terapeutici, molti dei quali riguardavano una rieducazione respiratoria e vertebrale. Il suo muscolo diaframma aveva una funzionalità enormemente compromessa in risalita e compressione contro il cuore. Questo, verosimilmente, può essere alla base dello stimolo pericardico che innesca la tachicardia nel momento dell’ingestione di cibi o bevande (avendo escluso tutto ciò che potesse essere di tipo cardiaco, ci siamo confrontati con il suo cardiologo che ha trovato verosimile questa ipotesi). Il paziente ha avuto un miglioramento graduale fin dalla prima seduta. Il dato che per lui ha rappresentato, anche psicologicamente, un conforto enorme è stato il sentire che ingerendo cibi e bevande il cuore iniziasse ad avere più margine, come se fosse meno sofferente. Con gradualità, questa situazione si è risolta del tutto, arrivando a poter bere anche un bicchiere di birra senza problemi. Il culmine lo abbiamo ottenuto dopo la quarta seduta, quando è riuscito a suonare la tromba, oramai abbandonata perché immediatamente scatenava sintomi molto pesanti, senza nessun problema nè di tipo respiratorio, cardiaco o gastroesofageo”.
Quali sono i suoi consigli?
“Questo è ovviamente un solo esempio di come un non perfetto funzionamento meccanico possa determinare una scoordinazione tra diversi sistemi (meccanico, vertebrale, cardiaco, respiratorio, digestivo, viscerale, circolatorio, psicologico), ma per poter effettuate un trattamento corretto, serio e deontologico, è importante che il paziente, qualora non l’abbia già fatto, sia seguito trasversalmente da specialisti seri dei vari sistemi in ballo e soprattutto capaci di lavorare in equipe. Una volta escluse compromissioni primarie o secondarie dei vari sistemi (ad esempio quello cardiaco), avremo la possibilità di cercare la causa del problema nelle molteplici alterazioni meccaniche possibili e potenzialmente risolverle”.