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La nuova responsabilità sanitaria
La Legge n. 47 dell’8 marzo 2017 (cd. Legge Gelli dal nome del Ministro proponente) ha profondamente innovato il sistema di responsabilità professionale sanitaria a distanza di soli cinque anni dalla riforma operata dal Decreto Legge n. 158 del 13 settembre 2012, meglio noto come Decreto Balduzzi.
L’incipit della Legge è dedicato ad un’affermazione di principio che, richiamando il dettato costituzionale dell’art. 32, afferma l’importanza della sicurezza delle cure da realizzarsi anche attraverso la prevenzione e gestione del rischio sanitario.
Nel proseguo, la Legge insiste sulla istituzione di un Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza in sanità avente l’obiettivo e lo scopo di monitorare i dati, di ciascuna regione, attinenti al rischio sanitario ed all’onere finanziario del contenzioso oltre a focalizzarsi sulla realizzazione ed introduzione, nel nostro ordinamento, delle buone pratiche clinico assistenziali quali linee guida di orientamento da redigersi ad opera di enti e istituzioni pubbliche e private nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie.
Si sottolinea come il richiamo alle buone pratiche ed alle linee guida accreditate dalla comunità scientifica fosse già presente nel Decreto Balduzzi con un’incidenza piuttosto rilevante in termini di responsabilità penale del medico.
La Legge Gelli effettua però un passaggio ulteriore e invece che richiamarsi, generalmente, a quelle pratiche già accolte dalla comunità scientifica ne dispone la composizione in esito ad un lavoro congiunto da parte dei vari rappresentanti ed operatori del settore.
In punto di responsabilità penale, la Legge, abrogando la disposizione del Decreto Balduzzi, introduce un nuovo articolo nel nostro codice penale e, precisamente l’art. 590-sexies rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”, con il quale si dispone che: “Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”. Nella ridisegnata cornice della responsabilità, dunque, la punibilità risulta essere esclusa, senza più alcun riferimento testuale alla declinazione in colpa grave o lieve, qualora l’imperizia del sanitario abbia dato luogo al verificarsi di un evento e (i) siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida o le buone pratiche clinico-assistenziali e, ancora, (ii) tali raccomandazioni risultino pertinenti alle peculiarità del caso.
La riforma interviene anche sul tema della responsabilità civile della struttura sanitaria e del professionista sanitario e, seppur nell’affiorare di modelli di tipo no fault, ne individua come cardine l’elemento del dolo e della colpa. Ciò significa che la struttura sanitaria – sia essa pubblica o privata – che si avvalga dell’opera professionale di operatori sanitari, anche se volontariamente selezionati dal paziente e non dipendenti della struttura, risponde, a titolo di responsabilità contrattuale, delle condotte dolose o colpose di questi ultimi ai sensi di quanto previsto dagli articoli 1218 e 1228 del codice civile.
Quanto alla responsabilità del singolo professionista, questa ricade nella sfera della responsabilità extracontrattuale (con conseguenti differenze in termini di prova e prescrizione del diritto) costituendo così un doppio binario di responsabilità che segue i dettami della tipologia contrattuale per le strutture sanitarie e, diversamente, soccorre alla disciplina ex art. 2043 cod. civ. per la configurazione della responsabilità aquiliana degli esercenti la professione sanitaria.
Al fine di ridurre il contenzioso in materia sanitaria, il legislatore ha introdotto l’obbligo di esperire previamente un tentativo di conciliazione in tutti quei casi nei quali un soggetto intenda incardinare un’azione di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria. Il procedimento di conciliazione deve concludersi entro sei mesi dalla presentazione della domanda e richiede la partecipazione di tutte le parti, ivi comprese le compagnie di assicurazione alle quali la Legge pare affidare un ruolo centrale nel nuovo sistema di responsabilità.
L’articolo 10 della Legge in esame sancisce infatti l’obbligo, per le strutture sanitarie, di dotarsi di una copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi anche qualora le prestazioni sanitarie siano svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina. I professionisti che operano in contesti diversi rispetto a quelli summenzionati o che prestino la propria attività in strutture sanitarie secondo il regime libero-professionale, sono a loro volta tenuti a sottoscrivere idonea copertura assicurativa come già richiamata dal Decreto Balduzzi ed in virtù delle disposizioni del Decreto Legge 138/2011.
Non solo. La Legge Gelli obbliga l’esercente la prestazione sanitaria operante a qualunque titolo, in strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private, a provvedere alla stipula di un’adeguata polizza di assicurazione per colpa grave. Una simile previsione è funzionale a rendere effettivo l’obbligo di rivalsa previsto dall’articolo 9 della Legge ed esercitabile dalla struttura sanitaria nei confronti dell’professionista quando quest’ultimo non abbia preso parte all’azione giudiziale o stragiudiziale del risarcimento del danno e l’evento si sia verificato per causa a lui imputabile in base ad un giudizio fondato sul dolo o la colpa grave.
In tema di assicurazioni sono poi certamente da sottolineare due ulteriori aspetti. Da un lato, l’introduzione dell’azione diretta del danneggiato nei confronti della compagnia di assicurazione e dall’altro, la positivizzazione di una clausola di tipo claims made (in deroga al regime classico di loss occurence ex art. 1917 cod. civ.) con retroattività decennale, a cui si affianca una cd. sunset clause per i casi di cessazione definitiva dell’attività professionale.
Ultima annotazione riguarda il Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria previsto dall’articolo 14. Il legislatore, presumibilmente ispirandosi ai modelli no fault già citati in precedenza, ha introdotto la concorrenza del Fondo di garanzia nel risarcimento del danno sanitario per i seguenti casi: a) il danno risulta essere sia di importo eccedente rispetto ai massimali previsti dai contratti di assicurazione stipulati dalla struttura sanitaria o sociosanitaria (sia essa pubblica o privata) ovvero dall’esercente la professione sanitaria; b) la struttura sanitaria o sociosanitaria (pubblica o privata) ovvero l’esercente la professione sanitaria risultino assicurati presso una compagnia di assicurazione che, al verificarsi del sinistro e in fase di sua liquidazione, si trovi in stato di insolvenza o di liquidazione coatta amministrativa; c) la struttura sanitaria o sociosanitaria (pubblica o privata) ovvero l’esercente la professione sanitaria siano sprovvisti di copertura assicurativa per recesso unilaterale dell’impresa assicuratrice ovvero per la sopravvenuta inesistenza o cancellazione dall’albo dell’impresa assicuratrice stessa. Il Fondo costituisce quindi, in aggiunta all’obbligo di assicurazione, un ulteriore strumento di tutela del paziente che abbia subito un danno nell’esercizio dell’attività sanitaria in termini di certezza del risarcimento.