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La gravità del tifo
Il tifo o febbre tifoide, è una pericolosa malattia infettiva sistemica, ovvero coinvolge l’intero organismo.
È provocato dalla Salmonella, un genere di piccoli batteri a bastoncello, mobili ed ampiamente diffusi in natura. Il loro nome deriva da quello del patologo veterinario Daniel Salmon che per primo isolò la specie Salmonella choleraesuis dall’intestino di un suino.
L’agente responsabile del tifo è presente nelle urine e feci di persone infette, e può essere trasmesso per via oro-fecale attraverso l’ingestione di cibi o bevande contaminate. Questa patologia risulta essere, perciò, molto contagiosa e delle scarse condizioni igienico-sanitarie predispongono ad una sua maggiore diffusione.
Dopo che una persona è stata infettata, i batteri si moltiplicano rapidamente nell’intestino e nel flusso sanguigno, attivando i primi sintomi, ovvero febbre, cefalea, costipazione o diarrea, malessere e mialgia. La malattia in questione può essere trattata con antibiotici ma non sempre riescono ad essere efficaci perché la resistenza batterica è molto diffusa. Senza un trattamento tempestivo infatti, i batteri si diffondono in altri distretti dell’organismo causando il peggioramento dei sintomi e gravi complicanze tra cui emorragie interne, perforazione intestinale o peritonite.
È bene subito evidenziare che, anche dopo il recupero dal tifo un limitato numero di individui, chiamati portatori sani, continua a rilasciare la Salmonella typhi nelle feci ed è in grado, quindi, di infettare gli altri. È disponibile un vaccino, il Vivotif, contro la febbre tifoidea e raccomandato per gli adulti ed i bambini dai 5 anni di età. Tuttavia, questo antidoto non fornisce una protezione completa dalle infezioni anzi, dopo la vaccinazione alcune persone mostrano di avere un dolore temporaneo, rossore o gonfiore nel sito di iniezione. Circa l’1% delle persone sperimenta un aumento della temperatura corporea (38°C), mentre gli effetti collaterali meno comuni includono dolore addominale, mal di testa, nausea e diarrea.
La febbre provocata dal tifo è comune nei paesi meno industrializzati, principalmente a causa dell’accesso limitato all’acqua potabile, dell’inadeguato smaltimento delle acque reflue e delle inondazioni. A causa del modo in cui l’infezione si diffonde, la temperatura febbrile, perciò, è più comune in alcune parti del mondo che presentano bassi livelli di servizi igienico-sanitari.
L’incidenza annuale di febbre tifoide è stimata in circa 17 milioni di casi in tutto il mondo.
A seguito dell’ingestione di cibo o acqua contaminati, i batteri invadono l’intestino tenue ed entrano temporaneamente nella circolazione sanguigna. La Salmonella typhi si moltiplica originariamente nelle cellule di fegato, milza e midollo osseo, per poi rientrare nel sangue. Quando il microrganismo diffonde nel flusso sanguigno, i pazienti incominciando ad avere i sintomi tipici della malattia, compresa la febbre. I batteri invadono la colecisti, le vie biliari ed il tessuto linfoide associato all’intestino. In questo momento, si moltiplicano in numero elevato per passare, successivamente, nel tratto intestinale dove i patogeni possono essere identificati, per la diagnosi, in colture di feci testate in laboratorio.
Se l’infezione non è trattata, i sintomi si sviluppano nel corso di quattro settimane, con manifestazioni in continuo a peggioramento. Nel momento in cui la condizione progredisce, il rischio di avere delle complicanze accresce. Con il trattamento, i sintomi dovrebbero migliorare rapidamente entro cinque giorni.
La sintomatologia sopra indicata può diventare più grave nella seconda settimana di malattia e sarà caratterizzata da un grave gonfiore dell’addome e bradicardia, ovvero il rallentamento delle pulsazioni. Inoltre, surante la terza settimana, possono presentarsi mancanza di appetito e perdita di peso, esaurimento fisico, attacchi di diarrea fulminante e deterioramento dello stato mentale.
L’agente eziologico può essere identificato in campioni di sangue, midollo osseo, feci e urine. La diagnosi di febbre tifoide viene spesso formulata mediante emocoltura e test sierologico di agglutinazione di Widal – durante la prima settimana; coprocoltura e ricerca degli antigeni nel sangue – durante la seconda e terza settimana.
Le colture fecali sono sensibili nelle fasi precoci e tardive della malattia, ma spesso devono essere integrate con l’esame colturale del sangue per la diagnosi definitiva.