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La fotografia: una forma di arteterapia
Il termine fotografia significa “scrittura di luce”.
Già da questa accezione si può comprendere l’importanza di fotografare non soltanto nel gesto in sé. Secondo la scrittrice Susan Sontag infatti, vuol dire anche stabilire con il mondo una relazione particolare capace di generare una sensazione di conoscenza e potere.
Le sensazioni sopra descritte generano negli individui benessere e sensibilità, sempre di più fondamentali in un contesto come quello attuale dove prevale un’insoddisfazione dovuta a svariate cause esterne che, inevitabilmente, intaccano il nostro quotidiano.
Si è sviluppata così, nel corso degli anni, la cosiddetta fotografia terapeutica, basata su degli interventi mirati che utilizzano la fotografia per promuovere la presa di coscienza di sé e della realtà circostante. Queste azioni favoriscono il riconoscimento e la comunicazione degli stati emotivi e hanno lo scopo principale di favorire l’empowering dell’individuo.
In verità, ogni fotografia porta con sé questo potenziale ed è pertanto in ogni ambito e per ogni fotografo e soggetto fotografato, che essa può diventare uno strumento di forte consapevolezza e scoperta.
Per Serge Tisseron la macchina fotografica fissa un’immagine del mondo più o meno assimilabile, così come lo psichismo fissa le rappresentazioni, gli affetti e gli stati corporei legati a una determinata situazione. La fotografia rappresenta un contenitore dell’esperienza percepita e rinvia a processi di contenimento.
Non è solo la bellezza a trovarsi negli occhi di chi osserva, ma la stessa idea di realtà si basa sulle nostre percezioni. Siamo attratti, quindi, da stimoli che per noi hanno una qualche valenza, mentre il resto del mondo vive nell’ombra in attesa di avere anch’esso un significato.
Freud stesso paragonò il funzionamento dell’apparato psichico dell’individuo a una macchina fotografica, poiché la psiche, durante il sonno, converte l’energia psichica in immagini come “correlativo oggettivo” delle emozioni o tensioni del profondo.
Allo stesso modo la fotografia è il risultato delle pulsioni interne, che occorre poi decifrare razionalmente. Ne segue una funzione riparatrice, poiché attraverso l’analisi e l’elaborazione, il soggetto può accedere a traumi e pensieri da elaborare.
Fotografare vuol dire, pertanto, guardare nel mirino e prediligere una parte di mondo, cosa riprendere e come riprenderlo. Allo stesso tempo una persona guarda dentro di sé e può scegliere chi essere, cosa dire, come comportarsi: un processo attivo in cui unico filtro è l’individuo.
La realtà interiore percepita come esterna permette di evitare il confronto con gli aspetti difficili del proprio sé. Le foto scattate permettono in primis di esserne l’autore ma successivamente di porsi anche come spettatore e quindi come lettore della propria realtà personale.
La fotografia offre un’esperienza sicura di essere visti e ascoltati, poiché essa parla al posto del paziente in una lingua fatta di immagini.
Per tutti questi motivi la fotografia rientra nell’Arteterapia, una disciplina nata nel XX secolo che utilizza l’espressione artistica come mezzo terapeutico e ha l’obiettivo di conseguire il recupero e la crescita della persona nella sfera emotiva, affettiva e relazionale.
L’opera artistica è concepita come l’espressione dell’inconscio e come un derivato del processo di sublimazione degli istinti di base.
La fotografia diviene la bussola per orientarsi nel mondo esterno e riconnettersi con il proprio mondo interiore stimolando l’immaginazione e le potenzialità narrative di ciascuno.
Gli indizi e le tracce su cui le fotografie focalizzano l’attenzione agiscono da esche sollecitando nel lettore il racconto di storie che rimettono in movimento l’immagine, come se fosse un film.