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L’acqua per i bambini appena nati
L’acqua è il bene primario in assoluto per tutti gli esseri viventi.
In particolare, nelle passate decadi, il consumo della tipologia minerale in bottiglia è aumentato di molto nella dieta di adulti e bambini e ciò richiede un’attenta valutazione per quanto riguarda i suoi effetti sulla salute.
Le acque minerali sono quelle che, avendo origine da una falda o da un giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e possiedono caratteristiche organolettiche particolari e proprietà favorevoli allo stato fisico degli individui.
L’Italia è uno dei paesi della Comunità Europea con maggior numero di acque minerali: 7 miliardi e mezzo di litri all’anno, di questi il 98% spetta alle acque da tavola contro il 2% delle gloriose acque salutistiche. L’uso sempre più cospicuo delle acque minerali nell’alimentazione odierna e nella dietetica infantile non può ricondursi semplicemente al condizionamento subito a opera di sollecitazioni pubblicitarie o mode alimentari, ma è da ricercarsi in una crescente esigenza di garanzia e sicurezza per la dieta del bambino, il tutto supportato da una sfiducia nel livello qualitativo dell’acqua domestica.
Sebbene non sia ancora universalmente noto, è importante evidenziare che tutti noi siamo soggetti a diversità notevoli per contenuto idrominerale a secondo dell’età, della costituzione e del tipo di alimentazione. Il corpo di una persona adulta è composto per circa il 65% di acqua, mentre la percentuale più alta si ha nel giovane uovo multicellulare subito dopo la fecondazione, ovvero pari al 90%; nell’embrione la percentuale è dell’85% e nel neonato va dal 75 all’85%. In quest’ultimo quindi, un adeguato introito idrominerale risulta fondamentale al fine di soddisfare le richieste metaboliche e salvaguardare uno stato di benessere clinico costante.
Nel bambino, infatti, il ricambio idroelettrolitico è in un continuo e delicato dinamismo tra il compartimento intracellulare (55%) ed extracellulare (45%). Si tratta, perciò, di una situazione di equilibrio sensibile a situazioni fisiologiche, parafisiologiche e patologiche, quali febbre, vomito e diarrea, potenzialmente interferenti.
Per tale motivo è essenziale che l’apporto idrominerale, specialmente nella prima infanzia, avvenga attraverso un’acqua la cui composizione rispecchi e soddisfi le esigenze della crescita, sia in condizioni fisiologiche che in corso di malattia. La gravidanza è caratterizzata da un aumento delle necessità di acqua per soddisfare il fabbisogno del feto e del liquido amniotico; tale incremento è di circa 30 ml/die. A fine gravidanza, l’acqua corporea totale è infatti stata aumentata di oltre 8 litri.
Durante l’allattamento al seno circa 650-700 ml al giorno d’acqua dovrebbero essere aggiunti alla dieta della nutrice.
I lattanti, alimentati esclusivamente al seno, non necessitano di supplementi di acqua per mantenere l’omeostasi idrica.
L’allattamento al seno è il miglior modo per soddisfare tutti i fabbisogni nutrizionali e idrosalini dei lattanti, ma se per qualche motivo ciò non fosse possibile, l’acqua utilizzata per i lattanti nella ricostituzione del latte formulato, come pure nella preparazione di bevande, dovrebbe rispondere a criteri molto più severi riguardanti criteri soprattutto il grado di mineralizzazione, il contenuto di nitrati e la presenza di contaminanti, sia batteriologici che chimici. Le acque minerali che vengono etichettate quali più adatte a tale scopo sono quelle il cui residuo fisso è compreso tra 50 e 500 mg/l, cioè quelle oligominerali, ma nonostante questa indicazione sia diffusamente accettata, non esistono in letteratura evidenze che supportino la validità assoluta di tale atteggiamento.
Le elevate concentrazioni di minerali presenti in alcune acque imbottigliate aumentano il carico renale e l’escrezione urinaria di soluti e ciò potrebbe rappresentare una limitazione al loro impiego nell’infanzia.
Pertanto, per poter concedere alle acque minerali l’indicazione di “utilizzabile nella prima infanzia”, il Comitato sulla Nutrizione della Società Tedesca di Pediatria ha richiesto, oltre a altre caratteristiche, concentrazioni di Sodio <20 mg/l e di solfato <200 mg/l9. I dati reali sul metabolismo del sodio nei lattanti che assumono le moderne formulazioni di latte sono tuttavia limitati e la loro interpretazione deve tener presente alcune informazioni specifiche.