Questo sito Web utilizza i cookie in modo che possiamo fornirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito Web e aiutare il nostro team a capire quali sezioni del sito Web trovi più interessanti e utili.
Lo strano caso dell´uomo (quasi) senza cervello
Si era rivolto al pronto soccorso lamentando debolezza alla gamba sinistra.
L´esito degli esami neurologici era stato sorprendente e aveva rivelato che ben il 90% della scatola cranica consisteva di liquido cerebrospinale. Resisteva solo una piccola porzione di perimetro esterno di tessuto cerebrale (circa il 10%).
A causare il danno un´idrocefalia postnatale, condizione patologica caratterizzata da un allargamento abnorme dei ventricoli del cervello che si riempiono di fluido cerebrospinale, e della quale il paziente soffriva da quando aveva 6 mesi di età.
Eppure ”l´uomo senza cervello” conduceva una vita normale, lavorava e aveva una famiglia con 2 bambini.
Foto 1. Una scansione cerebrale del paziente. Il liquido cerebrospinale (nella foto, in nero) ha “inondato” la scatola cranica. Resiste una piccola pozione di neuroni distribuita sul perimetro esterno (nella foto, in grigio chiaro).
(Fonte: Brain of a white-collar worker).
Nonostante la ricerca sul funzionamento del cervello e sulla mappatura delle sue strutture abbia dominato il campo degli studi neuroscientifici, la notizia che una persona possa non solo rimanere cosciente ma condurre una vita ordinaria pur possedendo soltanto un sottile strato di neuroni corticali ha costretto la comunità scientifica a reinterrogarsi sull´attendibilità di ogni teoria che suppone che la coscienza sia un prodotto del cervello e che pretende di rinchiudere le funzioni cognitive in specifiche aree del cervello. Diverse spiegazioni sono state proposte dagli esperti per far luce su questo caso. La prima ipotesi è che il liquido cerebrospinale non avesse eroso il cervello del paziente ma che lo avesse compresso fino a ridurne le dimensioni, pur lasciandolo funzionalmente intatto. La seconda, che anche chiama in causa il concetto di neuroplasticità, è che il nostro cervello possieda elevate capacità plastiche che consentono un riadattamento funzionale anche quando parti di tessuto cerebrale sono assenti: in questo modo il cervello riesce a “delegare” una funzione normalmente svolta da alcune aree specifiche verso altre aree, se le prime vengono distrutte. Questa ipotesi quindi va contro l´idea che aree diverse del cervello facciano cose diverse in modo separato e segregato. Piuttosto aree diverse collaborerebbero a funzioni affini. Ma allora, le funzioni cognitive, e anche la mente cosciente sono davvero solamente “a bunch of neurons”, un ammasso di neuroni? Ha senso ridurre il nucleo esperienziale dell’uomo al cervello e considerare la coscienza una “cosa” da indagare, chiedersi di quali materiali sia composta, o quale sia la sua “sede”, quasi si trattasse di un fenomeno fisico? O forse è meglio abbracciare l´idea che la coscienza, pur avendo un correlato neurofisiologico, non sia materia e che quindi anche la sua sede sia fuori da quella che chiamiamo dimensione fisica? C´è chi, come il neurofenomenologo Francisco Varela rifiuta l´idea che la coscienza possa trovarsi in un luogo fisico preciso (il cervello), sostenendo che la sua sede sia estesa all´intero corpo e all´ambiente nel quale viviamo. Nonostante i progressi scientifici degli ultimi decenni, ad oggi non sappiamo ancora molto della coscienza e dunque ogni pretesa di rispondere a questi quesiti rimane pura supposizione.