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L’importanza della telemedicina: pensare digitale. L’intervista al prof. Sergio Pillon
La parola “digitale” o “digital” si sta affermando in tutti i settori della società come sinonimo di nuova frontiera capace di superare i limiti tradizionali e anche il sistema sanitario è orientato verso questa direzione, avviata con lo sviluppo della telemedicina.
“La telemedicina è l’erogazione di servizi sanitari, quando la distanza è un fattore critico, per cui è necessario usare, da parte degli operatori, le tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni al fine di scambiare informazioni utili alla diagnosi, al trattamento e alla prevenzione delle malattie e per garantire un’informazione continua agli erogatori di prestazioni sanitarie e supportare la ricerca e la valutazione della cura” (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Le informazioni utili per la diagnosi, il trattamento e la prevenzione sono trasformate in bit e i bit possono essere trasmessi, condivisi, analizzati, archiviati molto più velocemente e semplicemente delle corrispondenti informazioni su carta. Una realtà consolidata negli Stati Uniti e in Canada, mentre in Francia, Norvegia, Finlandia, Svezia e Danimarca, la telemedicina è già molto diffusa e regolamentata.
È Israele però il Paese all’avanguardia nell’utilizzo degli strumenti digitali in ambito sanitario. Il cittadino che ha bisogno del proprio medico di medicina generale può prenotare l’appuntamento via web, tutti i referti sono trasmessi per via elettronica, tutto è archiviato, dall’ambulatorio all’ospedale, fino agli eventi amministrativi, in un vero big data sanitario. Incrociare questi dati con le informazioni anagrafiche, storiche, familiari del paziente consente al medico di anticipare la diagnosi e la cura, di passare dal “curare” al “prendersi cura”.
Qual è la situazione in Italia? Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, il 24% degli utenti prenota online visite ed esami, il 15% consulta documenti clinici. Oltre metà dei Medici di Medicina Generale usa WhatsApp per comunicare con i pazienti. Il nostro Paese risulta essere in ritardo rispetto ad alcune nazioni del mondo.
Quali sono le cause? L’abbiamo chiesto al dott. Sergio Pillon, Direttore UOD Telemedicina, Dipartimento Cardiovascolare, A.O. San Camillo-Forlanini di Roma, cofondatore della SIT (Società italiana di Telemedicina), membro dell’Ufficio Studi di ANSI (Associazione nazionale Sanità Integrativa) e nominato nel 2015 dal Ministro della Salute coordinatore della commissione nazionale per il governo delle linee di indirizzo della Telemedicina Italiana.
“Non c’è nessun altro paese al mondo – ha spiegato Pillon – con una tale concentrazione di aziende del settore della scienza della vita come accade in Israele. La caratteristica che ho trovato realmente innovativa (partecipando all’evento Med in Israel che si tiene a Tel Aviv ogni due anni n.d.r) è la strettissima cooperazione tra il sistema sanitario pubblico e le aziende. Israele ha un sistema sanitario con molte similitudini con quello Italiano ma le aziende sono profondamente radicate nelle istituzioni accademiche, di ricerca, nazionali internazionali. Sono anche strettamente collegate alle aziende sanitarie operative, per supportarle per esplorare l’innovazione per rispondere sfide odierne: abbassare i costi complessivi dell’assistenza sanitaria, soddisfare le esigenze in continua evoluzione in un mondo con un costante invecchiamento della popolazione”.
In Israele la Digital Health è l’asse portante del sistema e il Clalit è la maggiore delle quattro organizzazioni che gestiscono il sistema sanitario nazionale Israeliano. Oltre 100 anni di attività, 4,4 milioni di assistiti, 14 ospedali pubblici, 9,638 medici, 11,081 infermieri, 100 centri odontoiatrici,1,503 poliambulatori, 48 poliambulatori pediatrici e 384,408 sessioni di telemedicina.
Dott. Pillon lei ha trovato delle caratteristiche simili con l’Italia dove però ancora la telemedicina tarda a decollare. Secondo lei, il punto sta proprio nel “pensare digitale”?
“La semplice trasposizione di un flusso di lavoro in digitale non lo rende più efficiente, spesso anzi lo rende solo più complesso, perché bisogna lavorare con un PC, un Tablet, oggetti che hanno bisogno di corrente, di connessione, di scrivania, si rompono se cadono. La penna cade mille volte, la carta si strappa e si butta nel cestino e la cartella clinica è frutto di decine di anni di perfezionamenti. Fare lo stesso lavoro con un tablet ed una penna digitale rende il lavoro molto più faticoso e chi lo nega non ha mai provato a farlo. Pensare il digitale vuol dire che non esiste più ‘la cartella clinica’, esiste un algoritmo che estrae i dati del paziente da tutte le banche dati ospedaliere, amministrazione, laboratorio, radiologia, servizi specialistici, prenotazioni, farmacia e li rende disponibili al medico, all’infermiere, all’amministratore, aggregati secondo le sue esigenze. Il cardiologo vorrà una vista d’insieme specifica, l’anestesista un’altra, il chirurgo una ancora differente e, per fare un esempio, in caso di incidente si avrà una vista dei dati sanitari ulteriormente diversa. Pensare digitale, solo per rimanere nell’esempio, elimina il concetto di cartella clinica così come siamo abituati a vederla. In Europa la chiamiamo ‘medicina personalizzata’, una modalità di diagnosi e cura che cuce i dati addosso al paziente come un abito su misura, di volta in volta, e consente di curare le persone e non le malattie”.
Lei è il stato uno dei fondatori e per molti anni il vice presidente della Società Italiana di Telemedicina (SIT), Direttore UOD Telemedicina del Dipartimento Cardiovascolare dell’ A.O. San Camillo-Forlanini di Roma. L’azienda ospedaliera romana è stata tra le prime in Italia, ad istituire un servizio di trattamento della malattia a distanza. Nella sua esperienza quali sono stati i vantaggi sperimentati con la telemedicina? Quanto è importante la collaborazione tra tutti gli operatori del sistema?
“Nella nostra esperienza nel campo delle ‘piaghe’, meglio definite come ‘ferite difficili’, in otto anni abbiamo ridotto del 38% i costi, ridotto i tempi di guarigione del 50%, azzerato le necessità di ricoveri urgenti e ottenuto una soddisfazione dei pazienti superiore al 95%. La collaborazione è una condizione indispensabile, medici ed infermieri, ma anche di tutte le funzioni dell’azienda sanitaria, dall’ICT alla Direzione Generale, dal governo clinico alla formazione. L’esempio israeliano è stato lampante: tutte le funzioni hanno concordato verso una gestione dei dati ed ognuno ha investito le proprie competenze per supportare l’ICT nella realizzazione del sistema”.
Come immagina in Italia un sistema come quello israeliano? È possibile o solo un miraggio?
“Ci sono in Italia strutture sanitarie private che sono vicine al modello israeliano, anche se si tratta di strutture di dimensioni molto inferiori a quelle del Clalit. Io credo che sia possibile arrivare anche in Italia, nelle grandi aziende sanitarie, a sistemi analoghi a quello che ho visto funzionante. Management intelligente e motivato, credo che il privato arriverà molto prima del pubblico, tradizionalmente lento e legato ad un management profondamente ‘analogico’”.
Obiettivo è quello di fare uso delle nuove tecnologie per spostare le informazioni e non il paziente. Quanto è difficile far capire che la telemedicina è un investimento e non un costo?
“Quando parlo con i manager sanitari mi dicono sempre: ‘Sa Pillon, noi siamo vincolati al costo zero, nessun budget per costi aggiuntivi’. Far capire che costo zero non vuol dire ‘investimento zero’ sembra impossibile, anche perché in genere la visione dei manager sanitari è di mesi, raramente supera i due-tre anni. Credo che sia giunto il momento che debbano muoversi i pazienti, con le associazioni rappresentative dei pazienti fragili, per pretendere un diritto alla salute degno dell’era digitale. Il vero obiettivo è far ruotare le informazioni attorno al paziente, quelle che servono e nel momento giusto”.
In Israele il cittadino è assistito per l’assistenza base da un sistema nazionale e può scegliere tra diversi fornitori tra i quali Clalit che è una delle ‘mutue” più grandi e storiche del Paese e, non a caso, il padiglione centrale dell’evento era dedicato proprio a Clalit. Quanto è importante il ruolo che svolgono le società di mutuo soccorso?
“Le società di mutuo soccorso da sempre hanno coperto quegli spazi assistenziali che i lavoratori ‘deboli’ non riuscivano a vedere riconosciuti. Oggi possono essere lo strumento di accesso alla salute digitale, al prendersi cura, a quelle che sono le opportunità offerte dal digitale proprio per le categorie più deboli, quelle che soffrono maggiormente per l’incremento dei costi di una sanità ‘analogica’, che deve ridurre le prestazioni perché non riesce ad essere efficiente e a coprire i costi dell’assistenza tutto a tutti”.
Qual è la sua opinione in merito ad una sinergia tra Sanità pubblica e integrativa e digitale? Potrebbe rappresentare la chiave di volta per favorire la tutela della salute del cittadino?
“Il modello israeliano prevede il cosiddetto ‘secondo pilastro’ , una sanità integrativa per tutti i cittadini, che offre prestazioni aggiuntive rispetto a quelle di base a costi controllati e il modello è così efficiente che sta aprendo il mercato della sanità Israeliana al ‘turismo sanitario’, da molti paesi vanno in Israele per farsi curare. Si usa anche la telemedicina in fase di iniziale valutazione e dopo la dimissione del paziente, si sposta il paziente solo per il trattamento in Israele per la parte invasiva.
La sanità integrativa per definizione deve essere efficace, efficiente ed appropriata, dovendo essere ‘integrativa’, la potremmo definire ‘digitale by design’. Ritengo che sia nell’immediato futuro una degli migliori opportunità di promozione di una medicina ‘della persona’ integrando il sistema sanitario nazionale con le esigenze del singolo cittadino/paziente”.
Alla luce di quanto detto, la possibilità di utilizzare i dati a distanza è sicuramente un elemento di forza sia per il sistema che per il cittadino con risparmi di costi e di tempo. Secondo lei, quali sono le prospettive e lo sviluppo della telemedicina in Italia?
“Mi viene da rispondere in più modi: il primo è con una battuta tratta dal libro di Marcello D’Orta, ‘non lo so, ma io speriamo che me la cavo’. Più seriamente io vedo il futuro prossimo analogo al percorso visto fare all’innovazione tecnologica sanitaria negli ultimi 20 anni: il settore privato che fa da pioniere, introduce modelli e percorsi clinici ed il settore pubblico che pian piano raccoglie ed implementa l’esperienza. In fondo la Risonanza Magnetica, l’Ecografia, la TAC , la radiologia digitale, solo per fare alcuni esempi, sono analoghe alla Telemedicina, sono tecnologie che favoriscono l’erogazione dei servizi di diagnosi e di cura, non sono un fine, sono uno strumento. Un aiuto allo sviluppo della telemedicina sarebbe semplicemente cambiarne il nome (ed il punto di vista): smettiamo tutti di parlare di tecnologie, di sanità digitale, iniziamo a parlare di ‘prendersi cura’ di ‘medicina personalizzata’, di ‘long term care’, e i dati digitali servono esattamente a questo, a garantire il diritto ad essere curati nell’era digitale, anche nel proprio domicilio e prima di doversi ricoverare in ospedale. Questa è la sanità che tutti vorremmo”.